Quand as ciapa cunfidenza, as perd la riverenza

I presunti limiti dell’intelligenza e un’irrinunciabile speranza

Questa mattina, prendendo un caffé al bar, sono rimasto colpito dalla frase che un giovane diceva ad un altro: “ sono intelligente perché sono laureato”. Mi veniva voglia di rispondergli: “che più intelligenti di così,  non si può”. Questa seconda frase non è mia , ma letta alcuni giorni fa, su di una rivista ed attribuita alle conclusione a cui sono pervenuti  un gruppo di ricercatori di Cambridge, sui limiti dell’intelligenza umana. La notizia mi ha lasciato di stucco, e mi fa pensare se devo stupirmi o deprimermi. Perché è dura dovermi rassegnare all’idea che l’evoluzione della specie umana abbia raggiunto il suo top e che oramai siamo arrivati sulla cima della conoscenza con sopra il nulla, o magari con il nulla “cosmico”dentro del giovane laureato della prima affermazione! Certo che, nonostante tutti i progressi, sappiamo ancora veramente poco di noi stessi, al punto di poterci contraddire facilmente e in così poco tempo, perché un giorno ci viene detto che abbiamo raggiunto l’apice delle nostra capacità intellettiva, mentre solo qualche giorno prima ci è stato annunciato, con altrettanta sicurezza, che sfruttiamo il nostro cervello solo al 20%, e perciò avremmo ancora un buon 80% da mettere a frutto. Che dire? Aspetto che la scienza mi dia qualche risposta in tempi ragionevoli e non mi lasci in balìa dei gossip! Ma intanto qualche domanda posso legittimamente porla. Mi chiedo se non si deve prendere atto dell’oggettiva arretratezza della specie umana, viste le sofferenze che l’umanità subisce o si autoinfligge. Il mondo è già abbastanza disumano di suo, come prodotto di certa nostra cultura e di certe nostre leggi, per avvertirci che se questo è il livello massimo della nostra capacità intellettiva, allora siamo davvero messi piuttosto male. Basti pensare ai guai colossali del sistema capitalistico e finanziario, divorato dall’interno dalle proprie regole selvagge. Per non parlare delle guerre e di tutte le ingiustizie che da un capo all’altro della Terra si inseguono, come in un terrificante monopoli. Sarà sicuramente un paradosso, ma siamo davvero sicuri che il mondo così come l’abbiamo costruito risponda ai criteri di una costruzione intelligente? Dubitarne è legittimo. Altro che disegno intelligente: guerre, disuguaglianze, intolleranze, tensioni sociali e povertà sembrano contraddire ogni giorno la nostra intelligenza delle cose. Nel frattempo troppe stupidaggini occupano la mia mente, troppe informazioni assolutamente inutili e fuorvianti hanno impegnato le mie sinapsi. Resettarmi ogni tanto non può che farmi bene. Fare spazio nel mio cervello forse può riattivare i miei neuroni affaticati, per costruire una Patria migliore,  intanto, non sarebbe tempo sprecato. Abbiamo tanta strada da recuperare e tante ingiustizie da sanare. Basterebbe solo mettere al bando la risoluzione violenta dei conflitti per dimostrare che l’uomo è ancora una creatura intelligente. Ma sono drammaticamente consapevole che anche la mia generazione non vedrà questa aspirazione realizzarsi. Eppure spero, e resto in attesa che la scienza  torni a sorprendermi, non con un nuovo cellulare,  frutto delle applicazioni tecnologiche più recenti, ma per ritornare a  distinguere tra sapere e sapienza. Partendo dal presupposto che siamo tutti colti e che un laureato può essere si colto ed erudito ad alto livello, ma che può anche essere incapace di spiegare e di comprendere in profondità la verità e l'autenticità delle cose. La sapienza è, invece, una dote che è, sì, frutto di studio, ma è anche dono; è impegno di ricerca intellettuale, ma è anche maturità personale. Insomma un modo di affrontare i problemi quotidiani con un pensiero pulito, con calore e passione.  Non per nulla in latino sàpere significa “aver sapore” e studère è “appassionarsi”. Su questo crinale si misura la vera cultura, ma anche la genuina intelligenza, che da una ricchezza interiore ad una  persona. Ed è solo per questa via che si può crescere nella vera intelligenza anche senza avere i titoli accademici del giovane di questa mattina

Favria, 8.02.2013            Giorgio Cortese

 

Siamo una Patria incompiuta che si sta richiudendo nei piccoli e limitati borghi in guelfi e ghibellini. Viviamo in un continuo presente, senza la memoria del comune passato e privi di idee per il futuro

 

Il giullare che fa lo gnorri  a noi che siamo tutti dei grulli!

Certe persone mi sembrano proprio dei giullari, si giullare lemma di chiara origine provenzale, da joglar che deriva dal latino medievale iocularis,   giocoliere ma forse rende meglio il piemontese papasso e ciarlatan! Perché a differenza  del giullare che si esibiva  del tardo medioevo come giocoliere, saltimbanco, buffone e acrobata, esperto nell’arte di divertire il pubblico col canto, coi suoni, con la danza, con la recitazione di opere altrui o anche proprie. Si esibiva negli incroci delle strade di grande traffico, nei dintorni di santuarî rinomati, nelle piazze e nei castelli, particolarmente nei giorni solenni di ricorrenze religiose, di feste nuziali, e simili. I personaggi odierni  mi sembrano persone prive di dignità dei  pagliacci ciarlatani. Ma il dramma che poi fanno finta di non capire, fanno pure gli gnorri, termine di origine  toscana che deriva da ignorare. Le loro buffonate non rallegrano i sempre più rari elettori e il loro modi di porsi in campagna elettorale mi ricordano dei vasi panciuti a collo corto, ironia delle parole  si chimano anche questi buffoni e derivano dal lemma buffare, soffiare per forma rigonfia. Si sono ridotti a dei ciarlatani, ma non sono purtroppo  quelle che  un tempo, sulle piazze, cavavano i denti o vendevano rimedî che decantava miracolosi. Adesso ci cavano i soldi dalle tasse con sempre nuove imposte ci vendono improbabili tagli alle tasse e promettono impossibili rimedi alla crisi. Ma svegliamoci siamo stufi di essere incantati dalle chiacchiere! Smettiamola di essere sempre dei creduloni dalla memoria corta, non siamo cosi grulli come pensano queste faine. Già grullo che pare  derivi o dallo spagnolo ganso, oca o la gru, grulla. Ma l’ipotesi più accreditata è dall’antico tedesco  grullan che voleva dire deridere, beffare da qui il senso di deriso e beffato. Ma propendo per la prima ipotesi infatti  la gru quando si ferma posa un solo piede con le ali basse e sembra a prima vista ad un pollo ammalato. E cosi si è denominato prima l’uccello e poi le persone con il termine grullo, persona semplice e poco accorta. In conclusione smettiamola di fare gli nesci, fingendo di ignorare e di non capire apriamo gli occhi e prendiamo a pedate elettorali le faine che abbiamo nel Patrio pollaio.

Favria, 9.02.2013                      Giorgio Cortese

 

Secondo Will Cuppy: "Tutti gli uomini moderni discendono da creature simili a vermi, ma in qualcuno si vede di più",  forse per qualcuno è proprio vero perché rimane  sempre un verme strisciante!