Nella vita dimostrare onesto e sincero coraggio incute rispetto anche agli avversari.

Lega Grigia 16 marzo 1424

Il nome della lega è, secondo la tradizione, dovuto al tipo di vestiario, lana grigia di pecora, utilizzato in quel periodo dagli abitanti della regione. Nei Grigioni, in Svizzera, nel XIV secolo, vi furono continue guerre e continui cambiamenti di proprietà dei territori della Surselva. Nel 1390 per esempio i Von Werdenberg tentarono di sottrarre le zone di Flims, di Foppa e la Val Lumnezia al casato dei  Von Belmont e la crisi sfociò in guerra aperta lo stesso anno con la battaglia di Mundaun. In campo, inoltre, c'erano il vescovo di  Coira ed i baroni di   Rhauns. Questo generò faide che sembravano non avere fine impoverendo non poco la regione. La piccola nobiltà della Surselva si rivolse, esasperata, all'abate di Disentis, Petrus Pontaningen, al fine di ottenere una cessazione delle ostilità. Ecco di seguito una breve fotografia di quel periodo storico. Dopo il primo giuramento del 1395 l'alleanza vene così rinnovata nel 1424 nel trattato di Trun. L'inizio di questo giuramento cita: Vogliamo essere e restare fedeli confederati fin che dureranno i monti e le valli. Questa confederazione adottò un sigillo che portava uno scudo bianco nero diviso a metà verticalmente. Questo stemma è ancora presente nella bandiera del Canton Grigioni,   essa è la prima in altro a sinistra. Con gli accordi successivi con la Lega Caddea e con la Lega delle Dieci Giursisdizioni, si formò l'entità che nell'Ottocento divenne il Canton Grigioni, in tedesco Graubünden, che significa appunto Lega Grigia, conosciuta anche con il suo nome in romancio: “  Ligia Grischa”, fu un'alleanza stipulata il 16 marzo 1424, nella località di Trun, tra le comunità dell'Hinterrhein, della Surselva e dell'Imboden. La stessa seguiva un precende trattato del 1395 che diede vita alla "Part Sura" e a un giuramento, cui parteciparono i baroni Ulrich II Von Räzüns, Alberto De Sacco e l'abate di Disentis, e  cinque giorni dopo a tele lega, si unirono anche i territori liberi della Surselva e quelli controllati dal conte Johann von Werdenberg-Sargans . Mentre noi in Italia allora e ancora adesso ci dividiamo tra guelfi e ghibellini e non abbiamo il concetto che ci lega come italiani.

Favria, 18.03.2013               Giorgio Cortese

 

Stiamo attenti che se continuiamo su questa china arriveremo alla violenza che è sempre  ingiusta anche quando fa giustizia

 

Il veterinario.

Fare il veterinario non significa solo accarezzare gli animali quando sono cuccioli, auscultare i loro cuori con lo stetoscopio, fare un’iniezione quando serve e poi, con un sorriso, offrire un croccantino, vedere una mamma partorire i piccoli. Fare il veterinario significa spesso tutt’altro e nulla di piacevole. Fare il veterinario significa trovarsi in una situazione di emergenza, disperata, di fronte a un animale che soffre, che sta per morire, che è vittima di una grave malattia o di un terribile incidente, di un dolore lancinante e non capire da cosa derivi. Fare il veterinario siignifica vederlo sanguinare, contorcersi, guaire, miagolare. Fare il veterinario significa anche veder soffrire gli umani che lo accompagnano, vederli piangere impotenti, sentirli chiedere di salvarlo perché non sopporterebbero l’idea di saperlo morto. In quei momenti tragici c’è bisogno di calma, c’è bisogno di pensare, di capire, di provare a risolvere: in una parola, c’è bisogno di quello che si chiama sangue freddo. In quel momento il veterinario non può permettersi di essere coinvolto, di soffrire come il proprietario dell’animale, di provare pena, dolore, di commuoversi: perderebbe del tempo prezioso e non aiuterebbe l’animale che sta soffrendo. In quel momento il veterinario deve essere estremamente pratico, deve pensare soltanto a risolvere il problema che gli si pone, il prima possibile, nel miglior modo possibile, e per farlo è necessario che si stacchi dalla situazione emotiva, che si imponga di non pensare alla sofferenza ma alle sue conoscenze mediche.

Personalmente dei veterinari che sono professionali sempre, e fanno il proprio mestiere al meglio, per il bene dell’animale, a costo di apparire a volte indifferenti o insensibili. In quei momenti si apprezza la professionali del Veterinario  che in quei momenti non da spazio per le  coccole, le carezze, le belle parole, ma da spazio alla sua professionalità, da spazio ad una sola decisione, con la speranza che quella sia la decisione giusta. Il resto, diceva qualcuno, è noia.

Favria,  18.03.2013                    Giorgio Cortese

 

If

Un famoso scrittore inglese nato però a Bombay nel 1865, Rudyard Kipling, Nobel nel 1907, morto a Londra nel 1936, autore del celebre Libro della giungla, ma è anche molto nota la sua poesia intitolata semplicemente If, "Se". La famosa conclusione di quella  successione di  "Se" mi pare che finiva così: “Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,  e - quel che è di più - sei un Uomo, figlio mio!”

 

 

Ogni giorno che passa ho solo percorso un  frammento del mio quotidiano cammino. Anche  quando sembra che la giornata sia passata come un'ala di passero, simile alla clessidra con la sua  manciata di polvere, per me  misero bipede sembra che non debba mai finire

 

La piccola riviera favriese

L'Italia per la sua particolare posizione geografica gode di climi differenti, e Favria non fa eccezione, camminando per il paese mi sono imbattuto camminando lungo la strada, in alcuni giardin, dove vengono coltivate con successo diverse palme, e solo in quella piccola porzione di terreno del territorio di Favria. Certo non è un palmè, che vuole dire in piemontese una piantagione di palme.  Quando vedo delle piante penso sempre alla loro bellezza perché sono i soli  esseri viventi in questo universo che non producano rumore né rifiuti e nonostante tutto noi esseri umani abbiamo molte più cose in comune con un albero che con un computer. Perché come essere umano sono come  un albero e in ogni mio inverno levita la primavera che reca nuove foglie e nuovo vigore.  Tornando  al “palmè”, qualcuno può ritenere che le palme non siano elementi autoctoni del territorio, sicuramente è vero, si può però dire che seguendo questo ragionamento non dovrebbero esserci nemmeno olivo, fico, cipresso, mandorlo, uva, oleandro e molte altre piante ormai acclimatate e rese parte integrante del paesaggio. Palma, il lemma che deriva dal semitico tamar,  e sui frutti furono chiamato datteri in greco dàktylos, che vuole dire dito. Per questo si dice palma o palmo   la superficie  interna della mano oltre che della pianta. Il palmo,  è pure la distanza tra la punta del pollice e la punta del mignolo in una mano aperta con le dita distese. Fu usato come unità di misura di lunghezza dai Greci e dai Romani e più tardi divenne una misura usata in diverse zone d'Italia, il cui valore cambiava da una regione all'altra ma rimaneva sempre vicino ai 25 centimetri. Oggi, in senso figurato, si usa genericamente per definire una piccola distanza o estensione. Nell’antichità la palma da dattero era ritenuta l’emblema della vittoria data la grande resistenza ed elasticità del legno. Quindi negli antichi giochi olimpici ai campioni vittoriosi   veniva concesso un ramo di palma in segno di onore, da qui l’espressione ottenere la palma per guadagnare la vittoria. Questa simbologia fu ripresa dai Cristiani, che lo unirono alla simbologia evangelica della Domenica delle Palme e ne fecero emblema della vittoria sul peccato e in particolare del martirio, tanto che molti martiri sono raffigurati con una foglia di palma in mano. “La palma del martirio” per i Cristiani, è la gloria eterna riservata ai martiri che sono morti per la Fede. Oggi si dice “palma della vittoria”, in senso in senso figurato per indicare una vittoria o un successo in generale. Infatti il lemma latino ancora adesso usato “palmares” vuole dire degno della palma della vittoria. Diversi sono i modi di dire legati alla palma o palmo come “restare con un palmo di naso”, quando si rimane deluso e stupefatto.  Ma si dice anche “palmo a palmo”, nel senso a pezzo per pezzo, riferito ad un territorio, una città, una località o altro che si percorre o si perlustra. Ed infine.”portato a palma di mano”, quando si loda of elogia qualcuno, manifestando apertamente l'ammirazione, il rispetto, la stima che gli si porta. Un proverbio orientale afferma che ci  sono maestri-cedro e maestri-palma. I primi levano verso il cielo i loro rami irraggiungibili, carichi di frutti. I secondi, invece, hanno i datteri già nei loro rami bassi e anche chi è piccolo può afferrarli e gustarli. Nella vita quotidiana ho incontrato certamente persone colte ma arroganti, capaci di far cadere dall'alto la loro conoscenza così che qualche frammento potesse essere raccolto anche dalla mia piccola mente, mentre loro mi osservavano  con distacco dal trono della loro superba intelligenza. Ma per fortuna che ho incontrato anche   i maestri-palma, nella scuola e nel lavoro. Le cose principali che so, “ nonostante la mia continua voglia di conoscere e di leggere che poi ho fatto personalmente " le devo a loro. Ed è per questo che grazie a loro si prova a vedere  più lontano, perché sono un piccolo nano sulle spalle di possenti giganti, come si   diceva nel Medio Evo. Grazie maestri palma perché mi avete insegnato non solo quello che sapevate ma anche quello che sono. E qui che c’è il confine tra il borioso intelligente ed il vero sapeinte, che molte volte non ha titoli altisonanti   ma insegna quello che si è. Concludo con questo pensiero, una Patria si fa   con uomini e libri, meno male che ci sono ancora persone che seminano buoni libri a piene mani. Il libro cadendo nell’timo dell’animo è simile ad seme che germoglia e fa nascere nuove palme, forti e tenaci.come una famiglia che vive in quella zona, tra le palme.

Favria, 19.03.2013                      Giorgio Cortese

Il giovane che non ha pianto è un selvaggio, e il vecchio che non sa ridere è uno sciocco