Il minuetto

Il nome deriva da "pas menu", che in lingua francese significa "piccolo passo", dato che la danza era appunto caratterizzata da passi minuti., in piemontese minuèt. Originatosi in  Francia da una danza popolare della regione del  Poitou, divenne danza di corte durante il periodo. Fu introdotto alla corte di  Luigi XIV da Jean-Baptiste Lully e in breve  tempo in breve tempo fu accolto nei più svariati generi musicali, dal  balletto, all' opera lirica e successivamente nel corso del XVII divenne danza di società e danza teatrale. Nel periodo classico il minuetto è stato inserito anche nelle grandi forme musicali, la  sinfonia, la sonata ed il quartetto, delle quali costituiva solitamente il terzo movimento, anche se talvolta poteva presentarsi anche come secondo movimento in Haydin e Mozart, precedendo così il movimento lento. Oggigiorno molti politici del minuetto ne hanno fatto un arte, persone che con movimenti aggraziati, si avvicinavano al possibile interlocutore, la spalla destra un po’ più avanzata rispetto la sinistra, aggancio all’avambraccio del partner e oplà giravolta completa. In una specie di danza, a piccoli passi,  questi politici vanno avanti e indietro per i corridoi del Parlamento, nei vari palazzi di potere politico, per la strada, nei meandri di qualche congresso politico. Per questi personaggi il “piccolo passo” è un arte, e allora ogni giorno leggiamo di questi personaggi di  opposti partiti che a passetti di danza sembrano volteggiare e, intanto, si mettono d’accordo su come fregare tutti noi e non fanno nessuna riforma a partire dalla legge elettorale.

Favria,  6.05.2013              Giorgio Cortese

 

Certe notti quando sogno di sognare, sono prossimo a svegliarmi.

 

Asinus asinum fricat., l’asino si strofina all’asino. La frase cade a proposito osservando certe persone sciocche e vanesie che, incontrandosi,  si scambiano lodi sperticate, e immeritate.

 

Quando c’era la naia.

Forse i più giovani non sanno più che cos’è, ma quando ero giovane per naia si intendeva l’anno passato a servire la Patria con il servizio militare di leva obbligatorio. Già coscritto chi era  iscritto alla leva perché nato nello stesso anno. Il lemma coscritto dal latino “concriptus” che deriva da conscribere, scrivere assieme. Era l’elenco dei giovani compresi nella coscrizione obbligatoria e nell’antica Roma si definivano Padri Coscritti, Patres Conscripti i Senatori, perché era iscritti insieme nell’albo senatorio, ora per scherzo, si potrebbe dire per i vari eletti dai Consiglio Comunali fino ad arrivare a quello Regionale! Le civiltà più antiche praticavano l'arruolamento obbligatorio, esteso alle sole classi della società che godevano la pienezza dei diritti civili; il servizio era gratuito e il guerriero provvedeva al necessario da sé. Gli Egizî, i Persiani, i Greci, prima della loro decadenza, ebbero una costituzione militare basata esclusivamente sull'arruolamento obbligatorio. Nelle istituzioni di Roma antica l'affermazione dell'arruolamento obbligatorio si ha nell'ordinamento di Servio Tullio, in cui il cittadino è soldato in quanto libero. Il popolo è diviso in sei classi e la sesta classe, quella dei proletarî, è esclusa dal servizio. Successivamente, necessitando tenere in armi forze sempre maggiori, occorrenti alla vastità delle imprese romane, con le riforme mariane, si arruolano anche i liberti, i proletarî e poi i soci italiani, i quali, perché divenuti soldati, acquistano la cittadinanza. Con l’impero romano i   Romani e gl'Italiani non bastano più, né amano stare a lungo lontani dalle proprie case; e allora le legioni di guarnigione vengono reclutate con volontarî tratti dalle popolazioni provinciali romanizzate. Con Settimio Severo gl'Italiani sono addirittura esentati dal servizio militare; nelle legioni dell'Impero si ammettono i barbari volontarî. Tralasciando il medioevo e le compagnie di ventura con soldati mercenari arriviamo a Carlo Emanuele I, nel ritoccare l'ordinamento della milizia paterna, ordinò una coscrizione generale di tutti i suoi sudditi dai 18 ai 60 anni e iscrisse nei ruoli della milizia tutti gl'idonei; da queste masse estrasse una milizia scelta di volontarî. Più tardi, sotto l'assillo del bisogno, Carlo Emanuele I ordinò l'arruolamento forzato di uomini nella milizia scelta, successivamente nel Regno di Sardegna tale consuetudine venne ampliata ed estesa anche Regno d’Italia fino al Decreto legislativo dell’8 maggio 2001 n. 215. Per questo motivo, vista la possibilità del ripristino dell'obbligo della coscrizione, di una o più classi, solo in caso di carenza di soldati, e in due casi particolari: se sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'art. 78 della Costituzione o in caso di gravissime crisi internazionali in cui l'Italia sia direttamente coinvolta o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale. I vari  Comuni iscrivono alle liste di leva i ragazzi nell'anno del compimento del loro 17º anno di età. Ma tornado nella storia, certo esitevano i soldati ma nel le caserme e allora a  Favria nel 1650 e precisamente   nell’Ordinato del 14 marzo, alla presenza del molto magnifico notaio Giovanni Domenico Audo, Luogotenente, viene convocato il Consiglio   con il “suono della Campana tre volte sonata”, 14 marzo 1650, Antonio Sebastiano Cortina e Domenico Cataneo sindaci, Antonio Gallo, Carlo Antonio Costantino, Marcantonio Caresio, Antonio Giacheto, Giovanni Tomaso Perino, Tarro Michel Nitia Casinal consiglieri, la  Comunità deve fare fronte alle spese dell’alloggiamento dei soldati del reggimento di Santes. Infatti l’esattore Comunale Carlo Antonio Costantino resta giornalmente caricato dalle spese dei soldati sopracitati e si rende necessario aumentare le taglie per pagare il bestiame ai Particolari che hanno approvvigionato i soldati. Viene imposta la “Taglia in ragione di due ducali per ogni soldo di registro da pagarsi per ogni soldo di registro, ordinando pubblicarsi e intimarsi detta Comunità in questo posto per qual si intima del tutto pubbliche Testij alla presenza di Giuseppe Bongino e Giovanni Battuello fu Pietro di Favria testij.,   firmato Bernardino de Gaijs segretario” . Bisogna  precisare che questa indisciplinata soldatesca faceva molti più danni di quanto effettivamente consumava in derrate alimentari e che i Particolari che le alloggiavano erano responsabili dell’equipaggiamento militare degli armigeri ospiti e delle loro cavalcature. Sempre in quello stesso anno nell’Ordinato del 7 maggio il Consiglio di Congrega per l’ordine di S.A.R. giunto fino a Favria attraverso il signor Paglia Giorgio luogotenente della compagnia di scelta e milizia dell’Illustrissimo signor Ferdinando Conte di San Giorgio per la richiesta di soldati al presidio di Chivasso. La Comunità procede all’elezione della quarantena, il servizio militare durava quaranta giorni, i diciotto Particolari eletti sono: Francesco Costantino fu Simone, Giovanni Domenico Gaijs Bertelo, Pantaleone Pomato, Giovanni Matteo Rosso fu Bartolomeo, Marcho Moretto, Guglielmino Casolascho, Domenico Serena Tappero,Claudio Tritio, Giovanni Pietro Cattaneo, Lorenzo Forgialo, Guglielmo Moscha, Antonio Nitia Giochetto, Tomaso Chiarabaglio, Antonio Vaijra fu Martino, Pietro Tarro, Giovanni Domenico Costantino fu Costantino, Domenico Biesta fu Pietro Giovanni, Francesco Giovanni Maria Vaijra. Viene imposto ai Particolari di stare pronto con le loro “arme e bogge” per partire sotto il comando dell’Illustrissimo Conte Allevame, colonnello, lo stipendio per ogni Particolare, a carico naturalmente delle Comunità di Favria era di lire otto. Nell’Ordinato del 5 ottobre  il Consiglio provvede all’elezione di 18 Particolari per andare a servire il presidio di Crescentino o dove ordinato al servizio di Quaglia di San Giorgio, alfiere della Compagnia. All’elezione hanno fatto opposizione Antonio Vaijra con il pretesto di un dolore alla gamba, Giovanni Pietro Capello sotto il pretesto di essere custode della Roggia, Giovanni Antonio Burchio con il pretesto di essere conservatore di caccia, Giovanni Domenico Bima sotto il pretesto di esser chierico e rogato dopo l’elezione, Domenico Faletto sotto il pretesto di essere massaro di Giovanni Beda prete della Parrocchiale di Favria. Il Consiglio dei detti nobili congregati ordina ai Particolari di andare lo stesso al servizio militare in quanto eletti dal Consiglio, che servino in buon animo e non mettano in difficoltà sindaci e consiglieri. Viene stabilita la paga di 10 soldi al giorno  per Particolare e ordinano all’esattore Carlo Antonio Costantino di pagare quanto stabilito. Vengono poi eletti altri soldati in sostituzione dei Particolari che si sono opposti nelle persone di: Domenico Ferrero, Antonio di Gabriele, Francesco Cataneo fu Giacomo, Pietro Andrisone, Bernardo Bollone, Giovanni Bandito e Giacomino Minolla. Nell’Ordinato del 14 ottobre 1650 la Comunità su ordine di SAR manda  dieci Particolari al  Presidio di Chivasso muniti di zappe, picchi, badili e falcetti, i Particolari eletti sono i seguenti: Giovanni Matteo Taritio fu Tomaso, Martino Gaijs, Tomaso Gaijs, Ludovico David, Giovanni Battista Ghigono, Vincenzo Cattaneo, Giovannino Midolla, Battista Gaijs fu Giovanni Giacomo, Antonio Choa, Pietro Bima. E’ interessante la descrizione fisica dei Particolari chiamati alle armi, visto che non era ancora stata inventata la fotografia, nell’ordinato del 11.2.1795 vengono così descritti: Vajra Pietro di Bernardino di anni 16 come da consegna scorso anno, capelli ed occhi biondi, di questo luogo; Dona Bartolomeo di Antò di anni 17, capelli ed occhi scuri, di questo luogo; Votta Domecò, di anni 17, occhi e capelli castani di questo luogo; Cattaneo Sebastiano, anni 19, di occhi e capelli quasi neri. Nel 1652 è interessante leggere l’eneco dei guastatori favriesi mandati al srervizio di sua maestà. Il 14 ottobre di quell’anno con un Ordinato la Comunità di Favria elegge 10 Particolari, da inviare a S.A.R. come guastatori in obbienenza all’ordine del 11 dello stesso mese. I dieci Favriesi devono prontamente andare al Presidio di Chivasso con: “zappe, pichi, badili e falcetti e ivi adoperarsi ove per parte di SAR saranno comandati perché così richiede il reale servizio…” Vengono eletti: Giovanni Matteo Taritio fu Tomaso, Martino Gaijs fu Tomaso, Gaijs Ludfvico, David Giovanni, Ghigono Vincenzo, Cattaneo Giovannino Minolla, Battista Gaijs fu Giovanni, Giacomo Giovanni, Antonio Choa, Pietro Bima. Ma alla fine qual è l’origine di questo lemma: naia! Da una ricerca svolta parrebbe che  la parola naia o meglio ancora l'espressione sot a la naia, sotto la naia, sia un'espressione dialettale veneta. Deriva dal latino natalia e significa quindi inizialmente nascita, per poi estendersi a razza e per assumere in seguito una sfumatura dispregiativa di gentaglia, riferendosi probabilmente al servizio militare prestato sotto le insegne dell'aquila bicipite. Non dobbiamo infatti dimenticare che la zona nord-est dell'Italia, quella che comprende Veneto, Friuli e Trentino, rimase per anni sotto l'Impero Asburgico. Secondo un'altra versione, l'origine della parola naja, è una derivazione dialettale del piemontese tnaje   cioè di tenaglia, in quanto anni e anni fa quando venne messa la coscrizione obbligatoria, i giovani si sentivano strappati da casa dalla tenaglia dello stato che li obbligava a fare il servizio di leva. Un po' come un dente viene strappato da una tenaglia. Oppure, secondo altri, la disciplina militare era come sentirsi tra le ganasce di una tenaglia, compressi cioè a far qualcosa che non andava. Se è vero che quando il servizio militare era obbligatorio questo lemma veniva usato  in modo spregiativo, oggi invece viene utilizzata con una certa malinconia per ricordare forse non la naia ma la giovinezza che non c’è poi la naia la leva aiutava a dare una disciplina e uno spirito di cooperazione di gruppo è ho potuto conoscere realtà diverse da quelle quotidiane, con possibilità di stringere forti legami di amicizia.  Personalmente   ritengo che una vera democrazia ha bisogno di un esercito di coscritti perché quello volontario alla lunga può creare il rischio di avere una sorta di  casta militare a se stante ed armata, che potrebbe degenerare in strumento di potere per colpi di stato od operazioni di repressione in nome dell'ordine pubblico.

Favria, 7.5.2013            Giorgio Cortese

 

Veritas filia temporis. Aulo Gellio. La verità è figlia del tempo.

 

Sempre w le mamme!

Mamma è la prima persona che, da bambini appena nati vediamo. Mamma  è la prima paraola che impariamo. La mamma è stata quella che ha condiviso i miei dolori e le miei umane gioie. Mamma è l’ultima parola che dicono molte persone prima di morire. Già la parola mamma che deriva dal latino mammella, è come sopra detto una  delle prime che il neonato impara a pronunciare. Insomma una delle prime parole è mamma o la variante “ma” e poi papà con la variante “pà”, e da genitore si sa quanto sono  desiderate le prime ripetizioni di "ma" o "pa"! È insomma un vocabolo che si perde in sé stesso, parola naturale, condivisa con minime varianti  in tutte le lingue indoeuropee. La parola mamma appare in italiano in diversi modi di dire: “come l'ha fatto mamma”, espressione che significa nudo, come al momento della nascita. “Essere attaccato alle gonnelle della mamma”, quando si vuole indicare, in modo ironico, una persona adulta poco autonoma, impacciata, come ancora bisognosa dell'aiuto della mamma.  Infine quando di vuole indicare una stanza o un luogo molto freddo si dice: “di sembrare la mamma del freddo”. Quando una persona si intenerisce facilmente  si dice che è un “Cuore di mamma”. Una persona viziata: “Cocco di mamma”.  Quando una persona è prima di logica in alcune sue azioni si dice che”non ha né babbo né mamma”. In enologia si dice l”mamma del vino”,  la feccia, il fondiglio che resta nelle botti. Ma il lemma mamma si usa anche per esprime impazienza, stupore, contrarietà, paura, felicità: “mamma che bellezza!” oppure “mamma che spavento!” ed anche “mamma come scocci!” “Mamma mia!”, per esprimere meraviglia e stupore, “mamma mia che impressione!” oppure “mamma mia come sei bella! Ma anche in riferimento alla natura, un poeta latino diceva che era buona madre e quando portava copiosi frutti ma quando  si scatenava contro gli uomini che era matrigna. Ritornando alla festa della mamma le sue origini pensate sono nell’antica Grecia, dove i greci  dedicavano alla madre un giorno dell’anno. La festa coincideva con le celebrazioni in onore della dea Rea, la madre di tutti gli Dei. Gli antichi romani, invece, festeggiavano una settimana intera la divinità Cibele, simbolo della Natura e di tutte le madri. Dobbiamo a questo punto fare un passo avanti nel tempo ed arrivare in   Inghilterra, dove le celebrazioni legate alla festa della mamma risalgono al XVII secolo. Originariamente il “Mother’s Day” non era un’occasione per festeggiare la propria madre con fiori o regali, ma assumeva un significato completamente diverso coincidendo con la quarta domenica di Quaresima. In quell’occasione, tutti i bambini che vivevano lontano dalle loro famiglie, per imparare un mestiere o perché costretto a fare il servo per guadagnarsi da vivere, potevano ritornare a casa per un giorno. A poco a poco si è diffusa la tradizione di riunirsi a metà del periodo di Quaresima per festeggiare la propria famiglia e soprattutto la mamma, considerata un elemento fondamentale dell’unione tra consanguinei. La tradizione del "Mothering Sunday" sopravvive ancora oggi in Inghilterra, dove è più comunemente conosciuta come “Mother’s Day” ma la moderna festa della mamma ha origine come per la festa del lavoro del 1 maggio, negli Stati Uniti e la “madre” dell'evento che oggi viene festeggiato in quasi tutto il mondo, fu una donna americana. A differenza dell’Inghilterra, negli Stati Uniti il "Mothering Sunday" non ebbe successo, dal momento che la popolazione era restia alle tradizioni popolari. Per questo motivo la festa della mamma si diffuse negli Stati Uniti come una festività legata ai movimenti sociali che chiedevano il suffragio alle donne e predicavano la pace. Inizialmente proposta dalla signora Julia Ward Howe, nel 1872, come giorno dedicato alla pace, divenne una festa nazionale nel 1914, grazie alle petizioni di Ana Jarvis di Philadelphia. Ana Jarvis, infatti, nel 1907, desiderosa di ricordare l'anniversario della morte di sua madre, persuase la sua parrocchia a Grafton, nel West Virginia, a celebrare l'evento la seconda domenica di maggio. L'anno successivo tutta Filadelfiia  festeggiò la festa della mamma. I sostenitori della Jarvis iniziarono quindi a scrivere a ministri e uomini d'affari per proporre la festa come giorno nazionale, e già dal 1911 l'usanza si era diffusa in quasi tutti gli Stati americani. Sul finire del 1914, il Presidente degli Stati Uniti Wilson ufficializzò la festa come festività nazionale, da tenersi ogni anno nella seconda domenica di maggio. In Italia la festa della mamma fu festeggiata per la prima volta nel 1957 da un religioso, don Otello Migliosi, un sacerdote del borgo di Tordibetto ad Assisi. Successivamente la festa è entrata a far parte del nostro calendario e, come in molti altri Paesi, viene celebrata la seconda domenica di maggio. Ma la festa della mamma è anche un motivo per ricordare il ruolo importante delle donne. Nella nostra Patria il  51,4%, dei cittadini sono donne ed il 48,6%, sono uomini.  La forza lavoro è di 24 milioni di persone, 15 milioni di uomini e 9 milioni di donne. Voglio ricordare che la donna ha avuto un ruolo importante nello sviluppo dell’Italia del secondo dopoguerra ed anche adesso. Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, forse la donna italiana è cambiata più dell’uomo. Non è più solo la casalinga che si occupa della casa e dei figli, ma con il suo lavoro contribuisce al benessere di tutta la famiglia. Allo stesso tempo non abbandona il  ruolo tradizionale di madre e continua ad occuparsi della casa, una  persona divisa fra lo sforzo di modernizzarsi e quello di rispettare la tradizione lavorando il doppio di noi uomini!. Ed allora w le mamme ed evviva a tutte le donne fonte di vita che devono avere sempre di più maggior rispetto perchè ogni cosa in  natura mi parla della mamma e allora fermiamo questo continuo femminicidio

Favria, 8.05.2013                 Giorgio Cortese