Secondo Tommaso d'Aquino dobbiamo diffidare delle persone che leggono un solo libro, io aggiungerei che adesso dobbiamo stare in guardia delle persone che non leggono ma prendono per oro colato tutto cio che ci propinano le televsioni ed internet!

 

La pausa che ristora

Verso la fine della seconda guerra mondiale, con i soldati americani sbarca in Italia una nota bevanda gassata, nata in America all’inizio come medicina. Questa bevanda era stata boicottata durante il regime fascista che, dopo l'invasione dell'Etiopia, ha eliminato dal territorio italiano tutti i prodotti stranieri. Gli Italiani si appassionano con entusiasmo per tutto ciò che è americano e la famosa bevanda diventa uno dei simboli della nuova vita dopo le atrocità della guerra. E così da oltre oceano cominciano ad arrivare le macchine per gli impianti di imbottigliamento che si diffondono in tutta la penisola.  Dato il successo, questa bevanda di importazione pensa di entrare anche nei luoghi di lavoro, installando le prime ghiacciaie e puntando poi sui distributori automatici.  La diffusione dei distributori automatici che sembra essere ormai uno standard non solo in luoghi pubblici, ma anche in tutti gli ambienti di lavoro, affonda le sadici addirittura nell’antica Grecia. Pur privo della maggior parte delle tecnologie moderne, nonché del “dettaglio” elettricità, l’ingegnere e inventore Erone di Alessandria riuscì a mettere a punto un macchinario in grado di erogare acqua durante le varie cerimonie dei templi. Per attivarla era necessario inserire delle monete che, grazie ad una leva meccanica, causavano l’apertura della valvola di distribuzione. Erone quindi, ben 220 anni prima della nascita di Cristo, anticipò quello che sarebbe successo con i macchinari di simile scopo risalenti all’Inghilterra dei primi anni 1880. Dalle cartoline alle gomme da masticare, dall’Inghilterra agli Stati Uniti: capire quanto la commercializzazione dei propri prodotti potesse beneficiare dalla distribuzione automatizzata è stato un passo naturale. In particolare, è ovviamente è la nota bevanda americana a buttarsi nel business, ed è anche attraverso il colosso americano che i macchinari distributori automatici arrivarono in Italia, a Milano nel 1953 i primi 10 distributori di bottiglie, suscitando la curiosità dei più intraprendenti imprenditori locali. Ma l’italico ingegno non poteva accontentarsi a lungo di macchine che erogavano solamente bibite gassate. La bevanda preferita da questo lato delle Alpi è sicuramente il cffè in una qualsiasi sua miscela o dose. Ecco quindi che nel 1963 un’azienda italiana, la Faema, già costruttore di macchine professionali da caffè per bar, crea il primo distributore automatico di espresso. Il macchinario si chiama E61, ed è in grado di macinare direttamente sul posto il chicco di caffè. Negli anni '70 si afferma definitivamente il gettone, quale solutore del problema delle monete e dell'aumento dei prezzi. Sono anni difficili: prima la crisi petrolifera crea un profondo disagio, poi le avversità climatiche in Brasile influiscono sulla produzione di caffè, facendo impennare fortemente il prezzo dell'ingrediente principale della distribuzione automatica. La tecnologia permette migliorie continue ed i costi vengono pian piano abbattuti, sino a giungere alla grandissima diffusione. Oggi l’Italia è uno dei maggiori produttori di distributori automatici di caffè, caffè torrefatto, software e hardware di settore. Mi domando allora visto  il progresso tecnologico a quando avremo dei distributori di cervelli, anche usati e di zollette di buon senso che latita molto. Se La Patria va male, e la Nazione va in rovina ed il mondo dalla crisi è sconvolto e si soldi sono pochi è perché è anche morto in tutti noi il buon senso. Ma purtroppo nessuno lo sa e al funerale del buon senso nessuno ci andrà. Mancano i  cervelli pensati ed il buonsenso e non abbiamo neanche più le buone maniere e il senso del concreto vero e diamo sempre la colpa agli altri questa è la fotografia impietosa dell’odierna amara realtà

Favria,  25.07.2013    Giorgio Cortese

 

Nella vita dobbiamo sempre cercare di tenere in pugno il nostro lavoro, o sarà lui a tenere in pugno noi.

 

Alice chiese al gatto del Cheshire“mi diresti per favore che strada devo prendere per andarmene di qui?” “ Dipende molto da dove vuoi andare”, rispose il Gatto. “Non mi importa molto il dove”, disse Alice. “Allora non mi importa quale strada prendi” disse il gatto. Lewis Carroll

 

Le due realtà

Nella vita quotidiana spesso mi trovo come spettatore dello scontro tra la forza e il numero. Ma come già scriveva Georges Bernanos: “Un mondo dominato dalla   Forza è abominevole. Ma un mondo dominato solo dal Numero è ignobile.” Da un lato, la Forza di pochi che cercano di imporre il loro potere attraverso la loro arroganza, e non dico una tirannia politica ma anche solo la subdola dittatura della pubblicità,  che, in modo subliminale e inconsapevole, crea tanti sudditi che sono simili a replicanti, pronti a chinare il capo alle mode, ai modi di vita, ai luoghi comuni. D'altro lato, c'è anche il pericolo minaccioso del Numero. La democrazia è un conto, la demagogia è qualcosa di ben diverso, anche se apparentemente si abbiglia come la prima. La massa cieca può diventare un mostro che tutto distrugge al suo passaggio. Ritengo che di fronte a questi due estremi, antitetici ma dagli esiti analoghi, l'antidoto è il ritorno alla capacità critica nel valutare ogni avvenimento, senza mai piegarsi e senza lasciari omogeneizzare dalle mode, anche se brillano come delle stelle! Solo riflettendo pacatamente  riesco a fronteggiare le malebestie della Forza e del Numero, in qualsiasi forma essi si presentino. Certo potranno momentaneamente vincermi ma mai piegarmi perché la mia persona non è in vendita e mi genufletto per quieto vivere. Certo alcuni giorni il prezzo da pagare è alto, ma  molto più alta è la mia personale disgnità e di avere la coscienza in pace e di guardarmi allo specchio ogni giorno serenamente. Non è facile dove il facile compromesso e il  quieto vivere potrebbero farmi comodo, ma sono dell’idea che andare anche contro corrente ma con la schiena dritta mi donano una splendida gioia anche nelle piccole gioie quotidiane che sono il vero sale della vita

Favria, 26.07.2013    Cortese   Giorgio

 

Il miglior affare dell vita sarebbe quello di vendere un uomo per quello che crede di valere dopo averlo comprato per quello che vale. E’ la superbia a renderci l’animale più ridicolo mai creato sulla faccia della terra.

 

Certi giorni sono cosi ottuso che ritengo dotate di  buon senso soltanto le persone che la pensano come me.

 

L’artista!

Mi ricordo di  quando ero bambino e mia mamma mi accompagnava dal barbiere. Mi ricordo ancora i suoi candidi capelli bianchi. Mi ricordo che per tagliarmi i capelli “all’ umbèrta”,  mi faceva sedere su un seggiolino rialzato, fatto apposta per i bambini, a forma di cavallo. Il sedile era rosso mentre la testa del cavallo bianca. Già  i capelli all’umbèrta, che deriva dal nome di Umberto I di Savoia, che portava i capelli così pettinati, acconciatura maschile con capelli tagliati corti alla stessa lunghezza, quasi a spazzola. Certo nonostante questo taglio un po’ spartano era divertente andare dal barbiere. Mentre mi tagliava i capelli io cavalcavo in praterie sconfinate, che nella mio paese di nascita non c’erano. Ma solo strade  polverose dove si giocava a calcio, a tappi e a biglie o colline con ridenti boschi ma sicuramente non le immense praterie dei film western o dei fumetti, quelle dell’America. A dire il vero non c’erano neanche i cavalli dell’America, solo un signore che andava a caricare con un grosso cavallo ed un “tumbarel” la sabbia dall’Orco e tornando verso casa ne scaricava sempre una badilata per farmi giocare come se fossi al mare. Già ricordo come fosse adesso, il tumbarel, che in italiano vuole dire un carro ribaltabile a due ruote, lemma che proviene dallo spagnolo tumabar,  che significa fare cadere a terra., dal tardo latino  tumulus, monticello, dal verbo latino tumere, esser gonfio. Perché la terra o le pietre trasportate ricordavano sul carretto un piccolo ponticello artificiale. Tornando al barbiere la sua non  era una bottega, ma quasi un  luogo di delizie. Di solito nelle  botteghe si compra, si vende e qualche volta si fabbrica, in quella bottega non avveniva nulla di ciò.   Oggi nelle botteghe del barbiere appare  una  insegna di cristallo con una parola aristocratica:”Salone”, dove giovani aiutanti si affrettano a   gettare un manto bianco anche sulle spalle dei clienti, perché tutto sia candido, con  specchi, tavolette di marmo, acciai lucidi e tersi e nell'aria un vago sentore di cipria e di profumi. Allora l’insegna aveva un sapore quasi settecentesco: “Parrucchiere” quasi che invece di chiome naturali allora si doveva pettinare seriche e imponenti parrucche. Da bambino dal barbiere mi potevo immaginare le immense praterie americane mentre  mi tagliava i capelli. Certo che ancora oggi il mestiere del barbiere è importante, pensate che a lui solo è lecito prendere per il naso i più autorevoli personaggi e infliggere loro solenni lavate di capo. Egli solo, mentre gli altri adoperano, legno, cuoio, ferro, sostanze vegetali, minerali o di animali morti, egli solo lavora sulla viva pelle degli esseri umani. E non è solo il Figaro di Rossini ad esercitare questo mestiere,  dove elargisce anche più di un consiglio e dove noi tutti ci affidiamo serene e tranquilli mentre lui brandisce un affilato strumento di morte. Insomma quando vado dal barbiere gli sono grato pure per le ricette gratis che, senza alcun ticket fare, io ricevo all'uopo l'ausilio ed il conforto.  Il barbiere è un artista e psicologo che mi fa mi fa riflettere che solo  chi deve difendere valori provvisori come fossero definitivi finisce col prendersi troppo sul serio, chi invece poggia su valori definitivi vede tutto il resto come relativo: e per questo se la ride. Ed era forse per questo che quando vado dal barbiere me la rido, perché rido di me stesso.

Favria, 27.07.2013             Cortese Giorgio

 

Imu o Tares ma abbiamo sempre il Porcellum!