Io dono ad Agosto e tu?

 A tutti noi donatori di sangue abituali sarà capitato di sentirsi dire: “Ma perché vai a donare?”. A tutti questi la  mia risposta è invariabilmente la stessa: “Non voglio essere io a convincerti a farlo, ma tu a convincere me a non farlo”. L’interlocutore a quel punto non ha molte argomentazioni, perché sono veramente pochi i casi in cui si può fare del bene senza che costi nulla al benefattore. La donazione del sangue è uno di questi. Me ne sono convinto fin dal 1988,  quando effettuai la mia prima donazione di sangue. Fui chiamato da un cugino e dai sui amici ad andare a donare al Gruppo Fidas di Favria, To, cortile interno del Comune. da allora sono un donatore abituale e conservo gelosamente la mia tessera n. 121, che  mi accompagna ancora a ogni donazione e, pur non riconoscendomi molto nella foto, capelli da biondi a bianchi e molti  30 chili in più,  ogni volta mi ricorda che debbo essere grato a quelle persone, alcune di loro fanno parte dell’attuale Direttivo,  per avermi consentito di fare del bene che vale ancora di più perché fuori dal clamore quotidiano. Mi piace pensare che la mia storia di donatore di sangue ha camminato quasi in parallelo per molti anni allo storia del Gruppo dividendone speranze, fatiche ed immense soddisfazioni. Da allora il Gruppo Fidas Favria ne ha fatta di strada, oggi siamo arrivati alla tessera n. 730 e siamo passati da 250 donatori attivi con 350 sacche a 2340 donatori attivi con più 500 sacche. Ho conosciuto nuovi amici e mi sono fatto una cultura sulla donazione del sangue che ho cercato di esternare nell’attività di proselitismo che è uno degli obiettivi primari che si deve prefiggere una associazione come la nostra, perché gli anni passano e occorrono nuovi giovani da affiliare. Ma forse l’esperienza che come donatore mi gratifica di più è la plasmaferesi, cioè la donazione di plasma,  che comporta un minimo di sacrificio in più come tempo, ma che mi fa sentire di aver fatto qualcosa di importante. Ogni volta che dono mi sembra di essere andato da un ammalato e gli ho dato la medicina più importante di cui ha bisogno: il mio sangue. E tutto ciò nell’anonimato.  Questo significa essere donatore   ma, soprattutto, orgogliosi di esserlo. In questi anni molto è cambiato sia nei confronti del donatore che verso la donazione del sangue. Il merito non va solo ai progressi della medicina o all’attenzione che le strutture sanitarie prestano al problema, ma anche, e forse sopratutto, alle associazioni come la ADSP FIDAS e a tutti coloro che hanno lavorato, lavorano e lavoreranno volontariamente e nell’anonimato per il dono del sangue. Per quanto mi riguarda finché avrò forza e salute sarò sempre un “Donatore di sangue della FIDAS FAVRIA” Questo è il messaggio che personalmente sento di dare a me stesso, ai miei amici già donatori di sangue e anche a coloro che donatori non sono, nella speranza che possa servire di stimolo a diventarlo. Io DONO IL 2 di AGOSTO a Favria, To, cortile interno del Comune, ore 8-11  e Tu che mi leggi che cosa aspetti? Vieni a donare sangue in questo mese c’è molto bisogno di sangue anche del Tuo. Ti aspetto

Favria,  28.07.2013            Giorgio Cortese

 

Quello che certe persone chiamano prudenza non è forse che il primo sintomo dell’egoismo?.

 

Non solo il grande caldo rende arido

In questi giorni sotto la morsa dell’infernale Caronte, con le temperature che si infiammano mi viene da pensare  che il grande caldo con la carenza dell’indspensabile acqua, porta inevitabilmente all’inaridimento del suolo. Il lemma aridità, deriva dal latino aridus. Ma  se in agraria l’aridità del suolo si verifica quando il terreno è privo di un regolare flusso idricio. Tra noi esseri umani, che ci riteniamo pensanti, l’ardità è la mancanza di sentimento, di scarsa sensibilità per chi ci circonda e una povertà d’idee. L’aridità genera   una grettezza mentale che è un subdolo virus che cerca sempre di penetrare nei nostri animi rendendoci insensibili agli altri e cinici con tutto il mondo. Una salutare contromossa o antivirus è quella di rimare sempre vigile e ascoltare gli altri come se fosse la prima volta e cercando di vederli sempre con nuovi o con  altri occhi e non con la banale osservazione dell’andare di fretta. Leggevo in questi giorni un’articolo che mi ha fatto molto riflettere e pensare alla mia debole fede, scitto da un grande filoso russo Vladimir Solov’ëv che in un suo scritto: “Il bi­zantinismo e la Russia”, affermava che Bisanzio cadde perché, pur avendo accolto in teoria l’idea del re­gno cristiano, di fatto si fossilizzò nel­la costante e sistematica contraddi­zione tra le sue leggi, la sua amministrazione e le esigenze di un principio morale superiore, insomma un cristianesimo di facciata e rituale, ma che non era era il principio motore della vita. Forse anche noi oggi anche senza il grande caldo ci stiamo inaridendo, e meno male che Papa Francesco che il suo esuberante e contagioso entusiasmo cerca di non fare inaridire la nostra millenaria tradizione ma di farla rifiorire nella sua  rigogliosa genuinità.

Favria, 29.07.2013

 

Molti giorni preferisco pensare bene della gente, perché così mi risparmio un sacco di preoccupazioni

 

Ha – ha,  oltre il confine

In questo tempo di vacanza molte persone, almeno chi può permetterselo va in ferie. all’estero. Leggevo un articolo su un quotidiano di questi luoghi di vacanza in paesi abbastanza vicini e che si bagnano sulle rive del Mediterraneo,  quando la mia attenzione è caduta sul vocabolo “confine”. Parola questa, che deriva dal latino “confine”, con il significato di delimitare. Insomma limite  di un territorio, di un terreno che esiste per ogni unità amministrativa dalla frazione al Comune, Provincia, Regione, Stato Nazionale ed Europa e così via. Molte volte il confine può essere una siepe o staccionata che ci impedisce di proseguire oppure  un’ ha-ha. Si avete letto bene l’ha-ha è una recinzione invisibile, una siepe interrata e perciò nascosta, che suscita sorpresa in chi se la trova davanti all’improvviso. Infatti l’espressione in inglese è : “ha-ha!”. Questa barriera, costituisce un elemento fondamentale nell’arte inglese del giardinaggio: almeno da quando si decise, con un lavoro avveduto di cura, di dare un aspetto il più possibile spontaneo al paesaggio durante il Settecento. Ma ritornando al lemma “confine” c’è in piemontese la parola “finansa” che forse mi aiuta meglio a spiegare il significato di confine e viene usato per indicare dove arriva la proprietà di terreno. Al confine, in “finansa£ si trova sempre la pietra di confine, denominata in dialetto “termo” che deriva dal latino terminus. Il motivo per il quale si mettevano le pietre interrate nei confine dei terreni è semplice, tali confine dovevano durare. Nel Medioevo nsi usava anche il pioppo, ed ecco perché in piemontese si denomina  termol, il pioppo tremulo. Ma ritornando alla parola piemontese “finansa”, questa deriva direttamente dal  provenzale, finansa, a sua volta è traslata passata nel francese come finance e poi in italiano finanza. Ma il bello di questo vocabolo è che deriva dal latino “finis”, ossia  fine e qui ritorniamo alla parola iniziale confine, lasciando perdere il significato attuale del lemma finanza. Secondo un proverbio cinese:”Dio sorride se apri una porta.”. questo proverbio è un severo avvertimento non solo per chi erige muri materiali tra i popoli, anziché gettare ponti o aprire porte ma anche per ciascuno di noi che spesso preferisce isolarsi nei sui spazi protetti, temendo tutto ciò che sta fuori o tenendolo a debita distanza. È significativo che, pur con tutte le ragioni comprensibili, le nostre porte mentali siano oggi porte blindate, simili a muri invalicabili. Ma  aprire vere soglie, attraverso le quali sia possibile l'incontro, vuole dire di stendere sempre, la mano verso l'altro, per scoprire che il suo volto è come il tuo e spera in un sincero ascolto. E poi è triste  se si alza un muro. Se certe persone si girano dall’altra parte per non salutare, poverini il mondo gli resterà chiuso come un pugno. Se vogliamo che il mondo gli si apra devono fare lo sforzo di aprire anche loro la  mano  nell’inconro con l’altro. Oggigiorno, constato amaramente che, l’attuale società globale è molto simile ad una persona che si side sulla schiena dell’altro, soffocandolo e costringendolo a portalo. Ma nello stesso tempo che sta in groppa cerca di autoconvincersi di essere pieno di compassione verso il prossimo e desiderano, a parole, di migliorare la loro condizione, tranne che scendere, veramente, dalla schiena. Purtroppo la storia umana è piena di muri più o meno visibili e di ha-ha! di stupore. Dalla schiavitù fino al colonialismo e alle moderne prevaricazioni delle multinazionali e a certi esiti della stessa globalizzazione scorre un filo nero di sopraffazioni e di abusi. Spesso questi crimini sono stati compiuti anche da chi aveva la bocca piena di parole che andavano nel senso opposto, come socialismo, solidarismo, fraternità, uguaglianza. Ma, senza ricorrere a questi fenomeni storici generali, quante volte, vediamo delle persone che stanno comodamente seduto sulle spalle degli altri, per cinico opportunismo approfittando di quelli che stanno sotto, per il loro personale interesse con la furbizia e con oblique bugie. Ritengo che  solo se migliorano le relazioni sociali con schietta sincerità si può far notare a certe persone che è ora che scendano dalla schiena degli altri per avere una società senza barriere, un mondo aperto e con un aria più  "respirabile".

Favria,  30.07.2013

 

Nella vita basta poco per rimproverare una persona, ma occorre molto tempo per dimenticare un rimprovero.

 

Dall’albero della cuccagna alle due facce dell’attuale crisi

Queste calde sere di luglio mi fanno ricordare che quando ero bambino andavo con i miei genitori in vespa ad assistere alle varie feste campagnole. Allora in quelle felici feste d’infanzia non mancava mai l’albero della cuccagna. L'albero della cuccagna era un gioco popolare i cui partecipanti dovevano cercare di prendere dei premi posti in cima ad un palo, e in genere i premi erano prosciutti, salami o altri generi alimentari. Solitamente il palo veniva ricoperto di grasso o altra sostanza per rendere difficile l'arrampicata da parte dei concorrenti. Pare che all’origine ci sia il culto arboreo diffuso in tutta Europa a partire dall'area celtica e l’albero attuale è quanto rimane delle feste pagane legate agli antichi culti della fertilità, centrali presso le popolazioni agricole. Al centro dei bisogni c'era il cibo. Al centro della scena c'era l'Albero di Maggio, venerato come simbolo della nuova stagione e delle sue promesse di abbondanza. Attorno c'era la festa, e le feste popolari hanno al centro il cibo, anche quando sono religiose. Le popolazioni germaniche onoravano in generale gli alberi e gli dei a cui essi appartenevano, e festeggiavano le nuove fioriture con "sacrifici", probabilmente offrendo agli dei focacce dette “Kuchen” appese all'albero consacrato. Attorno all'albero sacro si celebravano del resto le feste principali delle civiltà agricole arcaiche come il solistizio d’estate e il solistizio d’inverno. Una variante dello stesso culto, ma collocata nel periodo del solstizio d'inverno, sarebbe l’albero di Natale , preso dalla Chiesa per  rendere onore ai  Santi che segnavano l'ingresso nel nuovo anno, come San Nicola, il Santa Klaus del nord Europa. All'origine del termine "Cuccagna" c'è probabilmente la radice  gotica "koka" torta, per significare  la possibilità di godere di ogni bene. Nelle varie lingue il lemma assume vari nomi: in Francia, con nome di origine occitana, si chiama "Cocagne" e in Piemontese Cuccagna, in Gran Bretagna, "Cockaigne", forse calcato sul francese; in Spagna, "Cucaña", a  Malta, "Kukkanja  ed infine in Italia si dice: il paese di Cuccagna”. In Italia, l'uso dell'albero della cuccagna di cui parlo sarebbe stato introdotto dai Franchi di Carlo Magno, e i Kuchen appesi all’albero sarebbero diventati Cuccagna,e il termine, anche senza l'albero, descrive abbondanza improvvisa conquistata per abilità, e non accumulabile. Pensate che in Alto Adige esiste una tradizione del tutto simile, il Kirchtagsmichl, dove al di sopra dell'albero della cuccagna viene issato un pupazzo, detto il Michl. Ma già nell’antica Grecia si favoleggiava di un paese della cuccagna,  anche se non indicato con questo nome, infatti nella commedia greca  "Minatori" dove Ferecrate,   commediografo del V secolo a.C.,  nel descrivere la vita felice dei morti, accenna ad un paese che si trova negli inferi dove ci sono "fiumi pieni di polenta e di brodo nero". Un altro esempio lo si può trovare nel paese del Bengodi descritto da Boccaccio nella III novella dell'ottava giornata del Decamerone dove "si legano le vigne con le salsicce, ed avevasi un'oca a denaio ed un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattuggiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi". Un altro romanzo che presenta la citazione del paese di cuccagna è nei "I promessi sposi", studiato a scuola, di Alessandro Manzoni.: "Ma dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedistallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarle pani. Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. «Vediamo un po' che affare è questo» disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. «È pane davvero!» disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: «così lo seminano in questo paese? In quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? che sia il paese di cuccagna questo. Ma la citazione di questo immaginario paese si trova anche nelle fiabe dei fratelli Grimm. Oggi invece siamo in piena crisi e l’albero della cuccagna rimane nei miei ricordi da bambino. Certo che quando usciremo da questa crisi non saremo un paese della Cuccagna ma avremo un futuro dignitoso per i nostri figli. Ma purtroppo questa crisi ha ancora due brutte facce, da una parte c’è chi  ne approfitta per non reagire o per  speculare. Che ci piaccia o no la crisi economica che stiamo attraversando in questo periodo, che più che un attraversamento è una sosta prolungata a tempo indeterminato,  è un dato di  fatto. La cosa curiosa è che all’inizio della crisi, c'era da parte di una fazione politica che era al governo, allora, che cercava di minimizzare la cosa. Per questi personaggi  dichiarare tale problema significava essere arrivati all'ultimo stadio per chi deve produrre profitti, e si sono prodigati per diverso tempo in un costante esercizio di  oscuramento della realtà. Ma al punto in cui ci ritroviamo ormai non c'è nessuno dotato di tale negligenza con così grandi capacità di auto-menzogna da sostenere che i ristoranti sono pieni e tutto va bene. Il problema è che la crisi nasconde ovviamente ulteriori insidie rispetto a quelle ovvie e superficiali che porta con sé sul groppone. Una di queste è senz'altro il virus dell'autocommiserazione, quello stato mentale che impedisce ai cittadini di cercare delle soluzioni  alternative, delle vie originali, per salvarsi dall'inesorabile baratro in cui stiamo precipitando. Il sentore comune della depressione economica è una tendenza alla generalizzazione ed alla resa nei confronti  del problema.ma dall’altro lato  molti si sentono quasi giustificati a non reagire a causa della crisi; a che serve cercare lavoro? Non si trova, la disoccupazione è alle stelle, meglio aspettare meglio non fare niente. Dall'altro molti ne approfittano per ritardare il pagamento di debiti, utilizzando la crisi come scusa. Altri ancora approfittano della situazione per proporre lavori sottopagati al limite della servitù, con la pretesa di ricevere in   cambio una venerazione pari a quella di un Santone che guarisce tutti i  mali. La soluzione non è da “paese della Cuccagna” ma forse bisogna innanzitutto evitare di lamentarsi e di mugugnare e brontolare in continuazione. Ritengo che non dobbiamo aspettare aiuti dall’alto perché siamo noi ad eleggere i nostrio governanti a a fare del bene per fare ripartire la nostra amata Patria.

Favria, 31.07.2013