Devo constatare amaramente che nella vita ci sono tre tipi di amici, il mio amico,  l'amico del mio amico e il nemico del mio nemico

Non è  solo un altro paio di maniche…

La manica che è la parte  di un indumento che copre parzialmente o totalmente il braccio e può essere manica lunga o manica corta. Certo da questo lemma manica ed il suo plurale maniche sono nati molti modi di dire. Essere in maniche di camicia, ovvero essere senza giacca,  rimboccarsi, tirarsi su le maniche,   per essere più libero nei movimenti o anche per significare l’azione di   prepararsi a qualche impresa che richiede zelo, impegno.  E poi di seguito avere l’asso nella manica, quando si dispone di risorse nascoste, ma decisive   volgere a proprio favore una situazione. Ma con questo termine si designa anche un tipo di vela denominato manica a vento, un tronco di cono di tela a strisce  bianche e rosse che è appeso in cima a un'asta e che gonfiandosi per il vento ne rivela la direzione. Essere  nella manica di qualcuno, quando si godono  dei favori di qualcuno, della sua indulgenza, benevolenza o simpatia. Si definiscono mezze maniche la mia categoria di ragionieri , insomma  impiegati di basso livello, e in senso lato persona mediocre, priva di ambizioni. Questo ultimo modo di dire deriva dall'uso degli impiegati di un tempo che per non sporcare o rovinare la giacca, allora di rigore in tutti gli uffici, vi indossavano sopra due specie di tubi di tessuto nero che ne ricoprivano le maniche fino al gomito. Anche nel linguaggio militare si usava anticamente per indicare una schiera di soldati ai lati dell'esercito simili alle braccia. Purtroppo tale termine ha anche assunto un significato dispregiativo, una manica di lazzaroni opporre in caso di scontro fisico prendersi una manica di botte. Manica deriva dal latino “manica” da “manus”, in provenzale “mancha” e in piemontese mania. Ma quello che mi interessa oggi è la locuzione: “ è un altro paio di maniche”, termine che oggi un collega ha usato nel discutere una situazione. Insomma un’altra cosa, una cosa del tutto diversa,  da non paragonare alla precedente in quanto generalmente, ma non sempre, migliore di essa. Questa espressione ha preso piede nell’italiano colloquiale nell’ottocento. Tutto ha inizio nei secoli XV e XVI quando entrano in uso le maniche staccabili da applicare agli abiti, spesso ornate in varie fogge o percorse da tagli dai quali fuoriuscivano a sbuffi le stoffe della camicia sottostante. Ove ornate da gemme e ricami entravano a far parte  dei guardaroba più ricchi, alla fine del XVI secolo erano considerate capi a se stanti, indipendenti dall’indumento, e nella moda femminile costituivano una sopramanica aperta nella quale era contenuta la prima manica, attillata. La locuzione prende origine proprio in quest’epoca da un’usanza per cui i fidanzati si scambiavano nastri e maniche con l’impegno di indossarli come segno di fedeltà;  quando si presentavano con “un altro paio di maniche” significava  perciò che era subentrato un nuovo amore. Nel quadro di Leonardo da Vinci  La Belle Ferronnière,  si vede molto bene la dama con maniche estraibili legate da nastri. Ma pensate che le  maniche, che cominciarono ad avere l'aspetto attuale solo nel Medio Evo. Le maniche intercambiabili consentivano inoltre di modificare il tono dell'abbigliamento in relazione alle varie occasioni ufficiali o mondane, e per questo erano riccamente adornate di metalli e pietre preziose, per cui la loro ampiezza testimoniava della ricchezza di chi le indossava. Nasce da qui la locuzione “essere di manica larga” come concetto di generosità, poiché era uso che una dama premiasse il valore del vincitore di un torneo gettandogli una delle sue maniche tempestate di gioielli. Per corruzione linguistica, quest'usanza portò nel tempo alla parola “mancia”, contrazione di “manica”, nel significato attuale di riconoscimento a chi svolge particolarmente bene la propria attività. Certo che l’espressione idiomatica della nostra lingua: è un altro paio di maniche,  mi fa riflettere sul concetto della fedeltà. Ci sono delle persone che dovrebbero stare attenti ad appoggiarsi troppo ai principi perché poi si piegano. Per loro la nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta:”abbiamo famiglia”. Molte persone hanno il vizio del compromesso a tutti i costi. Premetto il compromesso serve ma diventa pericoloso se diventa compromissione, ossia si cede su i valori fondamentali solo per un vantaggio personale, magari ammantato sotto la scusante della urgente necessità. La compromissione è la palude della morale dove esiste solo più il personale tornaconto e la vanagloria magari fingendo di tener alta la bandiera dei principi. Alla fine il risultato è, sì, vantaggioso per i propri interessi ma sfavorevole per la coscienza e per il prossimo e per il bene comune. Il compromesso  è l’arte di tagliare una torta in modo tale che ciascuno creda di aver avuto la fetta più grossa. La solita furbizia che si riveste   di retorica moralistica, con un benservito alla coerenza e alla vera moralità. In realtà, bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto. Queste persone riprendendo un altro modo di dire che deriva manica, ciurlano nel manico, si sottraggono ad un impegno o a una promessa mediante rinvii, pretesti oppure indecisioni, la parola ciurlare, deriva dal latino “circulare”, muoversi in giro, girare e viene anche indicata per quegli arnesi il cui manico non è ben fisso, e allora non si possono bene adoperare .Per fortuna che ho trovato nella vita dei veri amici simili nella vita quotidiana ai devoti samurai dell’antico Giappone. Sono persone che coltivano l'intelligenza, la compassione e il coraggio. Il possesso di tutte queste virtù può sembrare impossibile all'individuo comune, ma non è difficile. L'intelligenza non è niente più che saper ascoltare gli altri, e da ciò si ottiene una saggezza infinita. La compassione consiste nell'agire per il bene altrui, onorando il prossimo. Il coraggio è saper stringere i denti e sempre fedeli. Il saper ascoltare gli altri, già, proprio io, che qualche volta mentre chi mi sta di fronte parla, ho già la testa altrove e penso meccanicamente alla risposta da dare senza accorgermi che, magari, la domanda è già cambiata. Ma il vero amico lo riconosco perché mi sta sempre ad ascoltare, dalla schiena dritta e può stare sopra un una vecchia utilitaria o sopra un fuoristrada ma  avrà sempre negli occhi un guizzo infinito di dignità. L’amico vero è quello che mi ha scelto e per questo non potrà mai tradirmi. Il vero amico è simile ad un vaso di ferro che non ha problemi a confondersi con quelli di coccio

Favria 23.11.2012              Giorgio Cortese