Le api avevano fatto i favi su un'alta quercia; i fuchi, buoni a nulla, dicevano che erano i loro. La lite fu portata in tribunale, giudice fu la vespa. Questa, conoscendo benissimo la razza di entrambi, presentò alle due parti la seguente proposta: "Il vostro corpo non è dissimile e uguale è il colore, quindi ben a ragione il caso è dubbioso. Ma perché io, scrupolosa come sono, non sbagli per mancanza di cautela, prendete queste arnie e versate il frutto del vostro lavoro nelle celle, in modo che dal sapore del miele e dalla forma del favo appaia chi sia l'autore dei favi, su cui ora si discute". I fuchi rifiutano, alle api invece la condizione piace. Allora la vespa pronunziò la seguente sentenza: "È palese chi non può farli e chi li ha fatti. Perciò restituisco alle api il loro prodotto". Avrei passato sotto silenzio questa favola, se certi fuchi  non avessero ricusato di stare ai patti. FEDRO

Ascolto in silenzio

Ascolto il silenzio pungente della solitaria nottata. La strada deserta rabbrividisce alla luce intirizzita dei lampioni. Un improvviso sbadiglio del vento increspa le acque della roggia che gorgogliano gagliarde…In lontananza il latrato di un cane reagisce con rabbia agli spettri in cerca di anime consumate dalla vita e.il mio respiro si confonde col respiro dell'inverno. Il silenzio della notte si   mescola col mio, che ostinatamente taccio

Ma davvero internet ci fa meno intelligenti?

Siamo proprio sicuri che i computer ci rendano più intelligenti? Ho recentemente letto il libro di Nicholas Carr, attento studioso dei nuovi media, che è convinto del contrario, e ha scritto un brillante libro per dimostrarlo: Internet ci rende stupidi? pubblicato da Raffaello Cortina Editore, traduzione di Stefania Garassini, pagine 318, euro 24,00. Fruitore entusiasta di ogni nuova tecnologia, lo studioso si è accorto con rammarico che la nostra concentrazione diminuisce man mano che aumenta il tempo trascorso al computer: l’irresistibile tentazione di aprire la posta elettronica mentre stiamo scrivendo o addirittura camminando; o di aggiungere un commento su Facebook mentre stiamo studiando, fa infatti precipitare la nostra concentrazione a livelli bassissimi. Del resto, come diceva già Seneca ben prima dell’invenzione di Google, “essere dappertutto significa non essere da nessuna parte”, e l’approccio inevitabilmente superficiale offerto dal computer è il primo, ineludibile costo di un sapere perennemente connesso. Ma la distrazione non è l’unico prezzo pagato alle innovazioni tecnologiche: come hanno dimostrato molti studi scientifici, l’uso di uno strumento, per quanto semplice esso sia, modifica sempre l’apparato sensoriale e percettivo del soggetto. Partendo dal fin troppo noto assunto di Mc Luhan che “il mezzo è il messaggio”, Carr spiega come questo celebre slogan sia in realtà un grido di allarme contro l’immenso potere delle nuove tecnologie, tanto più costante quanto apparentemente innocuo e addirittura invisibile. I dibattiti circa la bontà o meno di un medium, in effetti, vertono sempre sui contenuti veicolati e non sul medium in quanto tale, ignorando così gli effetti profondi che ogni supporto tecnologico ha sulla percezione della realtà, alterando il cervello e il sistema nervoso. A chi, un po’ superficialmente, sostiene che la tecnologia è neutra, ed è l’uso che se ne fa a stabilirne la differenza, mi viene da rispondere che questa mi sembra  l’opaca posizione dell’idiota tecnologico, ignaro sonnambulo destinato a un brusco e sgradevole risveglio. Leggendo il libro, l’autore fa piazza pulita di molti luoghi comuni, come la ridicola convinzione che il cervello sia paragonabile a un computer, ossia a una macchina/ hardware dotata di una memoria limitata, per quanto estesa, che funziona grazie ai programmi/ software  installati una volta per tutte durante l’età evolutiva. Ma il cervello è, invece, dotato di una memoria illimitata che continua a modificarsi per tutta la vita, rispondendo alle varie sollecitazioni ricevute. Più che a una macchina, insomma, secondo l’autore, il cervello è paragonabile a un fiore, dotato di una crescita organica, continua e indeterminata. Il libro, solido e ben scritto, è curiosamente costruito proprio secondo il modello dell’ipertesto tanto criticato sul web: dalle osservazioni introduttive generali, lo studio si inoltra, capitolo dopo capitolo, lungo sentieri molto diversi e altrettanto interessanti, dalla storia della comunicazione all’analisi dei meccanismi cerebrali, dalla descrizione di come nacque Google alla mnemotecnica, per giungere infine alle conclusioni annunciate. Il sapere acquisito on line non è paragonabile a quello sudato sulle pagine di un libro, dato che il primo incoraggia la dispersione verso frammenti di conoscenza che privilegiano rapidità ed intuito, mentre il secondo alza la soglia della nostra attenzione. La conoscenza tecnologica, inoltre, deriva dall’etica taylorista del massimo rendimento col minimo sforzo, che potrà forse funzionare alla catena di montaggio, ma che fa scempio della delicato equilibrio che presiede le facoltà intellettuali e immaginative. La creatività, infatti, non è figlia della rapidità o dell’efficienza, ma dell’ozio creativo e dello spreco. Un solo argomento, oltre a quello degli antidoti, viene curiosamente tralasciato dall’autore, ossia l’analisi della tanto magnificata istruzione on line, invocata spesso come panacea di tutti i mali. Peccato, perché probabilmente l’affilata intelligenza dell’autore sarebbe stata ancora più spietata nell’accanirsi su presidi e docenti, capi ufficio e dirigenti d’azienda, quando non addirittura ministri, tanto inspiegabilmente entusiasti quanto profondamente superficiali.

Favria  13.02.2012                     Giorgio Cortese

 

Il vigore ha tutto a che fare con il raggiungimento di un certo livello mentale e dell’animo. Il vigore è sinonimo di energia, e l’energia dell’animo fa muovere ogni cosa.