Siamo uomini, caporali o capitani?

In questi tempi, di crisi e di sfaldamento etico ed economico, molte persone cercano di nascondersi dietro ad un dito, per sfuggire alle loro responsabilità, bramando solo gli onori e non gli oneri che, ed è vero, attualmente sono alquanto pesanti. Una volta il grande Totò aveva detto:”ma siamo uomini o caporali?”. Ma adesso mi viene da pensare che siamo ormai tutti dei miseri caporali o peggio capitani di piccolo corso, purtroppo neanche più di lungo, vista l’incapacità nel gestire le varie situazioni, e con meschina ottusità cercano solo più di salvare loro stessi, adesso che la nave potrebbe affondare o incagliarsi sugli scogli, dello sconquasso politico ed economico, anche senza il  cortese saluto alla terraferma. E pensare che abbiamo una risorsa inesauribile e  non intaccabile da nessun spread! Il lavoro ben fatto! Ritengo che il problema del lavoro forse è stato affrontato dal lato sbagliato della corda, questa infatti è inutile se la si spinge, ma diviene di aiuto se si tira, magari agganciata ad una carrucola, sposta dei pesi che da soli non riusciremmo mai a gestire come vogliamo. Ritengo che libertà e responsabilità siano tra di loro inscindibili, e se la la libertà è il territorio in cui ci muoviamo, la responsabilità è il tracciato delle strade e, se si vuole, anche il perimetro o confine. Purtroppo spesso  si assiste ad atti "irresponsabili" che si originano dalla libertà senza essere sottoposti al controllo della ragione e della volontà. Leggendo i giornali rimango allibito da come certe persone siano riuscite a dilapidare considerevoli cifre che avrebbero sistemato i magri bilanci delle varie scuole, o di piccoli comuni che con dignità stringono i denti e vanni avanti. Hanno dissipato delle somme con viaggi e feste di dubbio gusto con il denaro pubblico, il nostro denaro! Come direbbe Shakesperare: “ Ma vergogna dov’è il Tuo rossore?”. Allora mi domando queste persone sono cosi ciniche che non provano un minimo di vergogna, dando almeno da subito le dimissioni, come primo atto di contrizione verso i concittadini che a suo tempo li hanno votati, magari anche in maniera pebliscitaria.  Da come si comportamo mancano di  responsabilità  e di  consapevolezza del proprio limite e dei doveri che   hanno nei confronti del bene comune e del rispetto verso gli altri esseri umani. Bisogna dare la sveglia perché se si rischi di diventare ad una società simile ai giunchi che si curvano al passaggio del vento della propaganda e al predominio del potere pronto a diffondere i suoi luoghi comuni e i suoi messaggi espliciti o subliminali. In questo frangente, ritengo che non si deve  cedere alla facile retorica, “ma intanto rubano tutti e sono tutti uguali”, gli uomini politici onesti esistono e lavorano in ogni partito, senza di loro saremmo già inabissati da diverso tempo. Bisogna evitare la perversa logica  dell’opportunismo, che ri­tiene che tutto sia negoziabile, che nulla ab­bia un valore assoluto, che il fine giustifichi i mezzi, che il 'realismo' debba essere la parola d’ordine,  che tutto possa es­sere fatto, purché se ne ricavi un adeguato profitto. Il cinismo, che rappresenta la fase matura, e probabilmente definitiva, del 'se­colarismo', è la dimensione che assume il relativismo in politica.  E allora, per ripartire non si aumenta la  produttività lavorando di più ma lavorando meglio tutti, anche inel campo della politica ed utilizzando bene  le idee che vengono dal basso. Ritengo che dalla base possano venire le dovute idee che così ci permetteranno di navigare con serenità ne futuro.

Favria 5.10.2012            Giorgio Cortese

 

Sono fermamente convinto che la  poe­sia, dice ciò che il silenzio trat­tiene e che impedisce di dire, trasformando la parola in canto che pentra nell’animo di chi ascolta o che legge!

 

Da Omero a  Tàca bòrgno!

Tutto ciò che si sa di Omero è perso nel mito e nella leggenda. Incerto è l'origine del suo nome, e perfino se  è stato lui a comporre quelle due grandi opere, le mie preferite: l’Iliade e l’Odissea, che sono a  lui attribuite.  Pare che sia nato forse o  a Chio in Grecia, o a Colofone nella moderna Turchia,  ma altri attribuiscono i suoi natali a   Smirne, sempre in  Turchia.  Dai libri letti l’origine del suo nome vorrebbe dire: “ il non vedente”, infatti pare che Omero fosse un cantonere che girava nelle corti micene cieco, un aede insomma, ma altri avanzano l’ipotesi che il suo significato sia quello di “ostaggio” oppure di “raccoglitore”. Per quanto riguarda l’età in cui visse, e quindi l’epoca dell’Iliade e dell’Odissea, il periodo oscilla tra il XII e il VI secolo a. C., anche se le tesi più accreditate propendono per il VII o VIII secolo. Per Erodoto, invece, Omero sarebbe vissuto quattro secoli prima di lui, il che collocherebbe questo cantore indietro nel IX secolo. La maggior parte delle sue tarde  biografie sono zeppe di notizie senza alcuna possibile corrispondenza con la realtà, come ad esempio l’aneddoto relativo alla sua gara poetica con Esiodo. Ma, nonostante l’autore dell’Iliade e dell’Odissea si perda nelle nebbie delle storia e si confonda con il mito, ci sono pervenute due grandi opere dalla fortuna e dalla forza inestinguibili offrendo a chiunque voglia leggerle due storie rimaste miticamente e straordinariamente avvincenti. Ed ecco che il cantore cieco dell’epica dell’Antica Grecia mi sembra molto simile al  termine che nei decenni passati, prima della dittatura della televisione matrigna, c’era nelle osterie dei paesi. Allora, pare che il mestiere di suonatore itinerante era per la maggior parte delle volte un non vedente, perché non poteva fare altro di mestiere. Ed allora quando entrava in una osteria o girava tra le aie degli airali  e cascine o,   nei cortili delle case urbane, risuonava un invito esplicito a suonare o a raccontare suonando qualche storia, che poi nelle sere d’inverno gli anziani la ripetevano a quelli che non erano stati presenti a quella festa. Questo invito da allora è rimasto nella parlata tradizionale piemontese, anche senza riferimento alla musica o a qualche racconto popolare: “comincia cieco!” Ovvero! “Tàca bòrgno!”

Favria, 6.10.2012               Giorgio Cortese