I dettagli sono cruciali nel dare il buon esempio.

Ogni giorno sentiamo i politici parlare della difesa del lavoro italiano, del Made in Italy , della necessità di privilegiare i prodotti nazionali. Dopo di che non si vede un solo politico usare un’auto italiana. Tra l’altro si tratta di auto che costano decine di migliaia di euro, e molte di quelle auto sono pagate dai contribuenti. Questo dettaglio, nella sua poca importanza, evidenzia a mio giudizio la mancanza di coerenza e quindi di sincerità dei politici nostrani. Ma come dice un vecchio e saggi proverbio:: “Dio molte volte si cela nei dettagli”. Certo  che non credo che si possa necessariamente stabilire il “tasso di sincerità e di coerenza” di chiunque a partire dall’auto che usa o dal cellulare di servizio, tanto più che il rapporto di noi italiani con le quattro ruote non è prevalentemente funzionale, ma emozionale e, spesso, lontano dalla logica, ma tuttavia sono convinto che i personaggi democraticamente eletti  dovrebbero, almeno nell’esercizio delle loro funzioni, sentire il dovere e il piacere di circolare esclusivamente con una macchina italiana e di usare i cellulari solo per servizio e non per personali telefonate. E questo perché ritengo che chi mi  rappresenta e amministra un Paese debba saperlo fare anche preferendo, ogni volta che può, prodotti e mezzi frutto dell’ingegno e del lavoro dei suoi concittadini utilizzando con diligenza le risorse che gli sono state assegnate. È un modo per aiutare materialmente e moralmente il popolo di cui si è parte a stimare se stesso e volersi un po’ più bene. L’esempio come si vede è importante con esempi concreti. Come l’idea di poter ottenere facili successi che non scaturiscono da impegno, abnegazione, sacrificio ma soltanto da qualità fisiche o dalla visibilità pubblica si sta paurosamente diffondendo nelle giovani generazioni. Il dato ancor più allarmante e che cresce il numero delle ragazze comprese tra i 13 e i 17 anni che sogna di sfondare nel mondo dello spettacolo come velina o soubrette, per non parlare dei tanti giovani che sognano di partecipare ad un reality show convinti di un facile sbocco nel mondo dello spettacolo. Seneca scriveva: “la parola convince ma l’esempio trascina”; questa affermazione è sempre attuale, ecco perché occorrono - oggi più che mai - uomini e donne che sappiano educare col loro esempio le giovani generazioni. Del resto è chiara ed evidente la crisi socio-culturale che sta vivendo il nostro Paese e che, a mio modesto avviso, deve spingere tutti a riflettere.

Favria, 2.07.2013              Giorgio Cortese

 

Grazie per l’impegno.

Alla fine di questa ennesima festa Patronale voglio sinceramente ringraziare gli attori che hanno permesso  la buona riuscita di tutti gli eventi di questi giorni. Un grazie di cuore alla sempre presente Protezione Civile Comunale, per suo umile ma preziosismo impegno. Un grazie sentito alla Pro Loco di Favria colonna portante della festa per il suo impegno ludico e gastronomico sempre gradito ed atteso ogni anno. Un grazie  sincero Favria Giovane per l’impegno nel cercare di ravvivare sempre la nostra amata Comunità.  Un doveroso grazie ai dipendenti Comunali che in questi giorni hanno lavorato alacremente per la buona riuscita della festa. Un grazie a tutti i giostrai e ai commercianti di Favria, e a tutte le persone che sono venute a Favria, che in questi giorni è la capitale ludica del Canavese. Grazie a tutti siete magnifici!

Favria, 3.07.2013              Giorgio Cortese  

 

Non dal volto si conosce l'uomo, ma dalla maschera, ma per certe persone i carnevali passano, certe maschere restano. Perché l’uomo può anche mentire, ma dategli una maschera e sarà sincero

 

Anche le forbici dalla punta arrotondata tagliano a metà.

 

Le forbici del sarto

Non recidere, forbice, quel volto, solo nella memoria che si sfolla, non far del grande suo viso in ascolto la mia nebbia di sempre”. Eugenio Montale

In questi giorni sono passato dal mio amico sarto Lorenzo e non ho potuto non notare che sul tavolo di lavoro c’erano in bella mostra una bella file di forbici. Queste forbici che lui usa con maestria nel tagliare la stoffa per confezionare dei vestiti mi hanno suggerito questa breve riflessione. Innanzitutto il lemma forbice deriva dal latino forfex e viene usata la parola per  lo più quasi sempre al plurale,  le forbici, un paio di forbici (ant. e region. al sing.. questo prezioso utensile d’acciaio per tagliare, costituito da due lame terminanti a punta a un estremo, incrociate e collegate da un perno dove ciascuna lama agisce come una leva di primo genere, e il perno funge da fulcro. Per facilitarne l’uso, sono provviste, all’altro estremo, di anelli nei quali s’introducono il pollice e il medio della mano, e le parti comprese tra il perno e gli anelli si chiamano branche. Anticamente non si chiamavano forbici ma forfici e i primi ad usarli in Europa furono i Galli.e. Poiché i romani le denotavano come forfex, ne deriva il nome italiano forfice. Il forfice, o cesoie, è costituito da un unico pezzo di ferro o di bronzo che viene piegato ad U le cui estremità sono forgiate a lame che possono incrociarsi e svolgere così la loro funzione di utensile da taglio. La parte ad U funziona come molla che "richiama" le lame, permettendo così un uso reiterato. I forfici sono simili alle cesoie che ancora oggi sano i pastori per tosare le pecore ed i tessitori di tappeti per rasare e tagliare i fili di lana. Dobbiamo a Isidoro di Siviglia, nel V secolo d.C., la prima descrizione dettagliata di vere e proprie forbici, utilizzate da sarti e barbieri.Non ci furono grandi innovazioni nella produzione fino al  1761, quando Robert Hincliffe, che fondò la prima manifattura di forbici, produsse il primo paio di forbici realizzate con acciaio fuso, temprato e lucidato. Hincliffe dovette risolvere una serie di problemi tecnici, prima fra tutte la realizzazione dei buchi dell'impugnatura. Esistono ad oggi numerose tipologia di forbici: le forbici da cerimonia, riservate alle cerimonie che vengono impugnate dalle autorità che tagliano il nastro inaugurale. Aprono il passaggio a luoghi, avviano anni accademici, mostre, attività. Le forbici che raccontano la preghiera e che si trovavano nel corredo delle novizie, forgiate in modo da disegnare una croce. Forbici che raccontano i fasti,con immagini dei reali impresse nell'impugnatura. Forbici che raccontanol'utilità nella storia umana come le forbici da moccolo e che servivano per spegnere lo stoppino delle candele. La storia della forbice, a partire dal Rinascimento, è tutta giocata sull'oscillazione tra utilità e bellezza. Infatti la forbice, contrariamente al forfice, ha una struttura ed una sua identità "materiale" che le hanno consentito, nel tempo, di assumere le forme più diverse per adeguarsi alle necessità pratiche, ma anche per essere... bella! Pur essendo un utensile con una struttura di ridotte dimensioni e ridotta superficie, la forbice riesce ad avere, talvolta, decorazioni ed invenzioni che esaltano l'estetica ed il lusso al di là della praticità dell'oggetto. I vari stili ci hanno consegnato forbici rinascimentali simili a due pugnali incrociati, forbici "barocche" ricamate come i lavori delle donne che le usavano, forbici persiane, forbiciette liberty, forbici déco... Naturalmente i Fabbri si sono impegnati con la loro creatività ed hanno prodotto forbici finalizzate ai vari, molteplici usi quotidiani, sia in casa che nelle botteghe artigiane. Troviamo quindi forbici per lo zucchero, forbici per spegnere candele, forbici a forma di aironi, forbici per il betel, forbici commemorative, forbici con le lamine di argento, forbici per le pelletterie, forbici per lo stalliere, forbici per la modista, forbici per il chirurgo. Ma è la forbice a perno che si carica, nel tempo, di un forte valore emblematico: diviene il simbolo del lavoro femminile ed, in generale, della sartoria e del ricamo. E poi nella lingua corrente l’uso delle forbici adibite al taglio ha dato origine a numerosi modi di dire. Ma prima una breve digressione  sul lemma tagliare, in provenzale talhar o tailar, per il significato di potare, e in piemontese taj  e poi la parola tassa che si chiama appunto taja deriva dal gotico taljan e poi nell’antico tedesco  daljan con il significato di dividere. Ecco che allora nella vita dobbiamo diffidare delle persone a “doppio taglio”, per indicare personaggi pericolosi ed infidi, questo modo di dire nasce da come si definivano così le armi bianche a lama piatta come la daga o la spada propriamente detta, che avevano affilati entrambi i bordi, a differenza di altre, quali ad esempio la scimitarra. Ma molte volte si deve “dare un taglio2, ossia di concludere qualcosa, sia interrompendola che portandola a termine. Si dice di un rapporto che viene troncato bruscamente, di una situazione o questione trascinata nel tempo che viene infine definita in maniera decisa o drastica, di una lamentela o simili sulla quale si smette di tornare. In quest'ultimo caso vale in genere come invito a smetterla. Insomma “tagliar corto”, ovvero essere bruschi o laconici in una conversazione oppure interromperla bruscamente, spesso per far capire all'interlocutore che non si ha voglia di dedicargli tempo o attenzione. Anche troncare un discorso, o dimostrarsi molto frettolosi per esigenze di tempo. Ma per certi problemi poi non resta che  “tagliare la testa al toro”, adottando una soluzione netta e definitiva, prendendo una decisione drastica, anche se può comportare una rinuncia o un danno. Questo modo di dire trae origine da un racconto popolare, dove si narra che un giorno un toro s'infilò con la testa in una giara, e non riusciva più ad uscirne. Il proprietario del toro, che non voleva rompere la giara per liberare l'animale, chiese consiglio a un amico, e questi non trovò soluzione migliore che tagliare la testa la toro, salvando però la giara. C’è poi  il modo di dire “di taglio”, quando si  dice di un oggetto più o meno piatto disposto in modo da avere i lati più larghi posizionati perpendicolarmente alla superficie su cui appoggia. “Tagliar fuori!, quando si vuole  separare, emarginare; isolare da un gruppo,o  da un ambiente e simili. Anche estromettere qualcuno in generale, per impedire a una persona di partecipare a un progetto approfittando  di un'occasione. Ma prima di “ tagliare la corda2, espressione presa dal gergo marinaresco dove ha il significato di levare l'ancora, cioè salpare e di finire alla chetichella, dall’'aggettivo "cheto",  quieto, silenzioso, ritorno al discorso iniziale per una  semplice riflessione . oggigiorno nessuno ha dei dubbi sulla necessità di un intervento economico e legislativo che metta in si­curezza i conti pubblici di fronte alle tenta­zioni speculative sull’Europa e sul debito pubblico italiano. Il  rischio di una nuova crisi finanziaria mi ricorda come gli standard globali per la finanza, su cui si è dibattuto nell’anno passato, rimangano an­cora colpevolmente nel cassetto. L’espe­rienza degli ultimi vent’anni con un debito pubblico elevato è quella di un succedersi di manovre di emergenza, alle quali è sempre seguita una decelerazione della crescita e­conomica, al punto che la bassa crescita è diventata uno dei dati costanti della nostra economia. L’emergenza, però, è spesso an­che l’occasione per interventi strutturali, dif­ficili in tempi normali ma che diventano pos­sibili in momenti di crisi, quando l’incalza­re degli eventi consente di abbattere il mu­ro degli interessi particolari, altrimenti inva­licabile. Tagliare si tagliare si deve ma pensando all’Italia che sarà con interventi seri e concreti e non con manovre di facciata altrimenti “tagliamo il ramo su cui siamo seduti e ci roviniamo con le nostre mani

Favria,  4.07.2013                    Giorgio Cortese.

 

Tre tipi di persone io detesto, la loro vita è per me un personale disprezzo, un povero superbo, un ricco bugiardo, un  politico fanfarone   privo di senno