Scriveva Henry Ford che: "Ogni fallimento è semplicemente un’opportunità per diventare più intelligente." Ritengo allora che, non potendo mai diventare intelligente con la mia umana ed imperfetta mediocrità posso allora sforzarmi giorno per giorno nel 2013 di provare almeno a capire sempre di più le persone che incontro.

 

La Germania di Tacito e la Patria che vorrei

Vorrei proporre una riflessione sulla Germania di Tacito scritta nel  98 d. C.. Se con Giulio Cesare i Germani sono già citati nel De bello Gallico, dove questa prima fonte ne sottolinea la  maggior arretratezza ei ferocia dei Germani rispetto ai Celti: ”I Germani hanno consuetudini diverse. Non hanno druidi che presiedano alle cerimonie religiose né compiono sacrifici;considerano dei solo quelli che vedono. Nessuno ha un terreno proprio fisso o un possesso personale. Il vanto maggiore per le loro genti è avere intorno a sé dei deserti. I Germani mantengono sempre le stesse condizioni di povertà, stenti e sopportazione”. L’opera di Tacito nasce in un contesto storico profondamente diverso. Nel De bello Gallico i Germani rappresentano un nemico che è stato vinto da Cesare, invece Tacito compone la sua opera dopo la sconfitta di Teutoburgo del 9 d.C., che sancì la definitiva rinuncia per i Romani a occupare il suolo della Germania,che rimase fuori dal limes È noto che il capitolo 2 sulla autoctonia dei Germani e il capitolo 4 sulla purezza della loro razza sono stati al centro di un dibattito che ha avviato da parte del regime hitleriano una manipolazione storica che ha ferito non semplicemente la memoria del grande storico latino, ma la “verità”. Poco conta oggi ricordare che alla mentalità romana era estaneo il concetto di razza, perché il loro impero era stato sin dalla fondazione multietnico, anche se schiavistico e certamente discriminante per chi non fosse stato cittadino a tutti gli effetti.. e la loro forza è stata la capacità di rinnovarsi nell’incontro con l’ “altro”. Ma il  Terzo Reich di Hitler vide in questo testo un autorevole materiale idoneo alla propaganda razzista. Del resto il mito di Roma imperiale era già stato recuperato in altre occasioni storiche a suffragio di imperialismi di varia provenienza: da quello francese di Napoleone fino all'Italietta fascista, per ricordarne solo alcuni. Ma con la Germania di Tacito l’autore ha scritto questa monografia su questo popolo come un invito rivolto ai Romani affinché si guardino dentro e ritornino alla sobrietà degli antichi costumi prima di essere travolti da altri popoli più "virtuosi". Pertanto lo schema della monografia è tutto basato sul confronto implicito Roma-barbari: da un lato la corruzione, la decadenza morale, i vizi; dall'altro un tenore di vita semplice e genuino, un amore ostinato per la libertà. “Più pericolosi sono i Germani con la loro libertà che non i Parti con il loro regno” afferma lo storico, avvertendo il pericolo mortale che può venire da queste indomite popolazioni. Ma bisogna anche leggere il momento storico politico di allora,  Traiano era il successore designato di Nerva. Quando viene annunciata la successione, siamo nel 97, un anno prima,   Traiano era governatore della Germania superiore. Sul suo nome era confluito il consenso di quella parte della classe senatoria che non si era compromessa nel quindicennio del principato di Domiziano, ma allora come adesso non mancano i contrasti. Il trapasso non è poi così scontato, incombono gravi dilemmi e problemi di ordine politico. Quando Nerva muore, scoppiano sedizioni pretoriane e il bersaglio è proprio lui, Traiano, il successore designato; però gli eventi subiscono una svolta strana, indecifrabile a prima vista e collegabile con la lungimiranza e l’abilità politica di Traiano. Egli non torna affatto a Roma, assorbito com’è dagli impegni militari e politici sulla frontiera renana. Rivela in questo, come del resto nelle successive mosse, una straordinaria abilità politica. Nomina persone fidate nei posti chiave delle magistrature civili e dell’amministrazione pubblica, reprime la rivolta pretoriana e si spiana la via per una successione tutto sommato indolore. Quanto egli sia politicamente ben saldo e anche quanto il suo prestigio sia alto, lo si intuisce dal coraggio con cui prende un provvedimento decisamente impopolare: riduce della metà il tradizionale donativo concesso  alla plebe per l'ascesa al trono di un nuovo principe. In questo modo fa capire che sarà anche un oculato amministratore, insomma non promette che se sarà eletto abolirà da subito l’IMU. E oggi avremmo proprio bisogno non  di   politici ingordi ma di governanti assennati.  Tornando al testo di Tacito, questo viene composto in questo clima politico acceso e dopo 1904 anni l’opera è sempre attuale in questo clima pre elettorale che si annuncia litigioso e “travagliato”. La cosa preoccupante è che se Tacito è lontano, i fascismi scomparsi ed anche i Soviet, il Grande fratello è solo, per fortuna, una trasmissione, non un programma per cancellare dati e produrre smemoratezza e allora Orwell può dormire sereno. Ma il problema è che nessuno può sentirsi tranquillo in un situazione di silenzio autorizzato del passato, né pensare che si possa fare il lifting alla storia, per renderla più accettabile, pronunciabile, addomesticabile, con l'incauto ottimismo e l'indulgenza permissiva di vari tipi di dimenticanze che vanno nominate per ciò che sono: ignoranza, ideologia, menzogna servile. Dopo aver letto la Germania di Tacitò mi viene da pensare a quale Italia che vorrei adesso?  L’Italia che vorrei è una Patria,  una comunità di persone in cui le norme sono accettata e rispettate. Nell’Italia che vorrei chi ricopre cariche pubbliche a qualunque livello, dal responsabile di partito al membro del governo o del Parlamento, ha la responsabilità di un comportamento integerrimo, e al   minimo indizio di comportamento non conforme alle sue funzione  si deve fare da parte. L’Italia  che vorrei è la Patria dalle mille Comunità e dalle migliaia di risorse locali. L’Italia che vorrei  sono degli italiani capaci   di indignarsi di fronte ai soprusi  L’Italia che vorrei è un governo che ha l’audacia di fare il forte con i forti, capace  nel colpire le varie caste che continuano a prosperare e  ad esistere nel Paese premiando chi lavora con meno tasse e punendo severamente chi evade le medesime. Ma per costruire una Patria dove tutti ci riconosciamo, beh questo spetta a noi che abbiamo il futuro nelle nostre mani già da febbraio votando per cambiare definitivamente pagina.

Favria, 3.1.2013              Giorgio Cortese

 

Dalla tosse alla  tossilaggine

La fastidiosa tosse di questi giorni  mi ha fatto pensare al significato di questo lemma. Tosse, anticamente tossa deriva dal latino tussis, , in francese toux, spagnolo tos. Pare che l’origine della parola  è il suono di chi tosse.. altri lo credono che derivi dall’antico tedesco  tuten. In antico gotico era detto huthaurn, tromba e in antico anglosassone thèotan urlare. E poi che cos’è la tosse un espirazione sonora, più o meno violenta, causata da irritazione della mucosa tracheale o bronchiale, avente lo scopo di espellere la mucosità. Ma il poeta latino Publio Ovidio Nasone scriveva al riguardo: “Amore e tosse non si possono nascondere”. Personalmente aggiungerei questo piccolo pensiero”Amore, tosse e pancia non si nascondono mai”  Ci sono diversi tipi di tosse la mia è sicuramente asinina visto il soggetto. Ma anticamente per combattere la tosse usavano la tossilaggine, dal nome scientifico “tussilago farfara”, dato da  Lineeo nel 1753. La tossilaggine è una pianta erbacea perenne, dai fiori gialli simili alle “margherite”,  ed è l’unica specie del genere Tussilago.  Questo nome deriva  dall'uso molto antico di questa pianta nel campo della medicina popolare: tussis ed agere, “tosse” e “fare” o “togliere”, quindi traducendo liberamente “far togliere la tosse”. I primi riferimenti si trovano già negli scritti dello scrittore e naturalista latino Plinio il Vecchio, più di duemila anni fa.  Ma il nome specifico,  farfara,   è ripreso dal nome antico in latino che questa pianta aveva presso i romani: farfarum. Questo termine potrebbe derivare da farfer , portatore di farina e probabilmente si riferisce all’insieme dei peli fitti, più o meno lunghi e in parte intrecciati, che ricoprono la superficie della pianta di colore bianco come la farina. In lingua tedesca questa pianta si chiama    Hauflattich; in francese si chiama Tussilage farfara o anche Pas d'âne; ed in inglese si chiama Colt's-foot. Detto questo non mi è passata la tosse e cosi prendo lo sciroppo.

Favria, 4.01.2013                      Giorgio Cortese