Una statistica ben confenzionata funziona meglio di una "grande bugia" alla maniera della propaganda hitleriana: inganna, ma non rivela l'origine dell'imbroglio.

 Quando mi  addormento alla sera ritengo che non ci sia   cuscino più morbido di una coscienza tranquilla

Come una candela ne accende un’altra e così si trovano accese migliaia di candele, così un animo sereno ne accende un altro e così si accendono migliaia di cuori

 Illuminazione pubblica ed il piccolo lampione

L'illuminazione pubblica è rappresentata dall'insieme di oggetti, lampioni, lampade,  atti a illuminare gli spazi pubblici. I costi di tali impianti sono a carico dell'Ente, come il Comune, che ne è titolare. Certo è   difficile oggi per il sottoscritto,  che subisce da un giorno all'altro le accelerazioni sempre più veloci della storia, immaginare quale dovesse essere la vita di Favria, piccolo borgo agricola, alla periferia dell’Italico  stivale quasi un secolo fa, al tempo dei lampioni. Il moderno lampione stradale come oggi viene inteso risale al 1792, quando l'ingegnere scozzese William Murdock scoprì che, bruciando il carbone, veniva prodotto un gas la cui combustione era in grado di generare luce e così, da buon scozzese per risparmiare illuminò casa sua, scaldandosi allo stesso tempo. Ma è solo il 28 gennaio del 1807 che venne illuminata, per la prima volta, una strada pubblica la Pall Mall Street a Londra percossa ogni sera da un omino che accendeva i lampioni per spegnerli puntualmente all'alba. Da allora i lampioni accompagnano gli avvenimenti dell'architettura e della tecnologia rappresentando a loro volta un frammento di storia. Ma sarà con la disponibilità del gas illuminante, che ci sarà una svolta nell’illuminazione. Nel 1811 Windsor costruì la prima officina pubblica a Londra, la “Gas-Ling and Coke” per la produzione continua di gas che, convogliato in tubature, alimentava le lampade per illuminare, il Saint James's Park e il Golden Lane. Nel  1825 Parigi viene così illuminata e prende il soprannome di Ville Lumiere. I primi esperimenti in Italia furono compiuti nel  1818 da Giovanni Arduin, nel 1832 venne inaugurata l'illuminazione a gas della galleria De Cristoforis a Milano, alla quale seguì quella pubblica nel 1845. Nel  1840 si attiva la prima illuminazione pubblica di Napoli. Segue Torino, il 1 ottobre 1846 dove furono illuminate le contrade Doragrossa e Nuova e, poco dopo, anche le vie Po e Santa Teresa, piazza Castello, piazza San Carlo e piazza Vittorio. Segue nel 1847 lo Stato Pontificio che  autorizzò l'installazione dell'illuminazione a gas a Roma. L'illuminazione elettrica si iniziò nel 1814, lampada ad arco di Humphry Davy e poi nel 1878 Thomas Edison ideò la prima lampadina ad incandescenza. L'affermazione di questo sistema di illuminazione è dovuta sia alla facilità di impiego, alla tonalità e alla costanza della luce, sia al rapido progredire dell'industria elettrica che ha consentito di portare ovunque l'energia elettrica. Il primo impianto di illuminazione pubblica a incandescenza fu montato a  New York nel 1882. In Europa, a Torino, nel maggio 1884, quando fu inaugurato il primo impianto di illuminazione elettrica in Piazza Carlo Felice con 12 lampade ad arco Siemens da 800 candele; nello stesso anno le Ferrovie illuminarono elettricamente la stazione di Porta Nuova e l'ingegnere torinese Enrico progettò l'illuminazione del  Teatro Regio. Dopo una cinquantina d'anni, comincerà a diffondersi l'illuminazione elettrica, oggigiorno praticamente la sola utilizzata. Pensando all’illuminazione, molte persone oggigiorno in questo momento di crisi mi sembrano che usino le statistiche come degli ubriachi i lampioni, sono per sostenere le loro ottuse tesi che per illuminare il nostro quotidiano cammino. Se do retta a certi refoli di pensieri mi viene da credere le persone che incontro siano solo un’aggregazione di gente banale, noiosa, superficiale, poco interessante, e allora mi viene da credere ed io che cosa centro in tutto questo? Perchè i quotidiani incontri certi giorni mi scivolano addosso come se il mio animo fosse impermeabile! Ma poi ecco, dietro all’ennesima curva della vita incrocio delle persone eccezionali e mi si apre davanti ai miei occhi un orizzonte nuovo. Allora mi sento meno solo, meno alieno in questa terra, mi rimbocco le maniche e riprovo a camminare, perché anche se sono un piccolo granello di sabbia posso aiutare con sincero impegno a cambiare il mondo in meglio, come un piccolo lampione che non perde la sua brillantezza quando ne illumina altri rendendo la notte meno buia..

Favria, 4.4.2013            Giorgio Cortese

 

Ho letto che il poeta è puro acciaio e duro come una selce…

 

Il  pollice verso!

Sul famoso gesto del pollice verso, le fonti sono scarse e discordanti. Un passo delle Satire di Giovenale, “verso pollice vulgus cum iubet” sembra dare spazio alla circostanza, ma le fonti storiche propriamente dette non ne parlano. Prudenzio, in contra Symmachum, usa il verbo convertere: “Et, quoties victor ferrum jugulo inserit, illa delicias ait esse suas, pectusque jacentis virgo modesta jubet converso pollice rumpi” Altre espressioni sono pollicem premere e pollex infestus. In realtà, in tutti i passi latini, il problema verte su quale sia il senso da dare all'espressione «verso pollice» o «converso pollice» o simili, se cioè pollice girato debba intendersi all'insù o all'ingiù. Appare certo, ad esempio, che il pollice rivolto in basso non significasse la morte per il gladiatore.

Favria 5.4.2013              Giorgio Cortese

 

La regola dell’ultimo!

Questa mattina ho avuto il piacere di prendere un caffé con l’artista nell’arte di tagliare, imbastire e cucire e con il Ragioniere. A noi tre si è aggiunto successivamente il neo pensionato che ha voluto assolutamente offrirlo, adducendo la regola  “dell’ultimo! Tornando verso casa pensavo a quello che successivamente ho scritto forse come sempre in maniera esagerata. Ed è vero come dice il lemma  latino originario “exaggerare” parola composta da “agger "terrapieno", ed allora mi rendo conto che ogni giorno ammonticchio come un argine una dose elevata di parole nelle mie quasi quotidiane mail, ma scrivere per il sottoscritto è pura passione e poi se devo scrivere a mano, e successivamente copiare al computer riesco ancora meglio ad interiorizzare con migliori risultati le osservazioni che scorrono libere nell’animo. Tornando alla regola dell’ultimo, pensavo che oggigiorno ci sono degli “amici” che stanno magari al mio fianco ma solo fino all’ultimo centesimo, mio e non il loro.  Vivo in una società liquida, costruita dalle relazioni  facili, sbrigative e superficiali molte volte costruite sui social forum. ma la vera amicizia è  tutta un’altra cosa, vale sempre il detto : “Chi trova un amico, trova un tesoro”. Ma molte volte certi amici sono simili a quanto scriveva Petronio, il noto scrittore latino del I secolo, nel suo celebre Satyricon, dove scherzava sull'amicus ollaris, cioè “l'amico della pentola” e ritengo che non sia necessario aggiungere altro. La vera amicizia è gratuita, e ad essa si associa l'interesse,  ben presto inaridisce. I veri amici sono quelli che mi accompagnano ogni mio cammino quotidiano, senza pensare di calcolare dei vantaggi, e non sono invidiosi. Il vero amico e simile ad un ombra che non smette di seguirmi anche quando cala il sole sembra e pare che si sia dileguato ma invece è solo rimasto indietro per essere l’ultimo a darmi parole di conforto e di aiuto.

Favria,  6.03.2013             Giorgio Cortese

 

Nella vita

“Nella vita, molte volte quelli ritenuti pazzi aprono le vie che poi percorreranno i sani.” Una carissima persona è partita da questa frase per una bellissima riflessione che voglio condividere.
”Nella vita ci sono dei momenti di profonda solitudine, a volte dura un secondo o poco di più, sono quei brevi istanti nei quali magari voglio fare una cosa e gli altri non sanno cosa farò, ma soprattutto non lo so nenanche io. In quel momento conta enormemente come mi sento fisicamente, quali sono le mie motivazioni. In quei brevi istantio conta il lavoro, conta la stima di chi mi è vicino, conta la mia vita privata, conta tutto. Ma in quel momento sono solo e se non profondo del mio animo sono sto bene, farò sicuramente la cosa più ragionevole, la più conservativa e, dunque, alla fine, la più prevedibile: farò di tutto per uscire da quella solitudine per riunirmi subito agli altri, alle sicurezze, in una logica che valga per tutti. Se invece mi sento bene, se sono in pace con me stesso e con il mondo, allora quell'attimo di solitudine diventa un vantaggio immenso, perchè posso liberare l'istinto e fare quello che DEVO, mentre nessuno sa cosa sia, nemmeno io. DIVENTO QUELLO CHE FACCIO, per così dire, sparisco nel mio gesto.Sono momenti di assoluto. Alcune cose belle della vita, anche qualche scelta importante, le ho fatte così, nel fondo di questa solitudine, svuotata da ogni pensiero, libera da pressione psicologica, lebere dagli scheme del ragionamento razionale, libere da da ogni logica di convenienza. Le ho fatte e basta. Sono stati momenti così pieni di quel " nulla" preziosissimo, che poi, ovviamente,non li ricordo: ricordo il prima e il dopo, ma il momento magico è svanito, perchè è un dono talmente puro che basta a se stesso. E' come non esserci più, o meglio, è come esserci in una forma diversa, più alta e misteriosa, inconcepibile, istintiva, extranaturale. Mi sono successe….”

Favria 7.04.2013                       Giorgio Cortese