Clinton: "Così mi conquistò (REPUBBLICA)
con un sorriso ironico"
ROMA
- Sono stati i due volti della fine del XX secolo. Karol l'anima e Bill il
corpo, dirimpettai per tutti gli anni Novanta dalle finestre della più grande potenza
materiale e della più grande potenza religiosa del Novecento. Clinton, Wojtyla e
l'America. Il 42esimo presidente degli Stati Uniti e il 262esimo Pontefice romano l'uno di
fronte all'altro per l'ultima volta oggi e ieri mattina in San Pietro, dove Clinton ha
potuto permettersi di fare quello che come capo dello Stato non avrebbe mai potuto fare ma
che il paziente smagrito e pallido che incontro può concedersi, piangere.
Eppure lei, Mister President, non è neppure cattolico.
"No, e non condivido alcune delle cose che
Ritrovo William Jefferson Clinton nella sua stanza d'albergo affacciata sull'ultimo
pomeriggio romano prima del funerale, nella suite che lo divide da George Bush il Vecchio,
da colui che proprio lui sfrattò dalla Casa Bianca, soltanto da un tramezzo. La luce
forte che entra dalla finestra su Villa Borghese gli illumina i capelli ormai candidi ad
appena 58 anni ma rende gli occhi ancora più azzurri di come li ricordassi quando lo
intervistai per la prima volta in Arkansas, giovane candidato alla Casa Bianca tredici
anni or sono. Vedo uscire il sindaco di Roma, Walter Veltroni, dopo un'ora di incontro con
l'ex presidente americano, e accetta di parlare ancora con me, sul Papa, l'America e io,
Bill Clinton.
Perché, Mister President, tanta gente a Roma, tanta
commozione?
"Perché parlava come qualcuno che aveva a cuore il destino e la vita di ogni singolo
essere umano, senza retorica, senza demagogia, senza violenza, con sincerità
assoluta".
Un Papa pacifista?
"Un Papa di pace, ma che sapeva anche essere duro quando sentiva l'urgenza di
un'ingiustizia atroce commessa contro un uomo, dunque contro tutta l'umanità".
Come nel Kosovo?
"Le ricordo bene le comunicazioni angosciate dal Vaticano, i suoi appelli a me, a
noi, a Washington perché facessimo qualcosa per impedire quello che stava avvenendo nella
vecchia Jugoslavia, dove riuscimmo a fermare un genocidio anche grazie a voi italiani e ai
caccia bombardieri che decollavano da Aviano".
E in Kosovo erano assassini che osavano proclamarsi
cristiani.
"Proprio questa era la sua forza ed è la ragione per la quale anche nazioni non
cattoliche o dove la maggioranza dei cittadini non è cattolica, come i miei Stati Uniti,
hanno vissuto ora per ora, in diretta su ogni network, l'agonia come se fosse stata la
fine di un padre e ora partecipano al saluto finale a questo Papa come se fossero tutti
qui in fila a Roma".
Adesso anche lei, Mister President, ci è diventato un
"Old Papa Boy"?
"Si poteva dissentire, come dissentivo io, da tante cose, dalla centralizzazione del
potere che Wojtyla aveva rafforzato, dalle sue opposizioni a comportamenti privati e a
scelte personali di uomini e donne che la società civile moderna ha invece accettato. Ma
tutti sentivano che lui parlava oltre le mura del Vaticano e della sua Chiesa, per
rivolgersi a chiunque, ortodosso, cristiano protestante, animista, pagano, buddista, ateo
vivesse nel bisogno materiale oltre che nell'incertezza spirituale".
Un messaggio politico, quindi, oltre che spirituale?
"Era un messaggio moralmente democratico, e lo scriva con la "d" minuscola,
per favore, perché non si pensi che voglio fare propaganda politica".
Quindi era capace di fare quello che ogni leader
politico sogna di fare e non riesce mai a fare, farsi ascoltare anche da chi lo avversa?
"Sì, perché era sicuramente sincero e onesto in quello che predicava e diceva.
Molti potevano dire, e ancora dicono, non sono d'accordo col Papa, ma nessuno poteva dire
il Papa mi mente, finge, è opportunista, lancia slogan. Tutti rimpiangiamo sempre grandi
leader, religiosi o civili, capaci di sentire dentro loro stessi lo sofferenze dei più
deboli e dei più indifesi. Mi piacerebbe sapere quanti di quei milioni che ho visto
dall'elicottero stare in fila per onorare la salma sono cattolici davvero o sono persone
che hanno sentito il suo fascino, senza necessariamente appartenere alla Chiesa di
Roma".
Ma
"... no, guardi, io ho avuto per due volte, nel '92 e nel '96, la maggioranza del
voto cattolico..."
... e sembrava esserci stata, a volte, qualche distanza, se non freddezza, tra questo Papa
e lei, Mister
President, in incontri come quello del
"Credo di averlo incontrato quattro volte, o cinque, pensi che non riesco a
ricordarmi il numero esatto di volte... sto invecchiando... e una qui a Roma".
Ricorda la prima?
"A Newark, accanto a New York, per un viaggio negli Stati del medio Atlantico, che
finì a Baltimora. Eravamo, i cardinali, i politici locali, il sindaco, i prelati, lui e
io seduti accanto nella immensa e magnifica cattedrale, quando lui improvvisamente si
alzò e mi disse, con un mezzo sorriso divertito, "torno subito, ora devo andare via
un momento". Non capimmo bene perché, restammo un po' inquieti pensando magari a un
problema di salute, a un malessere".
Invece?
"Invece uscì dal retro della cattedrale, si fece raggiungere dalla sua Papamobile,
dalla sua automobile, e cominciò un largo girovagare per le vie di Newark, nel buio. Poi
tornò davanti al portone principale della chiesa ed entrò nella luce dei riflettori alle
sue spalle, questa figura bianca con la braccia allargate come il Cristo dei crocefissi,
avviandosi verso di noi, verso l'altare maggiore".
Mentre Clinton ricorda, gli brillano gli occhi, di
ammirazione, di invidia, danzando nel rimpianto di chi ha conosciuto questi abbracci di
folla. Ride.
"Era come... come... una rock star. I fedeli in chiesa erano impazziti. Urlavano,
piangevano, applaudivano e i miei ragazzi del servizio segreto si parlavano tra di loro
nervosamente, perché quella folla era fuori controllo. Lui passava da destra a sinistra
stringendo mani, accarezzando i bambini che le madri gli buttavano davanti... c'era un
gruppo di suore Carmelitane, piccoline, alcune molto anziane, che avevano formato una
specie di piramide umana da acrobate cinesi, una arrampicata sull'altra, per vederlo, per
fare i turni a salire e scendere dalle spalle delle sorelle e allungare le mani che lui
non arrivava a stringere, anche sporgendosi. L'arcivescovo di Newark si alzò per venirmi
a dire all'orecchio, Presidente, quelle suore non erano uscite dal convento per vent'anni
e adesso vedono il loro Santo Padre, il vicario di quel Cristo al quale hanno dedicato
tutta la vita, a una spanna da loro, in carne e ossa. Ora possono anche tornare in
convento per altri vent'anni e morire felici".
"Neanche una parola. Si mise a sedere accanto a me, tranquillo, come se non fosse
successo niente, guardandomi un po' di traverso, con quella sua espressione ironica,
vorrei dire quasi maliziosa, come se mi volesse dire, visto?".
Ma in compenso le disse qualcosa il sindaco di Newark?
"Già. Mi disse: sono proprio contento di non doverlo avere come avversario alle
prossime elezioni. E io gli risposi: anch'io. Contro quest'uomo non avremmo
speranze".
Piangerà anche al funerale?
"È possibile. Questo è un leader del XX secolo che tutti rimpiangeremo".
Forse non il solo.
(8 aprile 2005