La vita non è vivere, ma vivere in buona salute.

I pensionati qui convenuti, che questa sera degusteranno le squisite vivande sono loro stessi “diversamente giovani” la  miglior spremuta della vita per le future generazioni.  Gli iscritti del Centro Incontro Pensionati con  poche parole, ma chiare rendono forte e sicuro il mio quotidiano passo.  Voi “diversamente giovani” siete il comune passato, le radici da cui attingere per il futuro perché senza di Voi, senza passato, le nuove generazioni non possono mai costruire un buon futuro. Nei Vostri  visi che hanno visto tantissime stagioni  risplende il  sole che brilla, con pochi raggi di luce  che mi trasmettono calore e felicità.

Favria, 12.10.2013             Giorgio Cortese

 

È difficile nella vita volare come delle aquile quando ti confronti ogni giorno con dei tacchini!.

 

Aggiornamento di una piccola goccia di sangue

Donazione di sangue e pensioni: approvato l'emendamento.

È stato approvato ieri pomeriggio dal Senato l'emendamento con cui la definizione di "prestazione effettiva di lavoro" viene estesa anche alle astensioni per la donazione. Tali permessi, infatti, con la riforma Fornero del 2011 erano stati esclusi dal computo complessivo delle giornate lavorative dei dipendenti intenzionati a usufruire della pensione anticipata. “Siamo soddisfatti per questo importante obiettivo conseguito e siamo fiduciosi che anche la Camera dei Deputati saprà esprimersi in modo analogo” commentano i Presidenti Nazionali di AVIS, Vincenzo Saturni, FIDAS, Aldo Ozino Caligaris, FRATRES, Luigi Cardini e il Delegato Sangue della Croce Rossa Italiana, Maria Teresa Letta. Questo risultato è il frutto delle costanti e ormai consolidate relazioni con le Istituzioni nazionali e giunge al termine di un'attenta e scrupolosa opera di vigilanza sul dibattito politico e sul percorso parlamentare che si sono sviluppati nelle ultime settimane su tale argomento. Dopo l’approvazione alla Camera, l’emendamento ristabilirà quanto già indicato dalla legge n. 219/05, che all'articolo 8 comma 1 prevede il riconoscimento della retribuzione e dei contributi per la giornata in cui si effettua la donazione. La stessa legge individua i Donatori di sangue come operatori sanitari che concorrono al raggiungimento di un obiettivo fondamentale per il nostro Paese: l'autosufficienza di sangue, emocomponenti e medicinali plasmaderivati. “Siamo quindi felici che lo Stato italiano abbia voluto ribadire, attraverso la votazione di ieri, il grande ruolo di tutti quei Donatori che, in modo gratuito, continuo, periodico, volontario e anonimo, compiono un gesto di grande valore civico, etico e morale”.

Lo Staff Fidas ADSP

 

16 ottobre San Gallo abate. S’a fa bel a Dan Gal a riva fina a Natal. S’a pieuv per San Gal sent dì, sessa fall

 

Il potere del fare…..niente

Si sente spesso in questi ultimi tempi lo slogan del “Governo del fare”, ma poi a bocce ferme non si vede fatto niente. E pensare che di cose concrete nel “Bel Paese” di cose da fare c’è ne sarebbero moltissime. In Italia  secondo un indagine effettuata a livello nazionale i terremoti dal 21 giugno al 4 settembre sono raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2012. Nel 2013 abbiamo avuto 7116 scosse, circa cento al giorno, insomma in Italia non trema solo il Governo e l’economia ma anche il patrio suolo che calpestiamo ogni giorno. Questo mi fa pensare che siamo sempre in ritardo, se penso che in altre zone del Pianeta dove a causa di fenomeni naturali, intere regioni rischiano di essere sommerse dalla acque dei mari, si costruiscono dighe e altre opere idrauliche. Se il fenomeno esiste è giusto prevenire in quanto non abbiamo la sfera di cristallo per prevedere quando avverranno i fenomenici maturali. Eppure qui nel Bel Paese continuiamo a dormire e ci disinteressiamo dei gravi problemi ambientali fino alla prossima inondazione, terremoto o a qualche altro disastro. Certo per la messa in sicurezza del Paese servono tantissimi soldi, soldi pubblici, i nostri soldi, ma sarebbero soldi ben spesi perché daremmo finalmente del lavoro, ma forse la soluzione è troppo semplice  come abrogare almeno l’attuale legge elettorale. E allora che cosa si fa per fare ripartire l’economia, si cementifica sempre di più il territorio, inasprendo i problemi dello stesso di fronte agli eventi   meteo-climatici, si condonano gli evasori del  gioco d’azzardo e si vende pezzi del demanio pubblico. Pensare che attuando un serio piano di intervenendo in tutto il territorio si risolverebbero molti problemi delle Comunità e  noi cittadini vivremmo con una maggiore sicurezza. Ma certo è più semplice ed ottuso bloccare con un “patto di stabilità” la capacità di un Comune di poter fare degli investimenti, impedirgli di usare i propri soldi, più che patto di stabilità lo chiamerei  “pinza di stabilità”. Se il  Governo dovesse intervenire con una politica di messa in sicurezza del territorio, un nostrano “New Deal”, un nuovo corso , come quello promosso dal presidente americano Franklin Delano Roosvelt fra il 1933-1937 per  risollevare il nostro paese, in una realtà come quella che vivo si dovrebbe rifare, ad esempio, l’intera rete della roggia che passa nel centro abitato, ormai vetusta e che ritengo in certi punti troppo  piena di rena e di   rifiuti  trasportati  dall’acqua e sedimentatesi. Una roggia di difficile manutenzione in alcuni punti del centro abitato e che con un suo rifacimento completo nel centro abitato. metterebbe in sicurezza anche tutti i concittadini da eventuali esondazioni, magari con una canale scolmatore all’ingresso della roggia in Favria e un rinforzamento delle sponde vicino al sedime stradale in tutto il territorio agricolo. . Le mie sono solo delle supposizioni da profano, ma ritengo che ogni Comunità ha i suoi punti deboli, con movimenti franosi o zone che rischiano esondazioni delle acque in caso di forti pioggi ed un intervento su tutto il territorio con un'unica cabina di regia darebbe come conseguenza una ripresa effettiva del lavoro e la  messa in sicurezza di chi abita in quelle zone. Essendo un inguaribile ottimista nutro la speranza che tra gli eletti al Governo del paese ci siano ancora delle persone dotate di buon senso e non degli squallidi  parolai che scaldano i banchi delle due camere senza concludere nulla ma solo vendendo dell’inutile fumo, ma questo non è forse proibito?

Favria, 16.10.2013                       Giorgio Cortese

 

I fotografi usano la macchina fotografica come strumento per esplorare, per rivelare realtà  inaccessibili allo sguardo quotidiano distratto. Il fotografo prova con la sua arte a cambiare il mondo e le loro immagini mi dimostrano ogni giorno quanto la fotografia oggia sia importante, oggi più che mai

 

Res gestae favriesi,  dal rame a Cipriano

Cipriano o la sua variante meno diffusa  Cipriani   deriva dal  cognomen romano Cyprianus, che significa "proveniente da Cipro. Questo cognome è diffuso nel centro-nord Italia, in particolare in Toscana e Lazio con piccoli ceppi nelle altre regioni. Cipriano è anche un nome proprio, esiste un San Cipriano  vescovo di Cartagine e padre della Chiesa ,  Cartagine 205 circa - ivi 258. Il lemma Cipro deriva dal  greco "Kypros" cioè abitante, oriundo dell'isola di Cipro. L’etimologia della parola greca Kypros è sconosciuta. Le ipotesi più probabili sono il  nome greco del cipresso, Cupressus semprevirens, in greco kypárissos. Oppure il  nome greco della pianta dell’hennè, Lawsonia alba, in greco kýpros. Oppure deriva da un’antica parola sumera che significa rame, zubar, o il  bronzo,  kubar, con riferimento agli abbondanti giacimenti di rame che esistevano sull’isola. Tramite il commercio marittimo, l’isola ha dato il suo nome al termine latino che indicava il rame, dall’espressione aes Cyprium, "metallo di Cipro", in seguito abbreviata in Cuprum.. A  Cipro, in particolare la costa di  Pafo, fu secondo la mitologia greca uno dei luoghi di nascita di Afrodite, Venere, che era quindi conosciuta anche come Cipria. Infatti  il termine “cipria” deriva sempre da Cipro, la cipria dà alla pelle il colore del rame in latino cuprum con cui i Romani chiamarono Cipro(l'isola del rame),ove si estraeva il rame.

Favria, 17.10.2013     Giorgio Cortese

 

La fotografia è un’arma contro ciò che non funziona perché documenta sempre  la verità!

 

Un mare d’inchiostro per leggere e riflettere

In questi giorni un mio amico, incontrato davanti all’edicola, commentava, quanto aveva sentito per radio prima di arrivareall’edicola,  il motivo del commento era che da un indagine fatta le nuove generazioni leggono poco e sono molto ignoranti sugli autori dei libri. Il mio pensiero va a questa massima. “Se il mare fosse inchiostro per scrivere le parole del Signore, si esaurirebbe il mare prima che si esauriscano le parole del Signore, se anche portassimo un mare nuovo ancora in aiuto”. Questo passo del Corano che con molta enfasi dai colori accesi e molto emotivo. Così accade anche a questo passo del Corano (XVIII, 109), destinato a celebrare l’infinita grandezza del Signore. Certo è che le parole divine, proprio perché scaturiscono da una sapienza perfetta e piena, hanno illimitate sfumature e iridescenze, richiedono continuo scavo e approfondimento. Ma vorrei riprendere solo la metafora del "mare di inchiostro" per riesumare un atteggiamento verso la lettura esulle grandi capacità del nostro cervello, così complesso in cui un centinaio di miliardi di neuroni sono collegati tra loro da un milione di miliardi di connessioni,  le "sinapsi", capaci di 100300 combinazioni interattive! Il filosofo Thomas Hobbes (1588-1679) lesse molto, vista la lunghezza della sua vita, però la sua riflessione era molto maggiore delle sue letture. Soleva dire che se avesse letto tanto quanto gli altri uomini, non avrebbe saputo niente più di loro. M'imbatto in questa curiosa notizia offerta da una delle Vite brevi di John Aubrey: protagonista in questo caso è il filosofo inglese Hobbes, che morì ultranovantenne in un tempo in cui la vita media era attorno ai 50 anni. Essendo un pensatore, si dedicò ovviamente alla riflessione, ma la sua battuta sulla lettura è decisamente gustosa. Non bisogna dirlo troppo forte qui in Italia, paese di non lettori, al punto tale che già Leopardi segnalava nel suo Zibaldone che da noi meno si legge di quanto si scriva, anche perché gli stessi scrittori non leggono i libri altrui. Tuttavia è indubbio che, da un lato, come già affermava il Qohelet biblico, «i libri si moltiplicano senza fine», e d'altro lato, si può effettivamente perdere tempo leggendo tanti cascami letterari, filosofici, storici e - perché no? - religiosi. A me è sempre piaciuto il detto di un altro filosofo inglese, Francesco Bacone, contemporaneo di Hobbes, che nei suoi Saggi ammoniva: «Alcuni libri vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti». Sì, perché un conto è l'erudizione, che tra l'altro può sempre esser battuta da un computer, e ben diversa è la sapienza che nasce appunto da assimilazione, elaborazione e riflessione. E allora: dedichiamoci alla lettura dei libri e non solo dei giornali, ma riserviamo anche spazio alla meditazione personale, alla creatività, alla ponderazione, al raccoglimento, al giudizio. “Scienza senza coscienza, scriveva Rabelais nel suo Gargantua e Pantagruel, è la rovina dell'anima”.

Favria, 18.10.2013             Giorgio Cortese

 

Per arrivare all'alba, non c'è altra via che attraversare la buia notte, prima o poi finirà

 

La voce nel vento

Ho trovato in un libro che ho letto in questi giorni questa bella testimonianza degli Indiani Dakota, chiamati dai loro nemici Sioux che hanno popolato, con immagini spesso falsate, i film dell’adolescenza e non solo la mia: “Grande Spirito la cui voce ascolto nel vento e il cui respiro fa vivere il mondo, ascoltami. Sono uno dei tuoi tanti figli e vengo a te. Sono piccolo e debole, ho bisogno della tua forza e della tua sapienza. Lasciami camminare tra le cose belle e fa che i miei occhi possano ammirare il tramonto rosso e d’oro. Fa che le mie mani possano rispettare ciò che hai creato e le mie orecchie sentire chiaramente il suono della tua voce…” Ora essi sopravvivono nelle riserve americane del Dakota, del Montana e del Nebraska, ma la loro cultura è stata valorizzata, proprio attraverso la loro attenzione verso la  la "natura". Ecco è di pomeriggio che scrivo queste righe e contemplo il tramonto e mi viene in mente quello che dice più avanti il canto Indiano: “Ciò che di segreto hai posto in ogni foglia e in ogni roccia” Ma ci sono altri due motivi di riflessione che mi fanno riflettere nel prosieguo di quell’inno. Non è necessario spiegarne i contenuti, basta solo ascoltarne la voce: “Ti chiedo la forza non per primeggiare sugli altri ma per combattere il mio più grande nemico: me stesso. Fa’ che io sia sempre pronto a raggiungerti con mani pulite e occhi acuti, così che quando la vita se ne andrà come la luce al tramonto, il mio spirito possa senza vergogna venire a te”

Favria, 19.10.2013         Giorgio Cortese

 

Il fotografo apre gli occhi della gente su tutte le cose straordinarie che non ne conoscono l’esistenza.

 

Apprezzo

Apprezzo quelle persone che non si perdono d'animo, quelle che nonostante la vita gli renda le cose difficile non perdono la forza e il coraggio per andare avanti. Apprezzo chi giorno dopo giorno, da tutto anche per nulla. Apprezzo chi affronta la vita anche da realtà difficili, dure, angoscianti. Apprezzo, chi combatte e riesce a guardare avanti anche se oggi il suo presente è buio... chi riesce a camminare lungo il suo sentiero anche scalzo, sanguinante anche senza avere visuale, anche senza avere "mezzi di trasporto" a disposizione, affronta, combatte e senza giudicare ma giudicati guardano al domani con la semplicità di chi c'è la farà!

Favria, 20.10.2013        Giorgio Cortese

 

Stare in politica è come fare l'allenatore di calcio. Devi essere tanto furbo da capire il gioco e tanto fesso da pensare che sia importante

 

Res gestae favriesi,  dalla Catalogna  al Canavese, Mollo

Mollo, cognome pare che sia origine spagnola catalana; in origine era Mochi, deriva dal lemma latino mola, grosa pietra che con l’utilizzo della forza dell’acqua trita e riduce in polvere il frumento. questo lemma deriva dalla radice della parola indueuropea “mol” con il significato di separare, in provenzale monre. Ma molto probabilmente dalla Catalogna il lemma attraverso la Provenza, significativo al riguardo è il paese in Francia Prats-de-Mollo-la-Preste, situato nei Pirenei Orientali, nella regione della Linguadoca-Rossiglione, regione ricca di acque termali, e giunse nel medioevo nella penisola italiana.  Nella pensisola italiana nel   XIVI  indicava  agricoltori di  terreni ricchi di  acque risorgive, infatti in dialetto un terreno ricco d’acqua viene chiamato moja, a mollo. In  dialetto  calabrese mollu, significa molle. Molto raro il cognome Molo. Dalla stessa radice si sarebbe anche sviluppato il cognome Molari e Molara

Favria, 21.10.2013    Giorgio Cortese

 

“Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa 'brutta'! No. L'impegno politico è un impegno di umanità e di santità: è un impegno che deve potere convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità” Giorgio La Pira


La pittura come poesia della memoria.

Sono stato a trovare i bravissimi amici Pasquale e Pansy e sono rimasto colpito nel vedere due dipinti, fatti con arte impareggiabile da Pansy. Le due tele, raffigurano due edifici storici per noi favriesi. Nel primo la vecchia casa di riposo Domenico Nizzia, edificio settecentesco, prima del suo trasferimento in una nuova sede e lo spostamento in quell’edificio, dopo un robusto restauro conservativo della biblioteca comunale Pistonatto. Nel secondo la Chiesa del Cimitero ora dedicata a San Grato, ma nel medioevo chiesa parrocchiale di S.Pietro, da qui il modo di dire favriese di quando si va a visitare il cimitero, vado a San Pietro Vecchio! Questa chiesa è stata fino al 1.600 sotto la diocesi di Ivrea, ed è un edificio risalente a poco dopo l’anno mille. Una peculiarità di Favria è che fino al 1814 c’erano due parrocchie una di San Michele, vicino al Castello, sotto la diocesi di Torino e l’altra di San Pietro e Paolo sotto la diocesi di Ivrea. Tornando ai due dipinti  ho pensato, nel mio animo, a che cosa succede nella mia mente, nel mio limitato cervello quando guardo questi  dipinti o ascolto una poesia di Pasquale della sua natia Oglianico. I due quadri hanno nutrito i miei occhi dei ricordi, di come erano questi edifici 23 anni fa, visto con gli occhi attenti di Pansy! Molte volte l'abitudine ed il luogo comune annichiliscono lo spirito critico, ma l’arte lo rinnova continuamente. I due quadri di Pansy sono la ricerca dei luoghi della memoria usando l'arte in un esercizio che pone costantemente il problema di immergersi in un percorso mentale di rimandi. Molte volte per conoscere la propria Comunità la cosa più semplice è percorrerla a piedi o in bicicletta e in questo modo investo oltre ai sensi anche il cervello. Penso a queste giornate estive, camminando per Favria o passeggiando in bicicletta, la felicità dell’animo nel sentire voci e profumi,  provare la gradevole percezione sulla pelle del fresco, del caldo o del leggero refolo di vento che accarezza il viso. E poi gli occhi che tutto scrutano e che   ricevono nuovi impulsi, scoprono ogni volta scorci mai esplorati, particolari ignorati, che abbinano architetture, luce e cielo. Certo sarebbe bello vedere la mia Comunità dall’alto e poi passare al gioco della memoria nell’individuare e capire  dove si trova una casa o un edificio importante. Tutti questi modi di percezione rimandano in ogni caso messaggi al cervello ed allo spirito che diventa la mia memoria. Ma osservare quei dipinti di edifici dopo più di venti anni., mi viene da pensare se i luoghi della mia memoria hanno una collocazione precisa?  Trovano più spazio nel mio animo o nella mia mente, o in tutti e due i posti? Ritengo che la memoria viene aiutata dalle arti visive che rinfocolano la memoria di ricordi su particolari che forse avevo messo da parte nel baule delle sensazioni smarrite del mio animo.Ed allora il percorso per passare dal concetto di memoria al concetto di storia diventa un tragitto breve, semplice ed intuitivo. La memoria è il luogo dove si assommano, si stratificano e si organizzano i segni e le testimonianze di epoche diverse, la lettura di tracce più o meno tangibili del passato di una Comunità. Ma devo essere sempre vigile bisogna ed attento  perché, come scriveva Cesare Pavese:”Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato, si spegne”. Prosegue Pavese: “Si diventa creatori anche noi quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia.” Personalmente aggiungerei,  chi non ricorda, non vive. La memoria è una  forza vitale e creatrice e il paradosso del nostro tempo, che il nostro futuro non è solo una massa  di giovani giustamente  frementi ma scarsamente dotati di valori, di conoscenza e di eredità culturale, bensì in una vecchiaia ricca di quel mirabile patrimonio che essi e i loro padri e antenati hanno prodotto e custodito per tramandarlo a loro, ed i quadri di Pansy ne fanno parte a pieno titolo. Ma ecco l’aiuto che danno questi due dipinti alla memoria, perché la reminiscenza, naturalmente, per esistere deve avere la concretezza della materialità. Ed ecco allora che si concretizza il peso impercettibile della pittura, e su quelle tele si materializzino, per chi li osserva dei ricordi, certo alcuni sono pesi inutili, zavorra; ma altri sono invece le indispensabili radici, gli appigli che danno la forza per ripartire verso nuovi percorsi. Perché il passato, se ben conservato e protetto è come una sorgente che alimenta il fiume del presente e mi spinge verso il futuro

Favria,  22.10.2013  Giorgio Cortese