Non è solo una fiaba..

Questa sera arrivando a casa mi si è rotta la borsa   ripiena di caramelle, acquistate per fare domani in una scuola il Babbo Natale!   Quando sono entrato in casa mi sono accorto dello squarcio nella borsa e, allora ritornando indietro a ritroso ho raccolto le caramelle sulle scale fino alla rimessa dell’auto. Questo buffo episodio mi ha fatto pensare alla fiaba di Pollicino di Perrault, che ha delle indubbie radici medioevali comuni a quella di Hansel e Gretel. Il tema dominante di queste fiabe sono le  grandi carestie avvenute sotto il regno di Luigi XIV, si proprio lui il Re Sole. E allora, mi viene da pensare che con l’attuale crisi nonostante proclami pre-elettorali e comunicati ufficiali la crisi non accenna a passare ma anzi, si incattivisce su tutti noi, e mi auguro che non arriviamo a quelle tremende carestie ma poco ci manca. Tornando alla storia, in quel tempo invece dello spread c’era in atto una “piccola era glaciale”, e pensate che non si poteva neanche dare la colpa al buco dell’ozono o all’attuale inquinamento, una mini glaciazione che avvenne tra il 1687 e il 1717. In quegli anni, nel 1715 la Senna ghiacciò completamente durante l'inverno "siberiano", e il suolo gelò per 70 cm in profondità, simile al  permafrost, e non cresceva nulla! Mi sembra che la fiaba sia sempre attuale, infatti il tema del racconto si sviluppa intorno all’amara alternativa di mangiare o di essere mangiato. L’astuzia di Pollicino, come un novello Odisseo è quella di   fare cadere i sassolini e ritrovare la via di casa. Successivamente pollicino e i suoi fratelli  sentono l'avvicinarsi dei lupi affamati e si rifugiano nella casa dell'Orco dove ricevono un lauto pranzo ma corrono il rischio di essere a loro volta divorati dallo stesso. Ritengo che per affrontare concretamente questa crisi dobbiamo imparare ad usare meglio la nostra intelligenza osservando con attenzione ed ascoltando con acuta riflessione i discorsi dei vari farlocchi di turno. Questa è una fiaba che mi ha sempre affascinato da bambino perché ha molti temi  che si possono ricondurre alla mitologia greca, i sassolini di Pollicino sono simili al filo di Arianna e poi abbatte l’Orco come un novello Teseo con il Minotauro. Ma il tema dell’Orco riprende anche il racconto biblico di Davide e Golia. Infine l’Orco ricorda anche Polifemo dell’Odissea, in quanto tiene anche lui prigionieri i marinai greci che tornavano in patria dalla guerra di Troia. Ma questa figura di Orco è molto attuale, nella fiaba originale di Perrault, è detto chiaramente: “'Orco era un marito eccellente, con tutto che mangiasse i bimbi”. Insomma, un uomo eccezionale da un punto di vista economico, peccato per quel dettaglio e allora stiamo attenti ai novelli orchi. In conclusione ritengo che questa fiaba insegna che ogni giorno noi possiamo farcela contando sulle proprie forze.  Inutile mentire e dire che la crisi è dietro all’angolo, la strada da percorrere è faticosa, irta di pericoli, truculenta, spaventosa. C'è da incontrare l'Orco, il fantasma delle paure più arcaiche, quelle di essere divorati, c'è da batterlo, e non è un'impresa semplice. Però, se ce l'ha fatta Pollicino noi non siamo meno di lui.

Favria, 20.12.2012                 Giorgio Cortese

 

Molte volte non ci rendiamo conto che le conseguenze della collera sono molto più gravi delle sue cause.

 

Vado in un brodo di giuggiole

Una persona, questa mattina al lavoro mi ha chiesto se sapevo che cosa voleva dire “andare in un brodo di giuggiole”. Ritengo che questo modo di dire sia una fortunata unione di parole usate esclusivamente nel significato figurato di “andare in sollucchero”, insomma uscire di sé  dalla contentezza. Mi spiego meglio, inizialmente si usava dire andare in un brodo o broda di succiole. Le succiole erano le castagna lessate con la buccia, successivamente le  giuggiole, cioè i frutti del giuggiolo, impiegati, fra l'altro, sia in medicina, per decotti contro la tosse, sia in cucina, per marmellate e confetture, hanno preso il posto delle sopramenzionate succiole. Questa espressione originaria, di provenienza toscana, è già ammesso nella prima impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca,  nel 1612,  dove, per l'appunto, è menzionata .Allora lo stato di contentezza al quale andare in brodo di giuggiole e andare in brodo, o broda, di succiole fanno riferimento sembra, in definitiva, doversi collegare alla bontà dei frutti menzionati.  E poi la giuggiola condivide la stessa sorte di molti altri piccoli frutti conviviali,   rotondeggianti e  di piccola dimensione come le noccioline, le caramelle e i confetti, una tira l’altra!La giuggiola è un frutto che matura all’epoca della vendemmia, viene di solito consumato fresco o leggermente appassito, quando risulta più dolce. In passato era spesso impiegato come ingrediente di base per marmellate e confetture: utilizzo di recente recuperato per quello che viene impropriamente denominato brodo di giuggiole.Fin dai ricettari quattrocenteschi era noto invece uno sciroppo di giuggiole, dal sapore dolciastro e con effetti espettoranti: più tardi divenne pasticca di giuggiole, per indicare un confetto a base di estratto di giuggiole, gomma arabica e zucchero. Il termine finì poi per designare la sola pasticca di gomma arabica. Fra l’altro il frutto non un era cibo particolarmente indicato per le mense dei signori: il consumo, poco controllabile, creava effetti indesiderati per i convitati ai nobili banchetti. Con le giuggiole si poteva cucinare la carne, il pollame in particolare: una sorta di lesso a cui, a metà cottura venivano aggiunti cipolla, ciliegie, uva passa e giuggiole secondo una ricetta arabo-andalusa detta “muruziya. Sarà forse attraverso questa prelibatezza agrodolce medievale che si farà strada il nostro brodo di giuggiole. La forma attuale del nome del frutto, giuggiola, deriva dal nome della pianta che in latino   era ziziphum iuiuba, e nel tardo greco zizoulà, secondo un processo piuttosto comune per cui il nome della pianta passa a designare il frutto. La forma del greco tardo è alla base del toscano zizzola e veneto zizola. Invece il lemma succiola, deriva   dal verbo succhiare e in toscano indica la castagna cotta nell’acqua con la buccia. Il succiolaio, sempre in toscano, indica il venditore di castagne lesse, e la succiolata una bella mangiata di castagne lesse. Le castagne lesse, o succiole, morbide e farinose avevano fatto contente moltitudini di bambini che non conobbero mai il sapore delle caramelle. Erano veri e propri doni nelle occasioni di festa, che neppure i grandi disdegnavano, venivano distribuite come oggi si distribuiscono nelle feste nuziali i confetti, e  si regalavano agli invitati nei momenti di allegria in segno propiziatore di fecondità e benessere. Le succiole venivano definiti non per nulla “i confetti dei montanari”. In conclusione devo supporre che ad un certo punto il brodo di succiole sia divenuto di giuggiole per somiglianza fonetica fra i due termini indicanti oggetti diversi, succiola e giuggiola e che entrambe condividevano la stessa sorte, quella   di allietare i bambini ed esser graditi nei giorni di festa a tutti. Certo “andare in un brodo di giuggiole” con questa crisi non è facile ma è anche vero che la gioia è sospesa dalle spine ed il percorso di ognuno di noi per essere felice è difficoltoso e pieno di ostacoli e, qualche volta per raggiungerla si soffre molto. Ma una volta raggiunto il breve istante di felicità con estrema fatica, si ha sempre paura di perderla. In ogni caso non bisogna mai dimenticare che solo un istante di intensa gioia   compensa anni di amarezze e per affrontare la vita quotidiana l’ottimismo è fondamentale, e quello possiamo trovarlo solo dentro di noi, e a volte  forse basta un minimo di attenzione, per trovarla.

Favria, 21.12.2012              Giorgio Cortese