Res gestae favriesi, da soldato sentinella a Scaraffia

La maggior parte dei cognomi italiani sono di origine germanica, filtrati dal latino. I cognomi di origine tedesca non si diffusero per designare la provenienza geografica del portatore, ma si sono sparsi perché ritenuti più prestigiosi, ed anche perché il patrimonio dei nomi latini, in quel tempo nel medioevo, andava dissipandosi.  Infatti il cognome Scaraffia  se da una prima ipotesi  la sua origine potrebbe derivare dal latino scara, scarire, si vede che poi invece deriva dal longobardo scherl o scherll, con il significato di capo di una schiera di soldati. Infatti l’attuale lemma italiano schiera, passato nella nostra lingua dal  provenzale escarir,  deriva a sua volta dall’antico francese escharir, con il significato di distribuire. Questo lemma trae origine, molto probabilmente dalla radice skar antico tedesco tagliare, nel senso di dividere . Oggi si intende corpo di soldati ordinati sopra una linea. Ma potrebbe derivare sempre dall’antico tedesco Scharmützel, da cui derivano il vocabolo dialettale settentrionale scarà, strillare, o scaràss, strepito, con il significato di sentinella di avvistamento che dava l’allarme. Per finire ripensando ai lemmi che ci hanno lasciato in eredità i Longobardi, ci sono parole in uso quotidiano come balcone, dal longobardo balk,  trave, da cui anche il lemma palco e anche il termine che usiamo molto spesso banca, dal longobardo banka, panca, da cui deriva il termine bancarotta, quando ai banchieri insolventi nel Medioevo, veniva spaccato, nel senso letterale del termine, il banco che avevano nella piazza per fare l’attività di cambia valute od imprestare denaro, come si vede di tracce i Longobardi nel loro breve passaggio in Italia dal 568 al 774 d.C ne hanno lasciate

Favria, 14.10.2013               Giorgio Cortese

 

14 ottobre  1066, la battaglia di a Hastings.

Ut ! Ut ! Ut ! (Out ! Out ! Out! grido di guerra delle truppe di re Aroldo II, e Dex Aie ! Dio ci aiuti, per i normanni nella battaglia di Hastings. Il 14 ottobre 1066 ad Hastings venne combattuta e vita la battaglia che consegnò l’Inghilterra a Guglielmo il Conquistatore,  duca di Normandia, contro il re degli anglosassoni Aroldo II, che trovò la morte sul campo. Questo avvenimento bellico segna l’inizio del potere della dinastia normanna in Inghilterra. Il re d’Inghilterra Aroldo   II, il 25 settembre aveva dovuto affrontare  il 25 settembre, una minaccia che era arrivata dal Nord,  Harlad III Haardraade , Spietato. Gli inglesi ebbero la meglio sui nordici a Stamforbridge, quel giorno, ma la furiosa battaglia costò gravi perdite ad Aroldo, a cui giungeva notizia che il 27 settembre i normanni erano partiti da St. Valery alla volta di Pevensey, dove approdarono solo nove ore dopo aver salpato e dove si fortificarono immediatamente. In soli due giorni i sassoni si erano trovati in mezzo a due invasioni dalle due parti opposte dell'isola a cui potevano opporre un solo e non molto numeroso esercito. infatti le truppe  che in tutta fretta Aroldo era riuscito a mobilitare non arrivarono del tutto riposate allo scontro con i normanni ad Hastings. in quel tempo i sassoni, in Inghilterra, non avevano ancora sviluppato il sistema feudale che era ormai radicato nei normanni, infatti vigeva ancora l'idea del cittadino-guerriero e del concetto germanico di Volk, "popolo.. La struttura dell'esercito inglese era quindi formata da due tronconi: i Fyrd e gli Housecarle. I primi erano la milizia popolare e costituivano la massa delle truppe, venivano reclutati secondo gli hide, misura agraria: un hide sono cinque acri, per ogni cinque hide un uomo, che doveva essere dotato di 4 scellini come paga e viveri per due mesi, oppure solo 20 scellini. Gli Housecarle,  i "capifamiglia, invece, inizialmente formavano le guardie del corpo del re e dei suoi nobili, ma ai tempi di Aroldo erano diventati un piccolo esercito professionale mantenuto a spese dello stato e legato al sovrano da vincoli di lealtà, basati su dei giuramenti personali. La differenza fondamentale tra sassoni e normanni è proprio questa: i nobili, non combattendo, non portarono la cavalleria pesante tra le file dei sassoni, che ci risulta usavano dei cavalli per spostarsi, gli Housecarle soprattutto, ma non per combattere, visto che non appartenevano alla nobiltà e quindi non potevano usufruire dei mezzi adatti ad equipaggiarsi. Nella battaglia di Hasting partecipò Fitzosbern, nobile normanno. Venne ricompensato con il titolo di conte di Hereford ed ebbe l'incarico di spingersi nel Galles, morì combattendo contro Roberto il Frisone. Ritorno un attimo alla figura di Harlald III Haardraade, Spietato, re di Norvegia, figlio del capo norvegese Sigurd Syr e di Aasta, la quale dal suo matrimonio precedente con Harald Grenske aveva avuto Olaf il Santo, re di Norvegia fino al 1030. Dopo la morte di Olaf il Santo, Harlad. passò in Russia, di là a Bisanzio, dove divenne capo della guardia del corpo dell'imperatore, composta di uomini del nord. Prese parte a molte battaglie nel Mediterraneo, fra l'altro in Sicilia. Dopo il 1042 ritornò verso il Nord, dove il figlio di suo fratello, Magnus il Buono, era re di Norvegia e di Danimarca; e con l'aiuto degli Svedesi riuscì a essere riconosciuto correggente, a fianco di Magnus. Dopo la morte di questo lottò, ma senza esito, con Svend Estridson per la corona di Danimarca. In Norvegia invece fu solo re; agì con la massima energia contro l'aristocrazia delle campagne e innalzò l'autorità dei re norvegesi alla più grande potenza. Respinse le pretese dell'arcivescovo Adalberto di Amburgo-Brema di essere riconosciuto capo supremo della ehiesa di Norvegia. Nel 1066 fece una spedizione contro l'Inghilterra per impadronirsi di quel regno ma fu sconfitto presso Stanfordbridge da Aroldo II d'Inghilterra,  ed egli stesso cadde in questa battaglia. L’eventi di Hastings, dove alla fine ha la meglio Guglielmo il Conquistatore sui due precedenti duellanti mi  ricorda una  favola di Esopo intitolata: “Il leone, l'orso e la volpe”. Quella mattina un grande orso bruno, era proprio affamato. Vagava con la lingua di fuori per la foresta in cerca di un po' di cibo quando all'improvviso vide, nascosto tra i cespugli, un bel cesto ricolmo di provviste abbandonato sicuramente da qualche cacciatore. Fuori di sé dalla gioia si tuffò su quell'insperato tesoro culinario ma, proprio nello stesso momento ebbe la medesima idea anche un grosso leone che non mangiava da alcuni giorni. I due si trovarono faccia a faccia e si studiarono con espressione rabbiosa."Questo cesto appartiene a me!", urlò l'orso. "Bugiardo!", ruggì il leone infuriato. In men che non si dica esplose una lotta terribile tra i contendenti i quali si azzuffarono insultandosi senza riserva. Intanto, poco distante, una giovane volpe passeggiava tranquilla per il bosco occupandosi delle proprie faccende. All'improvviso venne attirata da insolite urla e si avvicinò al luogo di provenienza per scoprire di cosa si trattasse. Appena vide i due animali impegnatissimi a lottare come matti ed il cesto di cibo abbandonato vicino a loro, le balenò un'idea. Quatta, quatta si avvicinò al paniere, lo afferrò e fuggi via andando a mangiare in pace in un luogo sicuro. Quando, sia il leone che l'orso, sfiniti per l'estenuante baruffa sostenuta, decisero di spartirsi le provviste dovettero fare i conti con un'amara sorpresa. Il cesto era sparito e al suo posto trovarono unicamente le impronte di una volpe, sicuramente molto furba! La morale è semplice,  tra i due litiganti, il terzo gode. E' quindi inutile, se non controproducente, contendersi violentemente qualcosa se questo porta a far arricchire una terza persona. Ma forse vista l’attuale situazione politico economica, tra i vari litiganti noi pantaloni continuiamo a pagare senza vedere nessun risultato, se non quello di vedere sempre sperperare i nostri soldi.

Favria, 14.10.2013                Giorgio Cortese

 


Purtroppo molte volte l'esperienza è un ombrello disponibile solo quando ha smesso di piovere.

 

Parlare ostrogoto!

Nel linguaggio corrente si dice che una persona parla ostrogoto, quando parla una lingua o un dialetto incomprensibile e di suono sgradevole, o anche parlare in modo sgrammaticato. Per i civili, anche se decadenti, Romani, la lingua, gli usi e i costumi degli Ostrogoti, calati in Italia nel 489 sotto la guida di Teodorico, erano quanto di più rozzo e detestabile avessero mai conosciuto, e il loro nome passò in proverbio con questi connotati spregiativi. Quando nel V secolo cadde l’Impero Romano d’Occidente, tre gruppi germanici si insediarono in Europa: i Goti, Visigoti, Goti nobili,, Ostrogoti, Goti dell’est,  e i Franchi. Al di là della semplice cronaca dei fatti e della distribuzione geografica di questi popoli, è interessante vedere come, nonostante il loro ardore guerriero, le stirpi germaniche non siano riuscite a germanizzare completamente i paesi conquistati ma, al contrario, come addirittura, spesso, si siano inchinati alla romanità. I Goti, ad esempio, pur avendo a disposizione una propria lingua letteraria, grazie all’acuto ingegno di Ulfila che aveva tradotto in visigoto la Bibbia, redassero la “Lex Visigothorum” in latino, riconoscendo la superiorità della tradizione giuridica romana.. Sta di fatto che, pur rimanendo padroni di vaste terre, vennero sempre più assorbiti dai romani e molto relativa è stata la loro influenza sulla lingua italiana. I Longobardi, invece, ottennero un punto in più dei Goti; demograficamente più deboli, ma più fieri e tracotanti, furono favoreggiati dalla precedente guerra greco-gotica che aveva largamente stremato il nostro paese.   E’ certo, dunque che i Longobardi riuscirono, in parte, là dove i Goti fallirono e lo dimostra il fatto che una delle nostre regioni porti il nome di Lombardia. "Italia" è glossato “Longobàrdia” nelle glosse di Reichenau dell’VIII secolo e Carlo Magno nel suo testamento scrive: “Italia quae et Longobardia dicitur”. Da notare l’ironia della storia che ha spostato l’accento sulla “i” ad usanza greca; Lombarda, come Albanìa, Romanìa, Turchìa, Ungherìa, Bulgara, porta accento greco, perché il nome fu molto usato dai nemici dei Longobardi, i Bizantini di Ravenna, mentre il territorio greco di Ravenna fu, ed è ancora, detto con l’accento latino Romània, oggi Romagna, cioè territorio dei Romani d’Oriente, ovvero i Bizantini.Il regno longobardo cadde per mano dei Franchi nel 774. In gran numero sono anche le parole franche nella lingua italiana ma, poiché i Franchi erano bilingui e ampiamente romanizzati, è difficile verificare se una parola franca in italiano derivi dal franco o dal francese. Allo steso modo è arduo tenere distinti i tre strati di elementi germanici in Italia. I longobardi ci hanno lasciato nell’attuale italiano il lemma, “zolla”, mentre la forma più antica “tolla”, conservata in Corsica, è gota il lemma “tetta”, longobardo “zaffo” e gotico “tappo” e così “arraffare, strofinare, zazzera, zuppa,” sono longobardi e “arrappare, stropicciare, tattera, suppa”, sono gotici. E sono quasi tutte di derivazione longobarda le parole italiane con “z” o “zz”, sempre sorda come: chiazzare, gruzzolo, inzaccherare, aizzare, milza, rintuzzare, scherzare, sferzare, stronzo, stuzzicare, zecca, zeppo, zinna e quelle con “cc”, che sostituì l’affricata longobarda “kx”, impronunciabile per gli italiani, come: biacca, bracco, briccone, cilecca, pacca, ricco, smacco, spaccare, stracco, struccare, stucco. In termini numerici, poche e di scarsa importanza sono le parole gotiche conservate in italiano, mentre ben diversa è la situazione per le parole longobarde. Ma quali parole abbiamo mutuato dai Germani? Per quale motivo? Che differenza di cultura o di barbarie troviamo tra i tre popoli germanici? Quali erano i rapporti tra i Latini e i Germani?Le parole ostrogotiche pervenute nella lingua letteraria italiana sono davvero un numero esiguo e quasi tutte di carattere modesto e familiare e molte sono scomparse dalla nostra lingua odierna. Forse è più interessante vedere le parole che non ci sono: mancano quelle di carattere giuridico e amministrativo poiché i Goti furono ben presto assimilati dai vincitori Longobardi. Saltano all’occhio alcune parole molto significative circa al carattere di questi invasori, tutte riferite alle passioni: passioni violente. Abbiamo così ereditato parole come bramare, che denota violenza bestiale, astio, grinta, bega e guercio, tutte nel loro senso peggiorativo. Molto più significativa è la portata delle parole longobarde. Sono scomparse tutte quelle relative al diritto longobardo:guidrigildo, guiffa, guizza, lonigildo, mefio, morghendabio, ma paghiamo ancora il “fio” e parliamo di “faide”, sappiamo chi è il manigoldo, l’antico boia e lo “sguattero”,guardiano dall’antico tedesco wacth, wacther, ma sono usciti dalla sfera giuridica ed hanno assunto un forte senso espressivo e peggiorativo, segno delle aspre relazioni tra Latini e Germani per via del carattere più violento e passionale di questi ultimi. Sicuramente, una volta in Italia, i Longobardi dovettero mantenere le loro abitudini e i loro antichi costumi e ai Latini, probabilmente, apparvero rozzi e ripugnanti. Non mancarono certo di scandalizzarsi nel vedere gli edifici germani in pietra, poveri e grossolani a confronto con i grandi palazzi romani E così la   casa diventò “stamberga” e le sedie “scranne, le porte si chiudevano con le “spranghe” e le donne i “fazzoletti” li lavavano con il “ranno”. Parole che ben evidenziano il cattivo gusto e la grossolanità germanica. Sorprendente è la frequenza delle parole relative alle parti del corpo a significare una intima convivenza, almeno nell’ultimo periodo di invasione. Troviamo: anca, fianco, groppa, guancia, nappa, nocca, zinna, schiena, zanna, stinco e anche sberleffo, cioè il labbro inferiore pendulo di certi animali. In certi casi si può anche pensare a una carenza o a una incertezza del lessico latino per cui si ricorse, quasi per disperazione, a quello longobardo. I barbari “trincavano, rissavano, urlavano”, scompostamente; sotto l’effetto di una “sbronza”, sicuramente, avranno spaccato qualche “scranna” e “scaracchiato” per terra e poi saranno caduti con un “tonfo”, sotto l’occhio inorridito dei romani, ma sicuramente incuriosito! Rimanevano in ogni caso dei nemici.. I Latini ridotti a “servi” soffrivano la tracotanza dei Germani e, mentre il “dives” latino diventava un “ricco” germanico, il “pauper”, povero era e povero rimaneva. E così ”l’umiltà” romana si oppose al germanico “orgoglio”!Uno scrittore della bassa latinità chiamò i Germani” latrones, praedones, barbari, turba latrocinatium “. Ai Latini depauperati delle loro terre, restò il lavoro, nel senso di fatica il francese travail da cui travaglio, di sofferenza, laboro stomacho. Anche il mondo linguistico dei colori fu modificato (nero e bianco) e quello della cucina e dell’abbigliamento. Nero e verde restano “colori latini” di cui non è chiara la motivazione. Che siano legati ad un pessimismo crescente, nero, e ad una speranza impellente, verde. Probabilmente queste mutazioni non furono del tutto indispensabili, ma sicuramente furono adottati i nuovi termini per arricchire la lingua di parole talvolta drammatiche, passionali, violente, orrende, ma anche dalle delicate sfumature come garbo, garbo, lesto, rigoglio, senno, schietto. Per concludere, si può dire che per quanto oppressive e distruttive, le dominazioni barbariche contribuirono alla formazione di una nuova Italia. Con la morte di Roma nacquero i germi delle odierne lingue nazionali dell’Europa  occidentale.

Favria, 15.10.2013           Giorgio Cortese

 

Il pensiero della morte molte volte mi fa mi fa rinunciare a quello che la vita non ci avrebbe mai dato.