Quando non si crede in Dio si è disposti a credere a tutto. 1855 – 2013, sempre attuale il pensiero di Rosmini!

Il  pensiero di Antonio Rosmini, 1797-1855, sacerdote roveretano, continua a farmi riflettere e mi fa pensare alla sua reale attualità, anche in relazione alle vicende politiche degli ultimi anni.

E’ significativo pensare a come si sarebbe posto oggi Rosmini di fronte ad una crisi economica come quella attuale, una crisi che gli economisti non hanno saputo prevedere e stentano ancora a comprendere fino in fondo. Allora emerge con chiarezza il giudizio di Rosmini secondo cui ogni squilibrio è determinato da una perdita di valori della società.

C’è un significativo anello di congiunzione tra economia ed educazione: per Rosmini ogni male sociale ha la sua origine nella carenza morale del vivere civile, a questa carenza vi è un solo rimedio, l’educazione.

Tuttavia non vi può essere educazione dove domina la povertà e l’emarginazione, e non si può vincere la povertà se non si punta decisamente sull’educazione.

Il cammino della cultura, delle scoperte e delle innovazione scientifiche e tecnologiche possono far crescere la società solo se come fine si pongono il bene morale delle persone.

Quadro politico del tempo in cui visse Rosmini

Permettetemi  di presentare l’Italia di quegli anni con il  fallimento del tentativo neoguelfo nel 1848, che aveva invano tentato di conciliare le aperture sociali e politiche del liberalismo col mantenimento dei tradizionali assetti della società religiosa, Rosmini aveva, infatti, denunciato una notevole distanza tra Chiesa e società liberale.

L’Italia di quegli anni, non era una nazione unita ma un insieme di piccoli stati, divisi tra di loro sotto la potenze influenza asburgico.

Certo la Rivoluzione francese e Restaurazione hanno impresso il segno del loro passaggio sul profilo politico e culturale del continente europeo.

Non si deve dimenticare che  durante il periodo giacobino e l’impero napoleonico poi,  venne proibito l’uso degli abiti ecclesiastici, obbligo di mettere la coccarda, imposizione delle sepolture non più nelle chiese ma fuori dalle mura cittadine, provvedimenti che provocarono la radicalizzazione del malcontento, pi con la Restaurazione i vari re dell’Ancien Régime, in italiano "Antico Regime,  e dal punto di vista politico furono ripristinate o abolite molte istituzioni introdotte dalla rivoluzione francese: per es. il divorzio introdotto in Francia nel 1792, e abolito nel 1816 per essere  nuovamente ripristinato nel 1884. Si cerco di ritornare alla società prima della Rivoluzione Francese, con tutti i vecchi diritti feudali, con una più stretta unione fra trono e altare, fra Stato e Chiesa, ne è un esempio clamoroso la consacrazione regia di Carlo X nel 1824.

In questo quadro agisce il pensiero di Rosmini, si sviluppa in questo scenario storico la sua ipotesi di un federalismo capace di aggregare l’Italia, lungo un percorso teorico ove conservatorismo, liberalismo, tradizionalismo cercano   il terreno di una difficile composizione

In quel periodo qualcuno, in quegli anni, si illuse che il   sovrano pontefice potesse assumere un ruolo guida, come auspicato dal partito neoguelfo di Gioberti, ma le mosse politiche del Vaticano erano durate  appena lo spazio d’un mattino.

Infatti Gioberti inseguiva la  terza via con il “Primato degli Italiani”, pensando all’edificazione politica della Patria tra fantasiosi ponti su disparati punti cardinali, ma in realtà Pio IX non deludeva nessuno, se non alcuni illusi, e non tornava, ma continuava a esercitare come prima il ruolo del Papa-Re.

Pio IX, dopo aver suscitato effimere speranze divenne un Papa sempre di più transigente, che si manifestò con l’emanazione dell’enciclica “Quanta cura” e  poi quella del “Sillabo”.

Tali documenti rappresentavano una forte sottolineatura della già manifesta avversione di Pio IX verso le moderne teorie politiche.

Del resto, il ritorno del pontefice all’assolutismo non poteva che favorire e accentuare l’impronta anticlericale dei liberali.

In quei anni, Rosmini, nel 1848, svolse una missione diplomatica per conto del Re di Sardegna, Carlo Alberto presso la Santa Sede presso Pio IX. Questa iniziativa, principalmente a opera del Gioberti, volta allo scopo d'incoraggiare il Papa nella via intrapresa, ma il Papa cambio linea politica o meglio, ci si rese conto della sua intransigenza nell’accettare delle idee moderne. Rosmini seguì il Papa, con attaccamento filiale a Gaeta, ma qui fu cacciato dalla polizia borbonica.

Dopo questo fallimento politico, Rosmini rifiutò ogni altro incarico politico, tornò a Stresa, dove scrisse queste grandi e preveggenti opere che lo rendono di un’attualità corrente.

Questo, ed altri episodi non potevano che  alimentare un anticlericarismo che  trovava sponda persino tra ambienti mediani tra il liberalismo cavouriano e nelle simpatie neoguelfe, soprattutto attraverso la diffusione di un giornalismo ricco e motivato che era stato il principale veicolo del giobertismo, come nel caso del più diffuso giornale risorgimentale, la piemontese “Gazzetta del popolo”, punto d’incontro tra personaggi di rilievo del moto unitario.

I liberali esitavano di matrice cattolica esitavano davanti al palese fallimento del mito neoguelfo, mutando l’orientamento verso forme anticlericali, venate da presenze evangeliche e propendendo sempre più decisamente per un appoggio alla realista politica unitaria cavouriana.

Certo i liberali erano in massima parta anticlericali e alcuni di loro con i toni di forte polemica  antiecclesiale, contribuirono nel nascente Regno D’Italia a indirizzare una legislazione che tendeva a un deciso ridimensionamento, se non all’annichilimento dell’elemento ecclesiale e della stessa figura del pontefice, secondo la regolamentazione del diritto comune.

Significative sono le leggi Siccardi, per la separazione tra Stato e Chiesa, del 9 aprile 1950, che abolirono i privilegi goduti fino ad allora dal clero cattolico, allineando la legislazione piemontese a quella degli altri stati europei

C’è anche da ricordare la legge del 1866, con la quale veniva negato il riconoscimento, e di conseguenza la capacità patrimoniale, di tutti gli ordini, corporazioni, e le congregazioni religiose.

I beni di proprietà di tali Enti soppressi furono incamerati dal demani statale, a Favria in quel periodo le riparazione degli edifici religiosi furono svolte dal Comune, che ne era divenuto proprietario.

 Queste leggi produssero un incremento vertiginoso della secolarizzazione: le stime dicono che il numero dei religiosi, negli anni tra il 1861 al 1871 scese da 30632 a 9163 unità.

Sicuramente non proprio tutti i liberali intendevano annullare completamente la presenza ecclesiale nella società civile e ce n’era che cercavano, se non argomenti concilianti, temi o possibilità di un incontro almeno parziale; tuttavia la tendenza prevalente, se non traboccante, risultò o continuò in ogni modo a risultare quella di un radicale anticlericalismo, spesso rozzamente antistorico, che emanò le leggi sopra elencate.

Poi l’impresa garibaldina, realizzata grazie alla prodezza del Generale, fece esplodere in tutta la sua dinamica prorompente la Questione Romana.  L’obiettivo ultimo restava per tanti, ma non per tutti,  il ricongiungimento di Roma papalina col resto dell’Italia unificata, come diceva Cavour: “Roma e Roma sola”, l’unica capitale possibile.

Bisogna anche ricordare che la presa di Roma per gli ambienti anti clericali poneva così fine allo Stato temporale della Chiesa.

Ma anche in casa liberale, lentamente, qualcosa stava cambiando, mentre da una parte continuava la lotta contro la Chiesa, sotto la patina di un anticlericalismo spesso feroce se non spietato, da un’altra iniziava a manifestarsi un amalgama conservatore ancora informe, che agli obiettivi dell’anticlericalismo anteponeva finalità più serie e concretamente immediate, quali la tutela della monarchia costituzionale e dell’unità statale, e delle aspirazioni e delle avvenute conquiste di una borghesia ormai economicamente evoluta e socialmente più allargata, da salvaguardare anzitutto contro i sovversivi, ma anche contro eventuali reazioni legittimiste.

Era inevitabile che a un tale mescolanza su un polo conservatore, che veniva denominato allora “liberale” solo in virtù dell’identica matrice d’origine, andassero saldandosi lembi di cattolicesimo, soprattutto fra quanti non si riconoscevano all’intransigenza dei papalini.

Per costoro,  la rivoluzione si era arrestata col raggiungimento dell’unità e il mantenimento dell’ordine, mentre il recupero di corretti rapporti sociali all’insegna della conservazione era un obiettivo più attuale rispetto a quello di una superata, se non anacronistica, avversione antipapale, giustificabile nei fatti solo in ragione dell’ostilità del pontefice a riconoscere l’avvenuto mutamento dei tempi.

Il quadro sociale di quel periodo.

Rosmini visse in un periodo in cui la rivoluzione industriale iniziò a segnare la dimensione sociale.

La sua famiglia possedeva a Rovereto una manifattura e una filatura di seta che arrivò ad occupare quattromila persone, una grande impresa, soprattutto per quei tempi, un’azienda in cui si vedevano tutti i problemi legati alla condizione operaia, al lavoro manuale e ripetitivo, alla variabilità delle condizioni di mercato.

Anche per questo Rosmini, pur non dedicando nessuna opera specifica all’economia, ha dimostrato di avere una sensibilità particolare verso i temi dell’economia stessa, sia negli aspetti generali della supremazia dell’economia di mercato, sia in quelli particolari come la lotta alla povertà e l’integrazione, ora di grande attualità, tra le logiche di mercato e quelle non profit, come afferma con chiarezza  l’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.

Rosmini ed il progresso economico

Rosmini è stato forse uno dei pochi filosofi dell’Europa continentale ad aver guardato al nuovo sviluppo economico con un atteggiamento sostanzialmente positivo pur tenendo conto dei costi umani e sociali che la rivoluzione industriale stava facendo emergere.

E infatti una delle sue maggiori preoccupazioni era il pericolo che l’Europa moderna fosse attirata sulla strada del progresso economico perdendo di vista i propri valori etici e soprattutto la propria identità spirituale.

Se pensiamo al dibattito sulle radici cristiane dell’Europa, non possiamo dimenticare come Rosmini pensasse che la perdita dell’anima europea avrebbe infine portato al deperimento dell’economia in se stessa e al suo inaridimento.

E proprio partendo dal concetto di radici, e quindi di identità, si può comprendere come al centro della società non ci possono essere le ideologie, ma si deve ritrovare sempre e unicamente il valore della persona.

Per Rosmini, in primo piano, la libertà viene intesa come “esercizio non impedito dei propri diritti, i quali sono anteriori alle leggi civili.

Nella stessa “Filosofia della politica” Rosmini ricorda che: “La rivoluzione francese nello stesso tempo distrusse molti abusi,  ma ebbe effetto di creare il dispotismo de’ Governi civili, di concentrare in essi tutti i poteri con assoluta negazione de’ limiti morali, e d’insegnar loro a confiscare con molt’altri diritti naturali anche quello della libertà d’insegnamento. In questo modo i Governi istituiti per la tutela dei diritti di tutti gli uomini,   divennero i più tremendi nemici di tali diritti, che a se soli riserbarono, spogliandone le intere nazioni”.

C’è in questa posizione estremamente chiara una precisa denuncia di un rischio che, soprattutto nella società attuale, sembra crescere e approfondirsi: il rischio che, lo Stato si arroghi il diritto di essere l’unico titolare di tutto, sostituendosi ai vecchi signori feudali. 

La rivoluzione francese è proprio vista da Rosmini come una giusta rivolta della società civile contro l’assolutismo, una rivolta che tuttavia ha preso la strada dell’indiscriminata libertà dei singoli diventando prima anarchia per poi trasformarsi di nuovo in tirannia, fonte di ulteriori discriminazioni.

Fondamenti positivi, come la volontà di partecipazione, la lotta contro i privilegi, la fine delle divisioni in caste e nobiltà, hanno tuttavia poi dato spazio a dispotismi e ulteriori discriminazioni come la negazione della stessa libertà di insegnamento da parte della Chiesa.

Per Rosmini il valore della persona e della sua libertà può essere considerato il filo conduttore di un pensiero in cui la dimensione cristiana diventa valore civile.

È libero, secondo Rosmini, colui che esercita la virtù, colui che sviluppa tutte le proprie capacità e potenzialità ricercando sempre e solo il bene morale.

È il bene morale che consente ad ogni soggetto umano di avere il massimo rispetto di sé stesso, rifiutando ogni eccesso e evitando atti o parole che possano ostacolare la libertà altrui con ingiustizie, disuguaglianze, soprusi. Solo colui che rispetta e promuove lo sviluppo culturale ed economico di tutti i settori sociali può realizzare una propria crescita personale, dato che nel solo bene morale risiede il vero progresso reale. E’ quindi necessario ripartire dai valori e dalla centralità dell’essere, indirizzando al bene della persona, ogni azione civile, sociale ed economica. 

La visione economica di Rosmini

E proprio dal profilo economico viene un’altra importante lezione. Sicuramente Rosmini aveva studiato e approfondito gli scritti dell’economista classico Adam Smith grande teorico dell’economia di mercato.

Rosmini  nei sui scritti  guardava alla positività del mercato, come strumento di regolazione degli scambi e di tensione al miglioramento dell’efficienza dell’economia, ma lascia anche intravedere come complemento necessario a possibilità di introdurre non a fianco, ma all’interno delle logiche di mercato, elementi di gratuità che possano rendere sempre più umana la dimensione economica.

Insomma, Rosmini è stato un precursore del “terzo settore”, cioè il non profit e del volontariato, che oggi viene considerato elemento fondamentale dell’economia civile.

Per Rosmini la società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani.

È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso.

Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro.

Il mercato trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano.

Infatti, l'economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici.

Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell'uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso.

Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale.

La sfera economica non è né moralmente neutrale né di sua natura disumana e antisociale.

L’economia ed il mercato appartengono all'attività dell'uomo e, proprio perché umane, devone essere strutturata e istituzionalizzata moralmente.

L’attualità oggi di Rosmini

Ma oggi vediamo come la finanza è legata solo a se stessa   non all’uomo arriviamo così al paradosso speculativo di vendere armi anche a dei terroristi che potrebbero uccidere le stesse persone che le hanno fabbricate, solo per fare soldi!

Oggi, nell’epoca della globalizzazione, riprendendo gli insegnamenti di Rosmini l’attività economica non può prescindere dalla gratuità, che virtusamente alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune tra gli esseri umani.

Questa è una forma concreta e profonda di democrazia economica che il pensiero economico di Rosmini ha anticipato nei sui scritti a metà dell’ottocento.

Per Rosmini la difesa del diritto di libertà quindi, ma insieme il solido ancoraggio dei principi morali.

Il valore della concorrenza e del mercato, ma insieme un ruolo   dello Stato per garantire regole certe e l’uguaglianza di fronte alla legge

In Rosmini si legge già una forte critica allo statalismo, lo Stato per Rosmini deve evitare:“La beneficenza governativa,può riuscire, anziché di vantaggio, di grave danno, non solo alla nazione, ma alla stessa classe indigente che si pretende beneficiare: nel qual caso invece di beneficenza è crudeltà”. Queste parole si commentano sa sole

 Ci sono in Rosmini tutti gli elementi di un moderno liberalismo democratico che si coniuga peraltro coerentemente con l’attuale dottrina sociale della Chiesa che come ricorda sempre la “Caritas in veritate”, l’Enciclica di Benedetto XVI.

Ma a questo punto mi domando e mi chiedo: quale spazio hanno questi temi e queste prospettive all’interno della nostra società italiana?

Se Rosmini, oggigiorno, scrivesse le cinque piaghe dell’Italia sicuramente metterebbe tra i più gravi problemi sociali quello dei media quali la televisione ed internet.

la televisione non solo per il conflitto di interessi che nel sistema televisivo ha la sua massima evidenza.

Abbiamo oggigiorno una televisione che si caratterizza per l’assenza di qualità, per il disinteresse verso i bambini, per la volgarità, insomma una cattiva maestra.

La nostra Patria è la dimostrazione pratica di Karl Popper che affermava su come la televisione potesse trasformarsi in una cattiva maestra soprattutto dove la competizione porta ad abbassare sempre di più la qualità dei programmi e la dose di violenza da gettare in pasto ad un pubblico indifferenziato.

Molto del nostro attuale disagio sociale e politico di questi ultimi tempi nella nostra Patria, della malapianta dell’antipolitica va addebitato anche al piccolo schermo e a chi lo governa: se manca l’ancoraggio sui valori della persona allora tutto diventa possibile.

Come diceva il cardinale Giacomo Biffi: “Quando non si crede in Dio si è disposti a credere a tutto!”.

Favria,  18.09.2013 presso Biblioteca Comunale Pistonatto ore 18,00

Giorgio Cortese