Nella vita può anche esistere che delle persone acquisiscono del merito senza successo, ma non esiste mai un successo senza qualche merito.

 Il sole ed il Vento.

Tratto da una favola di Esopo

 Secondo gli studiosi, Esopo visse tra il VII e il VI secolo a.C. in Grecia ed è considerato l'inventore della favola. Della vita dell'autore persino gli antichi sapevano ben poco: nativo della Frigia, visse come schiavo a Samo e fece numerosi viaggi in Oriente e in Grecia, soprattutto a Delfi. Già alla fine del V secolo a.C., si attribuiva a Esopo un corpus di favole, la cui popolarità è attestata sin dagli inizi e che costituivano una delle prime letture scolastiche per i bambini. A noi è giunta una raccolta di circa cinquecento favole, frutto di redazioni diverse: i protagonisti sono gli animali, la narrazione è breve, lo stile è semplice e chiaro; il fine è sempre un insegnamento morale. “Tanto tempo fa, il sole e il vento litigarono tra di loro per stabilire chi fosse il più forte ed il più potente tra i due. La faccenda stava cominciando a preoccupare un po' tutti, anche perché i contendenti erano arrivati alle maniere forti e rischiavano di farsi del male; potete immaginare che, di un sole e di un vento acciaccati, non sapremmo che farcene: come farebbe a scaldarci il sole se avesse tanti bernoccoli sulla testa? E che sollievo ci darebbe la brezza della primavera se a soffiare ci fosse un vento pieno di lividi? Era quindi evidente che bisognava trovare una soluzione… Sembra che gli stessi dèi dell'Olimpo, riuniti tra di loro a discutere, facessero del loro meglio per convincere i due a sottoporsi ad una prova: al vincitore della gara sarebbe stato dato in premio l'onore di potersi proclamare il più forte e il più potente tra gli esseri che abitano nel cielo. Anche se all'inizio brontolarono non poco, alla fine il sole ed il vento acconsentirono a sottoporsi a questa prova; dopo lunghissime ed interminabili trattative, venne deciso di considerare vincitore colui il quale fosse riuscito a togliere di dosso i vestiti di un viandante. Cominciò per primo il vento, il quale iniziò a soffiare vigorosamente per tentare di strappare, con tutta la forza e la violenza di cui era capace, gli indumenti di un ignaro e sfortunato viaggiatore, che si trovava a percorrere un sentiero nelle vicinanze.  Il vento si divertiva ad agitare raffiche e mulinelli per far volare il mantello del viandante, ma l'uomo si serrava addosso i vestiti per proteggersi da quell'improvvisa ondata di gelo. Il vento allora si scagliò con ancora maggiore impeto su quel povero malcapitato, per cercare di vincere la sfida con il sole. Invano: il viandante, intirizzito dal freddo, prese un altro mantello e si serrò sempre di più addosso i vestiti. Alla fine, il vento, esausto ed esasperato da quei continui insuccessi, si allontanò con rabbia dalla scena e cedette il posto al suo rivale. L'astro che fa risplendere le nostre giornate con i suoi raggi caldi e luminosi sfoderò un sorriso furbo e sornione, come se avesse già in mano la vittoria. Il sole dapprima fece capolino timidamente tra le nubi e cominciò a godersi lo spettacolo; quando l'astro lucente cominciò a far scaldare i suoi raggi, il povero viandante, ancora sfinito per le terribili raffiche di vento che lo avevano tormentato sino a pochi istanti prima, cominciò a togliersi con prudenza il mantello supplementare. A questo punto il sole iniziò a splendere con più vigore: man mano che passava il tempo, il viaggiatore si rilassò e, dopo aver ripiegato il mantello, riprese a camminare con passo più sicuro e spedito.  Ben presto, però, il caldo si fece più torrido perché il sole sprigionava vampate sempre più forti: il viandante continuò a camminare per alcuni istanti ancora; non potendo più resistere a quell'afa terribile, si spogliò completamente e si tuffò nel fiume che scorreva nei pressi, per fare un bagno rinfrescante. Il vento fu costretto ad ammettere la sconfitta e, da quel giorno, il sole poté vantarsi di essere il padrone incontrastato del firmamento; anche questo è il motivo per cui noi riusciamo a proteggerci in qualche modo dal freddo e dal gelo coprendoci bene, mentre dal caldo torrido non c'è difesa.” Fabula docet, quante persone dovrebbero leggere questa semplice favole per capire che nella vita di ogni giorno la gentilezza e la delicatezza sono spesso molto più efficaci della violenza. Ma che cos’è la delicatezza, in questa nostra società che sembra premiare l’apparenza e l’effimero, se non una sensazione ormai da molti dimenticata!  Personalmente la delicatezza la ritengo simile a un sospiro, o a un alito di vento, una carezza, qualcosa di impercettibile che però c'è, la sento e non la posso negare. Ormai la delicatezza è qualcosa di abbandonato e non potrebbe essere diversamente: la delicatezza ha bisogno di tempo, di lentezza, della pazienza, del silenzio, cose che adesso sono dimenticate dai più tanto che si considera la delicatezza come una debolezza. La delicatezza è leggera come un soffio di vento, delicata come una piuma e tutto  delicatamente avvolge. Certo, oggigiorno, essere garbato spesso costa coraggio, capacità di intendere gli altri e di meditarci sopra. La delicatezza è molte volte simile, come hanno detto i filosofi, alla buccia di banana su cui scivola la verità, ma con la  delicatezza  che è tutt'altro che indebolimento si può polverizzare le corazze dei più duri animi e buttare giù i recinti mentali che certe persone si attorniano solo per paura di confrontarsi e di dialogare.

Favria, 19.01.2013        Giorgio Cortese

 

Il colmo per certe persone  e’ quello di avere due facce, ma entrambe ambigue

 

In dodici giorni e undici notti! 15 -28 gennaio 1943

Tra i giorni 19 e 20 gennaio 1943 gli alpini della Cuneense, coinvolti nella Campagna di Russia, parteciparono a quella che viene ricordata come la Battaglia di Nowo Postojalowka,  dove si dissolse la Divisione Cuneense, costata la vita a migliaia di alpini inghiottiti dalla guerra e in terra di Russia. Nel mese di gennaio 1943 l'Armata Rossa operó un accerchiamento delle truppe dell'Asse dislocate sul Don. Il Corpo d'Armata dell'A.R.M.I.R. cercó nella ritirata la salvezza. Ma solo la divisione alpina Tridentina riuscí il 26 gennaio 1943 a Nikolajewka a sfondare e a permettere cosí a migliaia di uomini affamati, feriti, semi congelati, di salvarsi. Una sorte ben piú tragica toccó alla divisione alpina Cuneense che il 20 gennaio 1943 venne annientata nella battaglia di Nowo Postojalowka; oltre 13.000 Alpini caduti o dispersi. In quel giorno si consumo  il martirio di quegli Alpini, definire quella tragedia martirio é esatto, perchè a quella guerra orribile giá di per se stessa in quello scacchiere si aggiungevano: il freddo 25°-30° sotto lo zero, le continue bufere di neve, la mancanza di collegamenti, la superiorità  schiacciante del nemico e la sua determinazione in quanto difendevano la loro terra, le loro case. Ecco una breve cronistoria di quei tragici giorni che inizia il 15 gennaio, quando i Russi attaccano con carri armati il settore del XXIV corpo d'armata tedesco, che era a sud della Julia, prima della Cuneense,  sfondandolo e puntano su Rossosch, sede del Comando Alpino.. In quel frangente, due Battaglioni Complemento, uno del 1° e l'altro del 2° Reggimento Alpini,   appena giunti da Garessio – Cuneo, erano partiti solo dall’Italia il   31 dicembre,  entrano immediatamente in battaglia, la metà di loro resterà sul campo, allora i russi ripiegano da Rossosch. Tra il 15 e 16 gennaio i Russi attaccano la Tridentina che respinge gli attacchi, ma a nord, la 2a Armata Ungherese si sfalda e i russi sfondano con mezzi corazzati. Il 16 gennaio i Russi ritornano all'attacco di Rossosch con ingenti forze, alle ore 12 sono padroni della città , inizia da allora l’accerchiamento che chiude  tutto il Corpo di Armata Alpino in una "sacca". Pensate che nei   tre attacchi di sfondamento, i russi usarono 754 carri armati del tipo T34. Questi carri pesavano oltre 30 tonnellate e disponevano di mitragliere pesanti e cannone da 76 mm, la loro corazza era spessa 50 mm. Il supporto dell'artiglieria consisteva in 810 bocche da fuoco, di cui 300 cannoni di grosso calibro. Gli italiani disponevano di 47 carri armati da 10 tonnellate, 132 bocche da fuoco di cui 66 cannoni. già da questi pochi dati si evince l'enorme disparita d'armamento tra i due eserciti, senza contare le armi leggere: parabellum automatici contro moschetti a 6 colpi! Il 17 gennaio alle 16,30-17 giunge per la Cuneense l'atteso ordine di ripiegamento. I primi battaglioni a mettersi in marcia sono: il "Ceva", il "Mondovì" e il "Dronero", ma durante la notte la retroguardia è fatta segno di attacchi da parte di partigiani, il "Saluzzo" infligge loro gravi perdite. Lo scopo del ripiegamento era quello di attestarsi il più velocemente possibile tra Valuijki e Rowenki, in modo da potersi schierare in difesa del fronte nord-est. Alla Tridentina e al XXIV corpo di armata tedesco, venne dato ordine di ripiegare in direzione Podgornoe-Opyt. La Cuneense con il Vicenza dovevano dirigersi verso Popovka, la Julia a nord di Rossosch. Il 19 gennaio, alle 10 del mattino, il generale Battisti s'incontra in una casa di Popowka con il generale tedesco comandante il gruppo Rheingold. I due generali prendono la decisione di abbandonare la direzione di ripiegamento che era stata loro assegnata e di puntare su Waluiki che si ritiene non ancora in mano nemica. Così verso le sette di sera reparti russi, equipaggiati in tuta bianca e, scambiati dai nostri per tedeschi, attaccano e provocano gravi perdite alla 72a batteria gruppo "Val Po'"…la 21a del "Saluzzo" si fa massacrare sul posto e permette alla colonna di sganciarsi proseguendo il ripiegamento verso Nowo Postojalowka. Il 20 gennaio, la Cuneense incontra alcuni reparti della Julia bloccati dai russi vicino a Nowo Postojalowka. Viene mandato il battaglione "Ceva" e il "Mondovì" all'attacco del centro abitato, le batterie del "Mondovì" vengono fatte a pezzi dai cingoli dei T34 russi, il "Ceva" viene quasi completamente annientato. I russi intimano la resa. Ma il generale  Battisti rifiuta d'arrendersi, prima vuole tentare il tutto per tutto per cercare di uscire dalla morsa..Il generale Battisti considera che prima dell'imbrunire i russi possano ancora attaccarlo tra Nowo Postojalowka e Kolkos Kopanki, decide quindi di mandare all'attacco il "Borgo San Dalmazzo" e il "Saluzzo". Partono i due battaglioni,  che stanno quasi per riuscire nell'intento, cioè attraversare una   dorsale tra due piccoli villaggi, ma improvvisamente un violento fuoco di sbarramento infligge ai due battaglioni pesanti perdite. Inizia l’inferno, tutto intorno  spuntano carri armati seguiti da fanteria russa, sul campo rimango più di 1500 alpini.  Il generale Battisti, constatata l'impossibilità di forzare senza armi anticarro la temutissima dorsale tenta ancora la possibilità di sfuggire all'accerchiamento, i reparti della Cuneense iniziano ad abbandonare le postazioni di Nowo Postojalowka, ma le fanterie russe costituite da reparti siberiani , e  quindi a loro agio nel gelo e nella neve,  attaccano nuovamente ciò che resta del   battaglione "Mondovi", incaricato di proteggere il ripiegamento e il fianco della colonna. Il "Mondovi" viene così completamente annientato. Intanto i russi attaccano alle spalle i resti del 2° Reggimento Alpini, in ritirata da Kolkos Kopanki. Nella notte del 21 gennaio, la Cuneense riprende a marciare, sono rimasti in duemila dei suoi e un migliaio di sbandati provenienti da altri reparti, marciano per circa 20 ore consecutive,  raggiungono Postojalvyi, e alle 20 sono as Alexandrowka dove c'è ancora un piccolo presidio tedesco. Al mattino del 22 gennaio, alle ore 7,30, la Cuneense si rimette in marcia verso Nowo Karkowka; la sera dello stesso giorno raggiungono le prime case del paese. All'alba del 23 gennaio, la Cuneense riprende il cammino, ma alle 14 del pomeriggio dei T34 russi attaccano la testa della colonna, e poi si ritirano verso Krawzowka, riprende la marcia che termina a sera nel paese di Nowo Dimitriewka. Il generale Battisti chiede ora il massimo sforzo ai suoi uomini, dicendo loro che più le marce saranno lunghe, più alte saranno le probabilità di salvarsi. A mezzanotte Battisti tiene a rapporto i suoi ufficiali, la proposta è: marciare tutti insieme o cercare di uscire dalla sacca a piccoli gruppi? La risposta è tutti insieme! Alle due di notte del 24 gennaio, riprende la marcia su due colonne,  intorno alle 18, il ripiegamento prende  la direzione verso sud per disporsi ad attraversare il Kalitwa. Tra l'alba e le ore 8 del 25 gennaio le due colonne sono raccolte a Rebalzin una e l'altra a Dechtjarna, in quest'ultima località carri armati russi e artiglieria pesante aprono un fuoco violentissimo, pesantissime sono le perdite ma riprende la marcia, e intorno alle ore 12 ciò che resta della colonna si congiunge con l'altra a Rebalzin. All'imbrunire dello stesso giorno, nuovamente in marcia verso Schukowo dove la colonna si imbatte in una violenta bufera di neve e di vento gelido, ma marcia si fa lentissima e la colonna viaggia ora solo a duecento metri all'ora. All'alba del 26, la bufera cessa, si forma una sola colonna in direzione Waluikii. La Cuneense è ora in vista di Schukowo, dal villaggio partono violente raffiche di mitragliatrici, il battaglione "Dronero" conduce l'assalto alla baionetta e mette in fuga i russi. Si riprende la marcia fino a sera senza disturbi, giunti nei pressi di Malakaiewe, altra valanga di fuoco investe la colonna. La colonna viene nuovamente divisa in due tronconi, uno sosta a Malakaiewe e l'altro a Solonzi. All'alba del 27 gennaio riprende la marcia, nel pomeriggio i due tronconi si riuniscono, giungono nei pressi di un villaggio dove i russi li attendono, la colonna aggira il villaggio, nel contempo squadroni urlanti di cosacchi vengono all'assalto con mitragliatrici su slitte e una batteria da 122, offrono la resa, ma la Cuneense non vuole arrendersi, il generale Battisti risponde per tutti con uno sdegnoso rifiuto. Il "Dronero" nel frattempo si schiera per il combattimento costringendo l'avversario a indietreggiare. Spunta l'alba del 28 gennaio, la Cuneense è ormai allo stremo, in dodici giorni e undici notti ha percorso in ripiegamento circa 200 chilometri, ha marciato per 182 ore alla media di undici ore al giorno, ha sostenuto venti combattimenti, ha perso l'80% della sua fanteria e più del 50% dell'artiglieria, ma continua la marcia, e appena dopo aver superato la dorsale tra il fiume Poltawa e il Walujki un violento fuoco di artiglieria scompagina ciò che resta del Primo Reggimento, arriva al galoppo la cavalleria cosacca, gli alpini la scambiano per cavalleria amica ungherese, corrono verso di loro e i russi li avvolgono in un selvaggio carosello, li stringono al centro. Il generale Battisti è in testa all'avanguardia, quando, attraversando la strada ferrata, la cavalleria nemica sferra l'ultimo attacco, si combatte all'arma bianca, non ci sono più munizioni, è la fine. Nel Vallone di Walujki, alle ore 5,30 del 28 gennaio 1943 vengono catturati gli ultimi ufficiali superstiti della Cuneense, nel pomeriggio verranno presi gli ultimi alpini del "Borgo San Dalmazzo" del "Saluzzo" e del "Mondovì". Alla sera di quel tragico giorno, anche   il "Mondovì" depose le armi. Il sacrificio della Cuneense avvenne, come detto , in quei giorni e ogni anno si rinnova la memoria di quei fatti dolorosi che fanno onore alle nostre Forze Armate, al valore dei nostri Alpini, ma  un valore che si poteva fare a meno perchè i russi non erano l'aggressore, noi eravamo a casa loro, noi avevamo torto perchè la nostra Patria non era in pericolo. Sarebbe stato sufficiente non immischiarsi in quella guerra balorda e decine di migliaia di ragazzi, di uomini validi, non avrebbero perso la vita.

Favria, 20.01.2013              Giorgio Cortese