Per certe persone che si nascondono nell’anonimato è facile trovare delle valide ragioni anche quando hanno torto.


Ma stanno lavorando per noi?

Se penso alle parole verbali e propinate a mezzo stampa di un piccolo novello Arpagone in questi ultimi tempi mi viene da pensare a quanto letto diverso tempo fa nel “ Stavo per chiamarti”, ed. Lampi di stampa di G. Vigini. In questo libro c’è un bel pensiero sulla  Salerno-Reggio Calabria, dove l’autore colloca da subito la frase “Stiamo lavorando per voi” al suo livello più alto. Perché lì non c’è soltanto abnegazione: c’è l’idea stessa di eternità. È però anche uno dei casi in cui si vorrebbe che lavorassero un po’ meno per noi. Certo lo slogan “Stiamo lavorando per voi” mi fa personalmente pensare anche a quel motto fascista del “Duce che veglia per voi”, ma che forse: avrebbe fatto meglio, invece, a dormire di più! È uno stereotipo che fa il paio con quel “Lasciateci lavorare!” che spesso è il motto di amministratori locali o di burocrati che sono immobili ed inerti alla scrivania, con magari e spero proprio di no, davanti al giornale aperto. O ancora a quel “Stavo per chiamarti” del titolo che in realtà non è telepatia ma solo un essere preceduti da una telefonata che non si sarebbe mai voluta fare. E così via, tra un “Non so se mi sono spiegato” e un “Non ci sono più le mezze stagioni” e altro ancora, fino alla falsissima dichiarazione secondo la quale “I soldi non sono tutto”…

Oggigiorno per affrontare la crisi non abbiamo bisogno di roboanti promesse da libro dei sogni ma abbiamo bisogno di purificare il linguaggio, per ritrovare maggior sincerità e autenticità  nel nostro quotidiano agire per evitare delle banalità del tipo “Non nascondiamoci dietro ad un dito”.  Ma forse Arpagone ed il suo nostromo si nascondono proprio dietro ad una dose massiccia di ipocrisia, di insulsaggine e persino di falsità. È proprio il caso del  “ dietro un dito!”

Favria 4.5.12      Giorgio Cortese

 

Conosco delle persone che si sentono importanti ma mi ricordano il famoso Natale in casa Cupiello (1931) Eduardo De Filippo propone, al riguardo, una battuta esilarante: “Che brutto suonno mi so' fatto stanotte. Mi sono sognato che lavoravo!” E allora in “favriot” vi esorto: andate a lavorare “pista fioca!”