Nella vita se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore

Corsaglia!

Semplice da rintracciare, sulla strada che porta a Bossea, dove ci sono le famose grotte. che prossimamente andro a rivisitare, si  trova verso la fine del paese che ha lo stesso nome del Ristorante o  forse è il contrario, salendo sulla destra. Parcheggio libero nella piazzetta immediatamente dopo il ristorante.   Il Ristorante Corsaglia è gestito dalla famiglia Dho,  è uno dei pochi locali che cucinano davvero cucina piemontese in un ambiente accogliente. Insomma una trattoria con cucina casalinga di qualità. genuina, curata  al 100%, ogni cosa è fatta in casa, carni, salami, vino, dolci. Tutto ottimo, grazie al Gruppo Alpini di Favria che dopo la commemorazione della Battaglia di Nowo Postojalowka a Mondovì mi ha fatto conoscere questo splendido posto. Grazie ancora a  tutto il Direttivo Gruppo Alpini di Favria e grazie a tutti favriesi che erano con me a questa bellissima gita, grazie!

Favria, 20.1.2013                    Giorgio Cortese


Gentilezza e cortesia!

Poche parole tanto comuni presentano una simile complessità etimologica come il lemma gentile che deriva dal greco, ethnikos, da ethnos, razza, gente, termine che nell’Antico Testamento viene  usato per indicare il popolo pagano non ebreo, poi passato al latino, gentilis, che voleva dire della stessa  famiglia, dalla parola latina, gens,  formazione famigliare allargata, da gignere, generar, - intendendo i generati da un medesimo mitico capostipite.Facciamo un rapido balzo nell'onomastica latina: nell'antica Roma le persone venivano identificate con un "praenomen", a cui oggi potremmo guardare come un nome proprio normale, come Marcus, Lucius, Gaius, usato in contesti informali; un "nomen" che indicava la gens, ossia il clan di appartenenza della sua famiglia, come la gens Claudia o la gens Iulia; e infine un "cognomen" che indicava la famiglia come fa oggi il nostro cognome, come Catilina, Cicero o Maximus. Ma che cos'era una "gens" nell'antica Roma? Si trattava di una formazione sociale sovrafamiliare patrizia - un po' come se fosse una famiglia nobile allargata, un clan a cui appartengono molte famiglie. Formazione sociale che ci riesce difficile immaginare, dal nostro contesto attuale. Secondo i Romani queste gens discendevano ciascuna da un capostipite mitico - più probabilmente furono dei retaggi di formazioni tribali diverse che confluirono nello Stato romano. Gli appartenenti alla stessa gens avevano dei reciproci doveri di assistenza e difesa, oltre che il diritto di successione ereditaria in mancanza di parenti prossimi, e condividevano i luoghi di sepoltura. Così l'essere "gentili" implicava un comportamento più fraterno rispetto a quello tenuto con estranei di altre gentes, anche se magari, vista l'ampiezza di queste gentes, i gentili fra loro non si conoscevano nemmeno. Mi dà una sensazione strana pensare che oggi,  dopo secoli di distanza dal declino e dalla scomparsa delle gentes, per esprimere la qualità più pura di rispetto e cura benevola, genuina, continuiamo a rifarci ai rapporti interni che le caratterizzavano, meno vincolati, interessati e stretti dei rapporti famigliari come li intendiamo oggi, e maggiormente consapevoli della nobiltà che l'essere gentile richiede. Ma poi c’è il termine cortese, usato come sinonimo di gentile, si dice che una persona è cortese quando tratta con bel modo, con garbo; significa anche generoso,  prodigo ed affabile. Molti fanno nascere querio lemma dalla corte signorile del feudalesimo e l’aggettivo indicava in origine le virtù ritenute peculiari di chi viveva in una corte, quali la liberalità, il coraggio, la lealtà, la nobiltà d'animo. Insomma la cortesia è per l’animo umano quello che è il calore per la cera, mentre la gentilezza è l’attenzione nelle piccole cose. Certo oggigiorno parlare di cortesia e gentilezza può apparire banale,   abituati come si è ormai ad incontrare persone sgarbate, maleducate, lagnose e recriminanti. Ecco, allora, la necessità di riproporre una parola semplice eppure del tutto irrisa ai nostri giorni, la gentilezza o, se volete, la cortesia. Se il calore in natura riesce a sciogliere il freddo ghiaccio, nella vita di ogni giorno un piccolo gesto di cortesia riempie l’animo di simpatia, di cordialità, di fiducia nei confronti dell’altro. E se proprio siamo insensibili e un po’ calcolatori, pensiamo almeno al monito realistico del Galateo di monsignor Della Casa: “Chi sa carezzar le persone, con piccolo capitale fa grosso guadagno” e se poi come cognome mi   chiamo cortese, mi pare giusta la locuzione latina “Nomen omen”,di nome e di fatto, che  deriva dalla credenza dei Romani che nel nome della persona fosse indicato il suo destino.

Buongiorgio  a tutti e una cortese giornata

Favria,  21.01.2013      Giorgio Cortese

 

Ritengo che il senso dell’essere-tempo è che ogni persona è collegata agli altri e e non può mai essere separato dal tempo.

 

Deriva, arrivare, rivale

Ogni volta che si rappresenta una realtà in evoluzione, cioè “naturalmente in movimento”, geografica, sociologica, linguistica, alla fine se il processo sfugge al controllo, si parla di “deriva”. Perciò c’è la teoria della “deriva dei continenti” per cui le grandi masse terrestri , i continenti, che si suppone facessero parte di un unico blocco, Pangea,  dopo essersi separati continuano a spostarsi e, scivolando sulla piattaforma sottostante, si allontanano, ognuna in una direzione diversa e opposta. E si dice “deriva linguistica” il fenomeno di allontanamento formale e strutturale delle lingue generate da un’unica lingua originaria. Per esempio la grande famiglia delle lingue indeuropee, oppure le moderne lingue europee dette neolatine perché derivate dal latino. Così si parla di “deriva morale”, o sociale, a proposito di sbandamenti e allontanamento di individui o di gruppi dal sistema di valori condiviso e sperimentato. Deriva in italiano significa allora “allontanamento per separazione”.   Questa radice è la stessa di “rivus”, corso d’acqua, modificata in seguito dal  prefisso “de”, provenienza e allontanamento. Per questo motivo il verbo “derivare” originariamente  significa “far defluire da un fiume, o da un lago, un corso d’acqua”. La parola poi, proprio a causa di una generalizzazione dell’uso metaforico, è andata a coprire tutta la grande area di significato che conosciamo oggi e con cui usiamo la parola: familiarmente e con competenza. Altra cosa è “arrivare”, che è formata dalla parola "ripa”, sponda del fiume. Quindi “ad ripam” è: dirigersi verso la sponda. Le due parole latine: “rivus”,corso d’acqua, e “ripa”,sponda,   sono apparentate, in quanto risalgono alla comune radice indeuropea  “rve”; “arrivare”. Dunque ad ripam ire, andare verso la riva, significa raggiungere una meta, un obiettivo, sia fisico che morale. Ma attenzione arrivare non è il contrario di derivare anche perché alla loro base vi sono due parole diverse. Rivale deriva dal termine “rivalis”, colui che sta  sulla sponda opposta, il dirimpettaio. Oggi invece ha assunto il termine di rivale, ovvero nemico e forse l’avversario molte volte è solo un timido personaggio che si crede un novello  Napoleone?

Favria 22.01.2013                   Giorgio Cortese