Se certi giorni quando
tutto sembra andare bene, sicuramente pur essendo un inguaribile ottimista
ho sopravvalutato qualcosa.
Ma se il troppo stroppia,
il poco che fa, spocchia?
In una recente mail un caro amico
mi ha scritto che il troppo stroppia. Questa frase mi ha ricordato una figura retorica
denominata paronomasia che deriva da una parola greca che vuole significare
mutamento di nome, composta dal lemma greco pará, presso, e onomasía,
denominazione. Questa figura retorica accosta due o più parole che hanno il suono simile
ma con un significato diverso. Le due parole in questione si chiamano paronimi. Molte
volte la usiamo come nel caso del titolo per scopi umoristici in giochi di parole: carta
canta, capire fischi per fiaschi, dalle stelle alle stalle, chi non risica non
rosica, senza arte né parte, volente o nolente, chi dice donna dice danno, c'era un
grande via vai e il troppo stroppia. Molte volte viene usata dai poeti e si
chiama bisticcio: fui per ritornar più volte volto (Dante), traduttore traditore,
festa mesta. Come si vede la paronomasia è una delle figure retoriche più
particolari, certamente facile da individuare visto l'aspetto ludico che spesso essa
riveste
Favria, 28.03.2013
Giacomo Leopardi: La
speranza, cioè una scintilla, una goccia di lei, non abbandona l'uomo, neppur dopo
accadutagli la disgrazia la più diametralmente contraria ad essa speranza, e la più
decisiva
La speranza.
Mi rendo conto che la nostra amata
Patria è in profonda crisi. Siamo senza un governo, alle elezioni non ha vinto nessuno.
Il nuovo oracolo dice di avere vinto le elezioni. Il Pd e Pdl
reclamano entrambi la paternità della vittoria. Ma la gente comune, i pantaloni
che vedono ogni mese assottigliarsi i soldi messi da parte con anni di sacrifici, che
perdono il lavoro e che hanno i figli parcheggiati in casa o allUniversità vivono
male la madre di tutte le sconfitte. Non voglio sicuramente propinarte la mia cura
miracolosa per il Paese, ci sono persone che ne sanno mille volte più di me, politici,
economisti, opinionisti, polemisti, interventisti, che mi pare vivano su questa crisi,
propinando ogni giorno sui media legioni di numeri e ci spiegano quando sarà la fine del
tunnel della crisi. Ma intanto io vedo solo, pur essendo un inguaribile ottimista nuvole
nere che ormai incombono sopra di me e che riversano su tutti il Paese la durezza
della crisi e gli italiani giorno dopo giorno rimangono con i vestiti sempre di più
inzuppati e laceri. Questa crisi mondiale non è nata ieri e lintera economia
mondiale è malata. Ma in questi giorni poco primaverili, con freddo e pioggia nel mio
animo sempre di più si irrobustisce la feconda pianta dellottimismo che non è solo
di vedere il bicchiere mezzo pieno. In questi giorni di Primavera vorrei avere una
tavolozza per dipingere il cambio di stagione. Vorrei dipingere con pochi colori, usare il
bianco per le gemme che sbocciano, il rosso come certe albe frizzanti, che solo la
primavera mi da, ed infine il verde un colore che può significare molte cose. Esso mi fa
pensare alla natura che si risveglia e si presenta nel suo massimo vigore, ma anche
alla successiva decomposizione delle foglie, così uno stesso colore può essere preso ad
emblema sia dello sbocciare della vita, sia del suo vigore, i verdi anni della
giovinezza, sia del corrompersi dellesistenza. Nellantico Egitto,
il verde era il colore del dio morto Osiride. In tutti i colori, ma nel verde in modo
particolare, hanno valore le tonalità, il verde tenero, quello intenso e brillante e
quello cupo. Nel Medioevo il verde era il colore preferito negli abiti dei
cacciatori e dai cavalieri, rinviava al colore delle giovani vite dei guerrieri, ma anche
alla caccia e quindi alla vegetazione. Ma, in ciò risiedeva anche un pericolo, il verde
poteva rimandare alla natura selvaggia, misteriosa ed ostile a noi esseri umani, come
nella selva oscura di Dante. Era infatti verde il colore delluomo
selvatico delle leggende medioevali. Ma in molte città italiane il verde scuro era anche
il colore del lutto. Nella simbologia medievale il verde associato al giallo era
araldicamente negativo, rinviava alla follia ed alla malattia. Ma il verde oggigiorno
significa speranza e per incontrare la fiducia, bisogna andare di là della disperazione,
perché alla fine della notte, si incontra una nuova aurora. Ritengo che non posso sperare
nella luce alla fine del tunnel, nellalba del nuovo giorno se continuo a
vivere quello che si potrebbe definire il non tempo, il pensare in maniera scolorita con
un parlare vuoto con un agire infruttuoso. Questo pallore che la vita acquista nasce da
una crisi interiore, che il peggioramento socio-economico politico di questi ultimi anni,
ha solo ampliato a dismisura. Non ho soluzioni ma ritengo che ogni giorno devo lottare a
denti stretti, senza perdere il sorriso, per ritrovare, d'altro lato, una diversa
tensione, quella che mi mette in cammino verso la fine della notte, rendendomi ancora
desideroso dell'aurora che sta per spuntare e delle ore di una nuova giornata. Senza la
speranza, e cioè senza l'apertura al futuro, anche il presente e il passato
s'inaridiscono nella prigione fatale dell'istante e del momentaneo effimero ed
occasionale. La speranza è una passione creatrice, ed in ogni caso nella speranza si
nasconde uno slancio senza fine verso il futuro: uno slancio che mi porta al di là del
presente per un futuro migliore.
Favria, 29.03.2013