La vera emergenza!

La vera emergenza oggi non sono  le bizze del PDL di fare cadere il governo sull’Imu! Non sono le bizze di un Cavaliere disarcionato, quelli sono problemi suoi. Il vero problema è quello di promettere agli elettori delle mete impossibili, questo è il non fare il bene del paese. Promettere delle mete inarrivabili è pura demagogia, ed è alla basa della nostra crisi che arriva da lontano. E’ dagli anni sesanta che i politici hanno sempre promesso dei benefici al popolo pecorone, peccato che erano promesse che si potevano mantenere con il Pil Svedese o Statunitense e con un sistema fiscale anglosassone. Ma ci rendiamo conto che il problema principale non è l’IMU ma  il persistente eroismo chiesto alle donne lavoratrici che con la maternità spesso si giocano il posto di lavoro? O la persecuzione fiscale alle famiglie numerose? O l’estromissione dei giovani da un mondo de lavoro che li respinge come corpi estranei? O la solitudine delle famiglie con disabili gravi a carico? La temeraria audacia di artigiani e piccoli industriali che nonostante tutto e pur salassati da tasse e continuamente presi in giro tengono duro. Ecco alcune urgenze vere, discriminazioni insopportabili, istigazioni tenaci all’emarginazione che meriterebbero la priorità alle bizze infantili relative a promesse elettorali irrealizzabili. E poi i soldi dell’Imu   a che cosa servono, sicuramente non per creare nuovi posti di lavoro. Se non si eliminano i continui sprechi e le sempre nuove pastoie burocrtatiche non andiamo da nessuna parte? Siamo seri, per favore, meno sprechi meno pressione fiscale, questa è l’unica ricetta.

Favria, 11.08.2013 Giorgio Cortese

 

Senza la quotidiana temperanza la vita è insipida

 

La non-violenza non è un paravento per la codardia, ma è la suprema virtù del coraggioso. L'esercizio della non-violenza richiede un coraggio di gran lunga superiore a quello dello spadaccino. La viltà è del tutto incompatibile con la non-violenza. Il passaggio dall'abilità con la spada alla non-violenza è possibile e, a volte, addirittura facile. La non-violenza, perciò, presuppone l'abilità di colpire. È una forma di deliberato, consapevole dominio del proprio desiderio di vendetta

 

Nella vita ritengo che le persone che commettono delle ingiustizie rimango nel loro animo sempre più infelici di quelle che le subiscono.

 

Tirare il numero

La legge sul Reclutamento del 20 marzo 1854,  stabiliva 5 classi sotto le armi, più 5 di seconda categoria con chiamata di quaranta giorni ogni anno, e l’obbligo di non prendere moglie per cinque anni. Erano inoltre disponibili 6 classi di “riservisti”. Il servizio militare, o ferma,  durava 5 anni per la fanteria, 6 per i bersaglieri, l’artiglieria e la cavalleria. Con questa legge sul   reclutamento soltanto un uomo ogni 55 veniva chiamato alle armi. Abbastanza numerosi erano i volontari. Allora l’anagrafe delle nascite era ancora tenuta dalle parrocchie e lo sarà fino al gennaio 1866 quando l’intero stato civile passò ai Comuni, perciò fino ad allora tra l’autorità religiosa e quella civile avveniva uno scambio frequente di carte e informazioni perché la leva militare era di competenza di Comuni, Mandamenti, Circondari. Inoltre i coscritti avevano l’obbligo di farsi iscrivere nelle liste di leva nel ventesimo anno di età. I corpi allora erano: fanteria di linea, bersaglieri, cavalleria, artiglieria, zappatori del genio, fanteria reale marina, corpo d’amministrazione, carabinieri reali, addetti ai depositi cavalli-stalloni ed infine assegnati  al treno d’armata, quest’ultimo nome generico degli uomini, dei cavalli e dei carri coi quali si trasportano negli eserciti ogni sorta di arnesi e d’attrezzi militari. Veniva utilizzato al riguardo un grande carro, quello che oggi si chiamerebbe mezzo per trasporti eccezionali,  monoasse utilizzato per usi per trasporto di tronchi e per uso militare al trasporto dei cannoni. Questo carro viene chiamato in italiano trincapalle, era un carro-leva e deriva dal lemma olandese trekken. Il termine Trincabale era addirittura citato in un manoscritto del 1732 dal commendatore Gio. Batta  d’Embser  luogotenente d’artiglieria del Regio Arsenale di Torino e questo, scusate mi solletica un poco il personale orgoglio avendo fatto il servizio militare come artigliere di montagna. Insomma nel linguaggio militare del 1700 il TRINCABALLE, italianizzazione dal piemontese TRINCABALE, riferito al CARROLEVA, era un carro speciale per il sollevamento e trasporto delle bocche da fuoco d’artiglieria e, nell’uso agricolo e civile per il trasporto dei grandi e pesanti tronchi d’albero. Infatti in piemontese il Trincapalle, in francese  Trique-balle, può a prima vista indurre a grossolani errori dell’etimo perché sembrerebbe che trinca possa derivare da trincare, bere con gusto, ma trincare deriva  dal tardo tedesco “trinken” e bale dall’italiano balle. Invece il nome prettamente piemontese del robusto carro potrebbe derivare da Trinca, che vuole dire robusta legatura,  un termine simile si trova nel linguaggio marinareschi come trinchetto e deriva sempre dal tedesco strich, che vuole dire corda o laccio.Per quanta riguarda BALE, non sono le italiane palle ma l’antico francese balla che vuole dire carico o collo e oggi lo si trova  anche nella parola imballaggio che deriva dal francese emballeur   e in piemontese Trimbalè, ovvero trasferire  i colli di  merce da qualche altra parte.Ma secondo un'altra fonte il termine TRINCABALE  deriva dal celtico tyng, legatura; string; legaccio e antico inglese barrel: canna da fuoco. Tornando alla visita di leva una  condizione rilevante per scartare i giovani, allora alla leva erano purtroppo numerose malattie   come la gracilità di costituzione, gozzi, tumori glandolari, gola grossa; ernie e sventramenti, claudicazione, varici, tigna ed alopecia. Ma nonostante i non abili alla leva nell’ottocento e fino all’inizio della seconda guerra mondiale, in Italia si verificò un esuberanza di ragazzi chiamati alle armi in singole classi. Allora si penso che per scegliere chi mandare a casa e chi trattenere in caserma di usare la sorte, perché già allora le raccomandazioni erano forti e c’erano già i furbetti e gli imboscati. In questo italico sistema si usava dire che:”A ciapè la furtun-a a-i veul ed coragi, ovvero che “A prendere la fortuna ci vuole coraggio”, insomma bisognava affidarsi alla buona sorte. Il sistema della chiamata alle armi era semplice. La legge stabiliva che i coscritti , o il sindaco per essi estraessero a sorte un numero: quelli che lo ottenevano basso dovevano fare il servizio militare, quelli col numero alto ne erano esenti. Nello specifico se si estraevano un numero basso, si faceva la ferma lunga di tre anni, chi prendeva i numeri intermedi quella ridotta di un anno e mezzo. Ma chi  aveva la fortuna di prendere i numeri bassi era subito congedato. I ragazzi coscritti di allora si raccomandavano prima del sorteggio ai santi, in primis a San Michele e San Sebastiano e dopo a San Maurizio, martire della legione Texana come san   Dalmazzo, San Besso, Sam Fausto o San Pancrazio, protettore degli alpini.

Favria, 12.08.2013     Giorgio Cortese

 

Nell'elaborare una strategia è importante riuscire a vedere le cose che sono ancora distanti come se fossero vicine ed avere una visione distaccata delle cose che, invece, sono più prossime

 

RES GESTAE FAVRIESI, da Rosboch a Rossi

Su richiesta dell’amico Fabrizio pubblico questa breve ricerca sul cognome Rosboch di Favria/ Oglianico. Dopo la caduta dell'Impero romano, ogni persona veniva identificata dal solo nome personale, di cui venivano usati vezzeggiativi in ambito familiare. Tali nomi venivano a volte riferiti anche alle caratteristiche della persona, alla provenienza. Si può parlare di vera diffusione dei cognomi intorno al XIV-XV secolo, e quasi esclusivamente per le famiglie nobili. Il cognome moderno, quello che portiamo oggi nasce nel cinque-seicento, con la stabile trasmissione da generazione in generazione. L’immutabilità e perdendo il significato con l’antenato che aveva generato tale cognome.Insomma con il Concilio di Trento, indetto da Paolo III  il 13 dicembre del 1545, stabiliva l’istituzione dei registri parrocchiali su cui veniva segnati i nomi dei nuovi nati e la paternità dei genitori. Il cognome Rosboch è dunque una variante in Oglianico, Comunità in Provincia di Torino dei tipici cognomi, Rubeo, Rossebastiano, Rosboch, che si ritiene tutti una variante dialettale dell’italiano Rossi. L’origine del cognome è dunque legata  alla caratteristica della colorazione dei capelli o della carnagione della famiglia originaria, già presso i romani questa caratteristica aveva originato il cognomen latino Rossius. La diffusione dei capelli rossi nelle popolazioni celtiche preromane era notevole e anche presso i latini troviamo molti personaggi con i capelli di questo colore, uno per tutti il famosissimo Silla, quello del celebre antagonismo con il pluriconsole romano Mario. Nel Medioevo, più che in alre epoche, il valore dei colori era fondamentale. Il rosso era accostato al sangue, ma indicava anche una caratteristica fisica, il colore dei capelli, una fazione politica o un riferimento ad uno stemma araldico. Notate bene  Rossi con le varianti tipiche in Oglianico ha la sua variante nel  Meridione con il cognome Russo, altra variante dell’originario colore dei capelli. Ma pensate che, Rosso fu anche nome personale nella Toscana  tardo medioevale, ma non confondiamolo con Rosso Fiorentino, famoso pittore, quello era il soprannome di Giovan Battista di Jacopo.

Favria, 13.08.2013               Giorgio Cortese