Italia-Germania del 4-3,1970 lo spirito italiano – La lontananza sai.. – La passione ci incoraggia ad andare avanti! – Tiglio…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Italia-Germania del 4-3,1970 lo spirito italiano
Nel 1970 a Città del Messico, alla mezzanotte tra il 17 e il 18 giugno, nacque lo spirito italiano dello sventolare il tricolore. Nella storia ogni popolo stabilisce silenziosamente e senza intenzione quali giorni resteranno nella sua memoria, giorni simbolo di dolore, la morte di Moro, del Generale Dalla Chiesa e dei giudici Borsellino e Falcone, i terremoti che evocano paura e altri che ci hanno dato speranza e un sorriso come quella magica notte del 1970, una data che è stata rielaborata e messa alla prova del tempo, giudice che promuove o boccia senza appello. Il tempo che ci fa ricordare un romanziere o un artista o un cantautore piuttosto che un altro. Pensiamo che sia il caso, ma invece le circostanze vengono rielaborate dalla memoria di un popolo per dare maggiore significa a degli episodi piuttosto che ad altri, come quella mitica partita. Sono fenomeni difficili da decifrare come questa famosa partita che è ormai al limite di una leggenda, diventando la partita del secolo e non invece quelle di Madrid dell’11 luglio 1982 con l’amato Presidente Pertini che grida in tribuna che non ce n’è per nessuno al terzo gol dell’Italia sulla Germania e il gol urlato di Tardelli. Eppure fu proprio con quest’ultima partita che l’Italia divenne per la terza volta nella sua storia campione del mondo, la prima dalla fine della guerra. In Messico fu certo la prima volta in cui l’Italia giocò in televisione a mezzanotte, nell’ora in cui i sogni si liberano e le convenzioni sociali si allentano. Con la fine dei supplementari che scoccò alle due, orario convenzionalmente impossibile per festeggiare e che invece scatenò una delle feste più spontanee e liberatorie e di massa di cui vi sia memoria. Fu la prima volta che un popolo intero, di tutte le classi e le età e le idee politiche, si diede spontaneamente convegno nelle piazze illuminate di ogni città italiana con i colori della bandiera che si affacciarono progressivamente nella notte. Nessuno ne aveva esemplari in casa, nessuno si era preparato a venderne, sicché tutto venne fatto artificialmente con una camicia, uno spray, da issare sulle auto. Con quella vittoria la nostra amata bandiera si liberò della crosta ideologica che la soffocava grazie a una vittoria in uno stadio lontano. Lì, precisamente lì, si aprì la strada su cui sarebbe arrivato, quasi trent’anni dopo, Carlo Azeglio Ciampi. Tante prime volte tutte insieme, dunque, concentrate in un pugno di ore notturne. Un’esperienza collettiva indimenticabile. Ma era anche stata la prima volta, e fu questo a sprigionare la magia, che l’Italia aveva giocato in attacco, senza cautele tattiche e con il cuore a mille, lanciando alle ortiche la famosa tattica del catenaccio ma all’assalto con la baionetta della intrepida passione nell’aria leggera dei duemila metri di Città del Messico contro la Germania tutta disciplina e organizzazione. Quella notte fu uno stupore per tutti gli italiani vederla vincere di slancio e forza, e genio insieme, proprio contro la Germania risorta dalle ceneri della seconda guerra mondiale come potenza economica, verso cui come italiani sentivamo, e sentiamo ancora, un inconfessabile complesso di inferiorità. Quando rivedo alla televisione quella partita la trovo ancora adesso surreale con Beckenbauer con il braccio al collo che piombava sul pallone come una locomotiva e l’attacco degli azzurri senza tattica ma con grande passione, l’Italia che andava all’attacco per cambiare il mondo, di quello spirito ne abbiamo tantissimo bisogno oggi.
Favria, 17.06.2020 Giorgio Cortese

La bontà è più facile da riconoscere che da definire., se voglio cambiare il mio destino devo cambiare il mio atteggiamento

La lontananza sai….
Chissà perché in questo periodo che si parla di mantenere la distanza tra di noi per evitare la diffusione del coronavirus mi sono tornate in mente, dopo aver ascoltato una poesia dell’amico Pasquale, le parole della canzone del grande Domenico Modugno: “La lontananza sai è come il vento che fa dimenticare….” Nella vita non ci divide la distanza fisica ma molte il distacco emotivo. Con le persone che ci troviamo bene non siamo mai abbastanza lontani per trovarci. A volte la distanza significa così poco quando qualcuno significa così tanto perché nella nostra umana vita esistono solo due posti qui e dove siete voi. A volte la distanza, mi consente di sapere che cosa vale la pena tenere e che cosa vale la pena lasciare andare. Riflettevo durante la clausura e segregazione nel periodo di coronavirus, ero in casa, e non potevo salutare e parlare fisicamente con degli amici e mi dicevo che oltre a sentirci nono potevo toccarle con la stretta di mano, nè vederli. Allora mi sono detto come potevo sentirli vicini? Con che cosa? Con dei battiti d’ali di qualche pennuto che libero volava tra i rami del parco! No con le stesso le stesse lontananze ci saremmo sentiti vicini! Nella vita molte cose si sentono anche se siamo fisicamente lontani, le campane del campanile, le ambulanze, fischio dei merli, un cane che abbaia. La mancanza delle persone che mi mancavano. In quei momenti trovavo superfluo pensare che erano distanti se già albergavano nei miei pensieri. La magia della lontananza che rimpicciolisce gli oggetti all’occhio ma li ingrandisce nell’animo. Avevo letto in un libro che la lontananza e l’assenza prolungata danneggiano ogni amicizia, pare che questo nobile sentimento, senza il frequentarsi si inaridisce poco per volta, ma è anche vero che l’amicizia sincera sono delle corde intonate che vibrano insieme anche se sono lontane. E se una di loro è toccata, vibra anche l’altra della stessa musica, e se il destino lo vuole sebbene separati da mille chilometri ci si incontra; se il destino non lo vuole non ci si incontrerà mai, questo è il bello della vita anche nella lontananza.
Favria, 18.06.2020 Giorgio Cortese

Mettiamo a frutto ogni minuto, saremo meno schiavi del futuro, se ci impadroniamo del presente. Purtroppo tra un rinvio e l’altro la vita se ne va.

La passione ci incoraggia ad andare avanti!
Sono stato recentemente ad una S. Messa di trigesima, trenta giorni dopo la morte, di un Alpino deceduto durante la pandemia, per rendere come gruppo di dovuti onori. Alla fine della S. Messa il capogruppo Giovanni ha detto, non letto, la preghiera degli Alpino, con grande passione e convinzione. Una preghiera che si recita dal 1949, che trae origine da una lettera ritrovata nel 1947, datata 1935, nella quale compare una personale preghiera elaborata per gli Alpini. Già l’inizio, la preghiera ci porta sulle nude rocce, sui ghiacciai perenni dove gli Alpini hanno combattuto nella Grande Guerra, e li il pensiero va ai famigliari, madri, mogli, sorelle, figli e fratelli e qui escono i tre comandamenti Alpini, quello di non dimenticare i sacrifici di chi ci ha preceduto, ricordare i Caduti aiutando i vivi, riconoscersi in soli due simboli che sono il Cappello e il Tricolore e la solidarietà con i fratelli ed infine si conclude con la straordinaria dignità delle persone semplici condensata efficacemente nella parte finale dedicata all’invocazione alla Madonna. Poi come Gruppo ci siamo avviati al Cimitero per recitare ancora una preghiera a Censo, ricordando anche suo cognato Bruno mancato cinque mesi prima, anche lui Alpino. Avviandomi verso il Cimitero ho avuto questi semplici pensieri che voglio condividere. Come Alpini ci impegniamo, ma forse possiamo fare di più per onorare quelli che ci hanno preceduto, vista la bella partecipazione di soci e aggregati alla cerimonia. La nostra forza oggi si chiama Spirito di Corpo che si può definire con poche semplici parole, amicizia, disponibilità e rispetto delle regole che non sono comportamenti distinti gli uni dagli altri, bensì situazioni da vivere in ogni momento nel loro insieme. Sperando di ben interpretare lo Spirito Alpino nella mia ignoranza, dove c’è amicizia, c’è disponibilità a collaborare e la collaborazione si realizza seguendo le regole stabilite. Badate bene non sono parole astratte, ma la base sulla quale gli Alpini devono lavorare uniti, tramandando i nostri valori, perché noi passiamo da questa terra ma le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri esseri umani.
Favria, 19.06.2020 Giorgio Cortese

A volte l’intuizione di un istante talvolta vale una vita di esperienza.

Tiglio
Il tiglio nasce dalla disperazione di una madre nell’antica Grecia. La ninfa Filira, figlia di Oceano, s’innamorò perdutamente del dio Crono. I due vennero sopresi insieme a letto dalla moglie di Crono, Rea, che fece balzare dal letto e fuggire via Crono sotto le mentite spoglie di uno stallone al galoppo. L’amplesso lasciò in dono a Filira un figlio che lei aspettò con trepidazione come consacrazione di quell’unione. Quando il piccolo venne alla luce, ella quasi impazzì perchè il neonato era un centauro, ovvero una creatura per metà cavallo e per metà umano, che divenne poi il famoso Chirone, insegnante di Achille. Per la vergogna la ninfa chiese al padre di essere trasformata in un albero, il tiglio. Ho parlato del tiglio, perché questo albero con il suo profumo intenso sul fare della sera rapisce il mio animo dove rimane indelebile questa sensazione, quale messaggero d’estate in questi giorni di fine giugno che coincidono a Favria con l’imminente festa Patronale. Insomma traccia con il suo profumo un solco di felicità nel mio cuore.
Favria, 20.06.2020 Giorgio Cortese

La forza nella vita non arriva dalle vittorie. La lotta e le sfide sviluppano le nostre forze. Quando attraversiamo le difficoltà e decidiamo di non arrenderci, quella è forza.
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