Ottobre.

Il ridente  cielo si oscura nella malinconia della giornata. La pioggia finemente cancella il ricordo del dorato settembre che è ormai passato. Una leggere brezza percorre il parco, ed io rapito osservo le mille goccioline cadere al ritmo del vento. Mentre le osservo, una leggera malinconia si insinua nel mio animo. Questa gagliarda brezza soffia e scompiglia  le chiome e anche i miei pensieri  e scaccia i ricordi dell’estate appena trascorsa. Che  belle le impagabili atmosfere di ottobre che tutta la natura colora ed accalora le case, con il dolce preludio a rinnovate situazioni.

Favria, 4.10,.2013   Giorgio Cortese

Una via d'uscita dalla crisi c'è. È una strada praticabile, piena di buon senso e di gesti semplici ma efficaci. Ognuno di noi è chiamato a fare, a casa, in ufficio, nel mondo, per diminuire gli sprechi, consumare in modo consapevole, rispettare i diritti degli altri e della natura che ci circonda

Res gestae favriesi, il piemontese Baudino dalle radici longobarde .

Ci sono dei cognomi italianissimi, ma hanno un significato chiaramente riconducibile a vocaboli stranieri. Questo perché il nostro Paese non è sempre stato unito territorialmente, e neppure linguisticamente. Fino alla fine dell'ottocento, infatti, in letteratura si usa dire fino ad Alessandro Manzoni, che con i Promessi Sposi ha codificato il fiorentino come lingua nazionale, in Italia si parlavano lingue diversissime, e difficilmente un lombardo si sarebbe capito con un siciliano: poi le guerre di Indipendenza, l'Unità nazionale, la cultura, e la diffusione della televisione nel secolo scorso ci hanno reso omogenei, ma ancora possiamo trovare segni delle antiche differenze nei dialetti locali, o appunto, nei cognomi. Il cognome preso in questione ha delle radici Longobarde. I Longobardi furono una popolazione germanica, protagonista tra il II ed il VI secolo, 400 anni, di una lunga migrazione che li portò dal basso corso dell' Elba, estremo nord dell’attuale Germania, fino all’Italia. Baudino è appunto uno dei cognomi che trae origine dai Longobardi, nato molto   probabilmente come soprannome per uomini virtuosi o valorosi. Ecco che allora il cognome Baudino, tipicamente piemontese, che è anche un nome proprio maschile,   deriva dal nome  Baldovino, che deriva a sua volta dal longobardo “baldwin” e che significa audace amico o compagno ardito, bald, audace e win amico. Il 7 novembre viene festeggiato l’onomastico in memoria di San Baudino di Tours del VI secolo d.C.

Favria,  5.10.2013                     Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana non servono solo i complimenti, ma anche quando  ricevo delle critiche! Grazie anche anche a chi mi critica, siete un quotidiano stimolo nel migliorarmi.

Per la ripresa ripartire dalla sapienza delle mani

Quando ultimamente leggo i  giornali o si ascolto la televisione mi appare a prima vista,  una Patria dove il senso di nazione è molto debole e labile. Certo questo è vero ma se cambio un attimo la prospettiva del mio ascoltare ed osservare, ecco che tutto cambia radicalmente  e mi accorgo  di un’identità italiana che è in realtà molto forte anche se radicata, e direi filtrata, dalla appartenenza locale con il rischio di  cadere nel particolarismo con il trionfo dell’eccezione sulla regole. Ma queste peculiarità le citiamo, ultimamente, quasi sempre per piangerci addosso, come aspetto negativo. In realtà, la peculiarità che ci ha fatto diventare nazione moderna tra anche origine dalla tradizione che avevamo nel periodo ante unitario. Ritengo che il quotidiano a volte indulgente e del lasciar correre, se da un lato può generare un’eccessiva personalizzazione dei rapporti e una concretezza che rende difficile la disciplina, dall’altro aiuta a rafforzare lo sguardo benigno e creativo nei confronti della realtà che ci circonda. insomma, alimenta la nostra creatività. In questa crisi forse più che proclami governativi o elettorali, servirebbe ripartire dalla nostra innata concretezza, che abbiamo ereditato da una millenaria storia comune, ripartendo dalle piccole realtà artigianali e commerciali che sono la vera ossatura per una ricchezza nazionale condivisa che ci permette di mantenere i diritti acquisiti, perché senza lavoro siamo sul serio rischio di peredere sessantenni di diritti sociali acquisiti. Non c’è  Stato sociale se l’economia è debole!.Certo se prendiamo ad esempio Giacomo Leopardi nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani,” condannava il “poco o niuno amor nazionale che vive tra noi, e certo minore che non è negli altri paesi”. Significativa è la celebre frase di Massimo D’Azeglio che, pensando all’unità nazionale, affermava   con scetticismo :”Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani”. Ma come già detto sopra, in Italia e non ce ne rendiamo conto abbiamo un modello singolare che forse può essere vincente di fronte a questa crisi e che aspetta solo di essere valorizzato, limandone gli umani difetti. Siamo italiani con il senso del comico, la capacita di mettere in evidenza, anche esagerandolo, il lato dolce della vita. Ogni giorno incontro moltissime di queste persone, che sembra che recitino una Commedia dell’Arte, ognuno con la sua maschera che danno una varietà di suoni e figure che allargano il respiro e aprono al domani. Abbiamo un’ Italianità , che ci ha dato nel secolo appena passato il benessere economico, un benessere che è partito dal basso, dall’esperienza, a partire dal rapporto concreto tra la “sapienza dei luoghi”, il genius loci e “la sapienza delle mani” . La nostra Patria è ricchissima di questa fonte inesauribile di materie prima, le bellezze del paesaggio, le bellezze artistiche e storiche e l’artigianato. Lo sanno i turisti stranieri, che trovano qui qualcosa di assolutamente unico, che non incontrano altrove. Nell’arte, nell’urbanistica, nell’artigianato. E più in generale, anche nella qualità di certe forme di vita, fino alla tradizioni culinarie, spesso sviluppate a partire da situazioni di penuria, ma capaci di realizzare qualcosa di valore. Da qui derivano anche le forme istituzionali tipiche del nostro Paese, che ci rendono doversi dai nostri vicini europei, la centralità del municipio, il ruolo della piccola impresa e della famiglia, l’attitudine creativa. Incredibile a dirsi, questo nucleo originario che costituisce il cuore della nostra tradizione fatica a essere compreso e condiviso da noi stessi, che cerchiamo di scimmiottare modelli anglofobili che non hanno nessun nesse  con la nostra millenaria storia. Per riformare davvero l’Italia, occorre prima e tutto conoscerla e, in secondo luogo, volergli bene. Certo, l’Italia ha oggi, di nuovo, un ritardo. Ma il suo futuro non passa dalla negazione delle sue radici, ma dalla loro piena valorizzazione, che passa anche dal combattere le non piccole patologie di cui il nostro modello è portatore. Il mondo artigiano e pienamente parte di questa storia, di questa matrice. Difenderlo e promuoverlo non significa avere la testa voltata all’indietro, ma continuare a pensare che l’Italia abbia qualcosa di straordinario da offrire al mondo intero.

Favria  6.10.2013               Cortese Giorgio

Il calcio è vita. Nonostante tutti gli scandali, nonostante tutte le persone e cose negative che circolano in questo grande mondo, 22 persone che corrono dietro ad un pallone sapranno sempre emozionare migliaia di persone

Res gestae favriesi, da una quercia al cognome Cerutti, Ceretto.

Il tipico cognome piemontese Cerutti ha delle varianti, in Basilicata  è Ceraldi e in Lombardia  Cerruti. Ma l’origine di questo cognome è un quercia che anticamente faceva bella mostra di se in buona parte del territorio italiano. Il cerro è un albero maestoso, alto fino a 30-35 metri e con diametro che può superare 1,50 metri, fusto diritto,  chioma densa, piramidale e globosa, dal colore verde opaco. E’ un albero  longevo, vice anche più di 200 anni. Il legno del cerro è pesante, duro e di difficile lavorazione ed è molto ricco di tannino anche nelle foglie, e quest’ultime fornivano una volta decotti, impiastri per molteplici usi, per uso astringente, antipiretico, contro gli avvelenamenti e le affezioni orali. Come tutte le querce, il suo nome è associato alla forza, alla saggezza, alla longevità ed alla tenacia. Il cognome Cerutti, Ceretto, significava bosco di cerri, dal latino cerrus, quercia, ma con l’indicare la radice indoeuropea  kar, essere duro, nel senso di tenace. A questa radice attraverso il mutamento della parola nel dialetto si è molto probabilmente incrociato con  il lemma latino, cirrus, cirro, ciocca di capelli. Da questo sopranome composto sono nati gli odierni cognomi. Le località come Ceretti, a Favria, abbiamo una via, ci ricordano in toponomastica gli antichi boschi di cerri che popolavano tutto il territorio con le loro superbe chiome.

Favria, 7.10.2013               Giorgio Cortese

 

La politica è il diversivo di piccoli uomini che, quando hanno successo, diventano grandi agli occhi di altri piccoli uomini

 

E loro ci osservano!

Parlavo recentemente con un veterinario che mi ha raccontato questo episodio che fa ben riflettere. Questo mio amico veterinario, quando apre la porta dell’ambulatorio dice sempre: “Buongiorno. Prego a chi tocca?”, cercando di essere sorridente e gentile. E anche calmo, perché un veterinario agitato o nervoso non è che faccia una gran bella impressione. E certo se io sono seduto  nella sala d’aspetto di un medico o di un dentista e all’improvviso mi vedo saltare fuori da una porta il medico o il dentista con i capelli sudati e gli occhi spiritati che dice, anzi urla: ALLORA? C’E’ QUALCUNO DA VISITARE SÌ O NO?, ecco non mi farebbe una gran bella impressione. Penso che me ne andrei all’istante a farmi visitare da qualche altra parte. Ritengo che affermare: “Buongiorno. Prego, a chi tocca?”, sia una bella frase. Intanto si dà il buongiorno, e salutare è sempre buona educazione. E poi si chiede a chi tocca, in modo da rispettare l’ordine di arrivo. L’ordine di arrivo è importante tanto dal medico quanto dal panettiere. Altrimenti succede un caos. Una volta, nella sala d’aspetto del suo ambulatorio, è successo proprio uno di questi caos. Una signora con il pechinese diceva a un signore che toccava a lei, una ragazza con un dalmata, sbraitava che in realtà lei era prima di tutti ma era andata fuori perché al suo cane scappava. Un bambino piangeva spaventato e la sua mamma, con tanto di barboncino al guinzaglio, urlava che la smettessero di gridare perché spaventavano il suo barboncino. Un vecchietto con una gabbia con un gatto, arrivato per ultimo, sosteneva che doveva passare lui perché agli anziani si deve dare la precedenza. Il veterinario mi ha detto che quando ha aperto la porta, perché ormai il frastuono non riusciva più a restare confinato in sala d’aspetto ma si espandeva come certi cattivi odori, e ho detto: “Buongiorno. Prego, a chi tocca?”, per poco ha rischiato che gli saltavano addosso. Ognuno dei bipedi umani in sala d’aspetto era convinto di essere il primo della fila, e che toccava proprio a lui  e non agli altri.  Il veterinario ho preseguito il suo racconto i come cercava di metterli d’accordo, non capendoci nulla neanche lui. In tutto questo caos, tutti si erano dimenticati degli animali, che erano li per qualche patologia. Ma ad un certo punto, come se ciascuno di quelle persone presenti avesse pensato la stessa cosa, si sono zittiti tutti e hanno guardato i rispettivi animali, guardato giù, verso i cani, i trasportini con i gatti e le gabbie con gli uccelli, e si siamo accorti che loro li guardavano. Li osservavano silenziosi e forse un po’ straniti da tutta quella confusione. Allora anche i meschini bipedi umani si sono guardati negli occhi un po straniti e sono scoppiati tutti in una grande risata liberatoria. La giunonica signora con coker diceva che toccava alla ragazza vicino a lei con al seguito un bellissimo pappagallo. La ragazza con il pappagallo diceva che toccava alla ragazzina che era uscita, perché al suo cane scappava e voleva a tutti i costi che il vecchietto passasse per primo e la mamma che urlava di non urlare disse che lei non aveva fretta e che anzi sarebbe andata a comprare un gelato per il suo bambino. In conclusione, allora il veterinario, soddisfatto disse: “Buongiorno. Prego, a chi tocca?”.

Favria,  8.10.2013                   Giorgio Cortese