Cavolo!
Conosciuto fin dall'antichità, il cavolo, brassica oleracea, era
considerato sacro dai Greci; i Romani lo utilizzavano per curare le più svariate malattie
e lo mangiavano crudo, prima dei banchetti, per aiutare l'organismo ad assorbire meglio
l'alcool. Nel 1500 veniva usato come lassativo, mentre nel 1600 il brodo di cavolo era
invece raccomandato in tutte le affezione polmonari. Tuttavia la letteratura medica del
secolo scorso testimonia che il cavolo veniva utilizzato per guarire raffreddori, catarri,
laringiti, ma anche per curare la pleurite ed i reumatismi. Presso le popolazioni
marinare, il cavolo, assieme alla cipolla, era l'alimento tipico degli equipaggi
delle navi, utilizzato per compensare le diete necessariamente povere durante i viaggi per
mare. la parola cavolo deriva dal tardo latino caulus, che deriva da una parola greca con
il significato di fusto o stelo. Nel linguaggio dei modi o di dire il cavolo viene
utilizzato per due ragioni, la prima è data dal suo scarso valore
commerciale, la seconda da una vaga assonanza eufemistica con il termine popolare usato
per l'organo genitale maschile. Per entrambi questi motivi il cavolo è divenuto simbolo
di cosa spregevole oppure di scarso valore. infatti si dice: andare a ingrassare i
cavoli in senso spregiativo del decesso di una persona che dopo la morte diventa
simile al concime dei prodotti dell'orto. quanto un personaggio politico si ritira
dalla vita pubblica, evento rarissimo si usava dire una volta: andare a piantar
cavoli, il ritirarsi a vita privata; abbandonando la vita pubblica per trovare
soddisfazione in un'esistenza più semplice. Pensate che nellanno 305 d.C., il
sessantaduenne imperatore romano Diocleziano abbandonò Roma e il potere per ritirarsi
nella cittadina dalmata di Salona, l'attuale Spalato, dove si fece costruire un imponente
palazzo ma trascorse i suoi giorni curandosi dei lavori della campagna. Sollecitato a
tornare a Roma e alla vita politica, rifiutò, affermando che i suoi cavoli lo rendevano
più felice di qualsiasi impero. Ma quando una persona si occupa dei fatti propri si dice:
farsi i cavoli propri . Si riferisce quando una persona non intromettersi
nelle cose altrui, e anche, se si disinteressa della vita sociale. Molte volte è
usato inoltre come invito a non mostrarsi troppo curioso della vita privata di qualcuno.
Purtroppo ogni giorno ci imbattiamo con persone che non non capiscono niente e si
dice che: non capire un cavolo. Ma poi questi personaggi, pur avendo la
possibilità di agire per il bene dei cittadini : non fanno un cavolo
Insomma sono perone che non valgono niente, non valgono un cavolo,
prodotto considerato tradizionalmente un alimento poco pregiato. E poi pretendono di
portare il cavolo in mano e il cappone sotto di volere apparire diversi da
quello che sono. I loro interventi sono simili al modo di dire starci
come i cavoli a merenda agiscono con azioni fuori luogo e stonate e non hanno
nessuna attinenza con largomento trattato
Favria,
Giorgio
Cortese
Il vero povero è colui che non sa donare!
Lambizione è ambizione
Scrivo dellaggettivo sopra indicato, perché in una recente
riunione di volontariato un amico che mi legge, alla fine della riunione in maniera
benevola mi ha dato dellambizioso. Per rimanere nel tema dellassociazione, era
una riunione di donatori di sangue, ritengo che lambizione è simile al colesterolo,
anche qui ce ne sono di due tipi, la buona e la cattiva. La prima è indispensabile per
farti star bene. Laltra rovina lesistenza agli altri. Entrambe ci scorrono nel
sangue. Quindi hanno ragione gli scienziati, ambiziosi si nasce. La voglia di emergere o
ce lhai o non te la puoi dare. Se hai il gene dellambizione può essere una
fortuna o un cruccio. Gli ambiziosi del secondo tipo, quello cattivo, godono di pessima
reputazione. Odiati dai colleghi, sopportati dal coniuge, in perenne attrito con i figli.
Neanche il raggiungimento di un obiettivo li placa, vogliono sempre di più, pretendono il
plauso e il sostegno di chi li circonda. Sono davvero insopportabili, sono convinti che
senza di loro il mondo girerebbe al rallentatore, sarebbe lento e non rock per usare un
aggettivo in voga di questi tempi. Cè poi lambizione buona, anche questa dà
una spinta alla vita di tutti i giorni, è discreta, non pretende premi e onori, la
medaglia viene messa al collo dalla propria coscienza, un giudice al quale non si può
mentire, non fa sconti di pena e non sbaglia mai sentenza. Lambizione buona è
invisibile agli altri, si manifesta solo quando cè il risultato: di solito
positivo. Poi ritorna nellombra pronta a ripartire per una nuova impresa. Esistono
infine delle persone che non hanno nessuna ambizione. Anche loro nascono così, ed in
fondo non hanno colpe. Forse dovrebbero prendersela con i genitori che non gli hanno
trasmesso questo gene. Ma per farlo ci vorrebbe un briciolo di amor proprio, di ambizione
appunto. E siamo al punto di prima. La mancanza di ambiziosa non è né buona, né
cattiva: non è e basta. Per questo è persino peggio, il non
ambizioso, in teoria, dovrebbe vivere più sereno degli altri. Nessun obiettivo da
raggiungere, nessun sogno. Così non corre il rischio di coltivare illusione, di costruire
castelli in aria e trovarsi con i piedi per terra. Praticamente uno zombie. Che si
trascina giorno per giorno senza slanci. Incapace di notare e di farsi notare. Un
disperato. A dire il vero cè una categoria più infima del non
ambizioso: è quello invidioso del successo altrui. Non accetta lidea che qualcuno
possa avere le energie per inseguire unidea. E fa di tutto per mettergli il bastone
tra le ruote. Di solito a parole. Sconnesse. Di più non sa fare. Si autocompiace che un
progetto finisca male. Anche se è lui stesso a subirne le conseguenze. Un professionista
del masochismo. Lavorare con lui è pericolosissimo. È un killer dellentusiasmo
altrui. Una viscida vipera che ti può avvelenare quando meno te lo aspetti. Difatti come
un piccolo serpente striscia silenzioso. Si annida nei corridoi dove circolano le voci
cattive. Lo trovi negli angoli più nascosti e ti colpisce alle spalle peggio dello
spiraglio di una finestra lasciata aperta dinverno. Molte volte è pure letale con
chi è nato con lambizione buona, che circola nel suo sangue. Lunico che lo
può sconfiggere è lambizioso cattivo. Ma quando succede non so proprio per chi
tifare! Per quanto mi riguarda per evitare di avere in circolo sanguigno dellambizione
cattiva, cerco di assumere le quotidianamente le quasi scomparse pillole di modestia e di
semplicità come antidoto a certi bocconi amari che lambizioso cattivo
cerca di farmi ingoiare ogni giorno.
Favria, 12.11.2013
Giorgio
Cortese
Sembra a prima vista che la fortuna dia troppo a molti, ma poi se
si ragiona con calma non da mai abbastanza a nessuno.
Quando si animalizza l'avversario
Animalizzare l'avversario che sia politico o non, dandogli del
pidocchio, della pitonessa, della iena, del parassita o del topo, è un classico del
degrado culturale che abbiamo nel Patrio stivale. Ma già nellantichità non
scherzavano, Agamennone nellIliade dopo che ha perso la schiava Criseide si prende
la schiava di Achille, Briseide guancia graziosa. La reazione di Achille è
tremenda lo chiama di fronte ai capi achei: Ubriacone, occhi di cane, cuore di
cervo. Oggigiorno il vino lo devono in molti, ma berne troppo è il peggio che
si possa fare allora come adesso, per avere la mente libera e adatta al comando. Linsulto
prosegue con lepiteto relativo al cane che a differenza di oggi, dove è
generalmente è considerato un animale dotato di caratteristiche positive, prime fra tutte
la sua fedeltà, nell'antichità greca e romana quest'animale godeva di una pessima fama.
Secondo Giovanni Crisostomo il cane è l'animale più vile, Virgilio definisce
le cagne oscene, Orazio lo considera un animale immondo, e
S.Agostino, disprezzabile e ignobile. ed infine arriviamo al cervo simbolo per
gli antichi greci di vigliaccheria e codardia. per rnervI conto di quanto allora il cane
veniva considerato esisteva nellantica Roma, la poena cullei, dal latino
la pena del sacco, nel diritto romano al criminale era la pena inflitta al soggetto che si
era reso responsabile di parricidio, immediatamente dopo la condanna, il reo veniva
tradotto in carcere con soleae ligneae , zoccoli di legno, ai piedi e un cappuccio
di pelle di lupo in testa. Il parricida veniva poi frustato con virgae sanguineae, verghe
colore del sangue e quindi veniva cucito in un cullens, sacco di cuoio impermeabile
insieme ad un cane, un gallo o una vipera ed una scimmia, e, dopo essere stato trasportato
attraverso la città su di un carro trainato da un bue nero, veniva gettato nel
Tevere o in mare. Tornando allanimalizzazione dellavversario, oggi
fa riflettere il razzismo che si cela nellinsulto di un personaggio
politico contro Roma con lo slogan: Sono porci questi romani, oppure negli
slogan del Canton Ticino contro i frontalieri italiani e gli immigrati rumeni Sono
topi. E poi gli insulti di tutte le guerre: Giapponesi musi gialli,
Vietcong scimmie, e in tutti i discorsi razzisti, da Hitler: Gli ebrei
proliferano come una razza di vermi, ad Ahmadinejad, da sempre per distruggere il
nemico si usa prima una tattica lo si animalizza. In modo che tu non distruggi un uomo,
tuo simile, ma un animale, inferiore a te fin dalla creazione, con questa distruzione,
eserciti un diritto naturale. Perchè a caccia del nemico è come andare a caccia di
animali. Nellinsulto iniziale contro Roma, i romani sono equiparati a porci, e si sa
che il porco, purtroppo contro la sua natura, viene tenuto in ambienti sudici
e per alcune religioni è immondo e non si può mangiare la carne. Gli immigrati
topi sono un insulto estremo, perché il topo è un animale che fa strillare di
ribrezzo, e le zone infestate di topi sono degradate, malsane, covi di malattie, focolai
di peste. I topi portano la peste nel romanzo 'La peste' di Camus e nel film 'Nosferatu'
di Herzog. Il film di Herzog è un remake dellomonimo film di Murnau, che Herzog
considerava il più importante prodotto in Germania, e lui voleva affermare un
collegamento tra la Germania di prima e quella del suo tempo. Il collegamento sta nellidea
della fonte di epidemia, che scoppia in silenzio e diventa inarrestabile. Nel nazismo, lebreo
non è persona ma topo, infatti in nel film Schinders List', il capo-lager Amon
Goetz sinnamora di una prigioniera ebrea, labbraccia perfino, ma guardandola
si pone il dubbio: Sei tu un ratto? Sono questi gli occhi di un ratto? e
risponde: Non sei una persona, nel senso pieno della parola. Lui è persona, e
se lei lha fatto innamorare lei è colpevole e la picchia. Camus è ancora più
esplicito. Scrive il libro nel 1947, appena finita la guerra, e il libro è una potente
metafora del razzismo e del nazismo. In Camus la malattia portata dai topi non ha mai
completa guarigione: il pericolo di contagio resta per i tempi a venire. Questo vale
adesso, nel senso che i topi possono sempre saltar fuori. Ed eccoli, riappaiono oggi. Per
gli autori della campagna ticinese contro i lavoratori stranieri, noi italiani non siamo,
con i rumeni, portatori di un male, ma siamo il male, lo
incarniamo. Siamo ratti. Il rimedio è la derattizzazione, cioè la nostra eliminazione.
Camus diceva che di fronte alla diffusione del nazismo lindifferenza dellEuropa
era un errore, perché quella malattia aveva un solo rimedio: la prevenzione. Di fronte
alla campagna di derattizazione che i media periodicamente ci propinano lindifferenza
di tutti noi oggi sarebbe un errore altrettanto grave, se la campagna scatta oggi, è
perché ieri non cè stata abbastanza prevenzione.
Favria, 13.11.2013
Giorgio
Cortese
Penso che larroganza di certe persone è la loro
presunzione di essere sempre, ma sempre, nel giusto! Sono individui mentalmente poco
cresciuti perché rispondono sempre con frasi fatte e si atteggiano con quellaria da
esseri superiori infastiditi. Queste persone riescono a suscitare in me sentimenti di
disgusto e di avversione. Ritengo che queste persone abbiamo l'atteggiamento più
improduttivo e ottuso del mondo, la tracotanza
Res gestae favriesi, da Marte a Ciullo.
Ci sono dei cognomi che possono sembrare a prima vista singolari
o dal significato abbastanza evidente, ma ci si deve sempre ricordare che i cognomi sono
figli di un lungo processo linguistico che ha prodotto il risultato finale partendo molte
volte da un nome proprio e successiva troncatura della radici o la sua storpiatura nel
linguaggio dialettale. Questo è il caso del cognome Ciullo che potrebbe derivare dal
latino cirrus che significa ciocca di capelli, in certe zone della
Toscana ciullo è una forma aferetica di fanciullo, con il significato di persona alle
prime armi. Ma continuando la ricerca, si trova con questo nome, il poco famoso ai
più, Cielo dAlcamo, conosciuto anche come Ciullo d'Alcamo, nato ad Alcamo in
Sicilia nel XIII secolo, poeta e drammaturgo e uno dei più significativi rappresentanti
della poesia popolare giullaresca della scuola siciliana. A questo autore viene attribuito
il componimento Rosa fresca aulentissima, in dialetto a base siciliana
ma con vistose influenze continentali. Secondo alcuni il nomignolo Ciullo le fu attribuito
dal presunto diminutivo di Vincenzullo. Secondo altri Ciullo in questione potrebbe
derivare Cheli, diminutivo di Michele, nome molto diffuso in Sicilia, da cui sarebbe
poi derivato Celi e in seguito, in Toscana Cielo. La teoria più logica è che Cielo
sia la versione italiana di Chelo, diminutivo spagnolo per il nome "Marcelo".
Già Marcello, nome proprio secondo alcuni di origine latina con il significato di sacro a
Marte, ma potrebbe essere anche di origine sassone dalla radice indoeuropea Mar, che
significa "colpire, spaccare", dalla quale deriva anche la parola "martello".
Una curiosità nella "Vita di Marcello" Plutarco scrive che il significato
del nome è "marziale", "bellicoso. In Italia ci sono 575 persone che portano
il nome Ciullo, 288 in Puglia, 6 in Calabria, 129 in Campania, 5 nel Friuli Venezia
Giulia, 41 in Lombardia, 5 nel Veneto, 21 nel Lazio, 4 nelle Marche, 18 in Piemonte, 3 in
Molise, 16 in Toscana, 3 in Umbria, 13 in Sicilia, 3 in Liguria,11 in Emilia Romagna, 2
nel Trentino Alto Adige. 6 in Basilicata ed uno in Abruzzo. Ad Alcamo è dedicato a Cielo,
Ciullo, il Liceo Classico, la la piazza principale ed il teatro comunale, precedentemente
noto come Teatro Euro.
Favria, 14.11.2013
Giorgio
Cortese
Ritengo che vita, la mia è simile ad uno straordinario
treno di continue emozioni. Un viaggio lungo il quale ho sempre vissuto con totale
trasporto tutte le fermate che ho fatto. Ho percorso questo itinerario a volte solo, a
volte in compagnia, ma ogni volta aveva lo stesso valore: me stesso. Ogni momento è per
me un ricordo, un emozione, una speranza. La vita mi insegna che amandola sempre lei non
ti tradirà mai!
Cattivi esempi!
Leggo sul giornale La Stampa del 29.10.2013 che dei
genitori-tifosi aggrediscono ragazzino che non ha passato la palla al figlio, e finiscono
davanti al Giudice di Pace. Questo ennesimo brutto episodio su di un campo di calcio
che dovrebbe educare, mi fa molto riflettere sugli attuali, sempre di più numerosi,
cattivi esempi. Se questi spettatori-genitori durante le partite offendono larbitro
o i giocatori avversari per presunti soprusi, mi lascia molto amareggiato su questa
carenza di civiltà. E pensare che ci sono degli allenatori che impiegano parte del loro
tempo libero per insegnare a questi bambini come diventare adulti. Questi allenatori li
ritengo simili a scultori visionari che sinnamorano di quei "blocchi di
marmo" impolverati, sfregiati o luccicanti poco importa, che sono i giovani atleti
accovacciati nel fondo di una palestra e li fanno diventare la loro ragione di vita. Si
siedono accanto a loro per anni, ne individuano lanimo e tentano di sprigionarne la
forma, come Michelangelo mentre liberava dalla dura materia il suo Mosè. Molti di questi
allenatori saccollano larduo e intrigante compito di svegliare dei brutti anatroccoli
accendendo in loro la bellezza del cigno. Lavorano indomiti sui bordi del carattere degli
atleti, ne smussano i difetti per far brillare i pregi, e gioiscono quando li vedono
uscire goffi dal marmo della quotidianità, ne perfezionano i movimenti sgraziati,
pennellano la ricercatezza dei particolari perché da essi dipenderà larmonica
bellezza di un gesto atletico e il destino ultimo dei loro capolavori. Un giorno qualcuno
di quegli atleti scriverà la storia dello sport: nessuno, forse, saprà mai i nomi degli
allenatori-scultori che li hanno addomesticati e liberati. Sarà questo nascondimento
convincente a chiamarli in causa solo in caso di restauro o di sconfitta, per proteggere i
loro capolavori dalle intemperie delle critiche. O magari, qualcuno li indicherà come
colpevoli di tutto, anche delle proprie distrazioni e sregolatezze. Poi ritorneranno a
sudare e masticare la polvere di anonimi campi di periferia. La grande forza di un
allenatore è quello di parlare al cuore del ragazzo e quello che dovrebbero capire i
genitori oltre che al ragazzo che ciò che conta veramente nella vita per essere dei veri
vincenti, non è vincere sempre, ma trovare sempre la voglia di vincere e di divertirsi,
soffrendo un attimo in più dellavversario. il vocabolario per questi giovani atleti
non sono i beceri insulti o le risse tra i genitori ma aggrapparsi a parole sode e sincere
come passione, sacrificio, caparbietà, sudore, gloria, conquista, addestramento,
travaglio, inseguimento, emozione, lacrime, sorrisi, abbracci. Parole che raccontano di un
dinamismo interiore, di unattrazione potente, di un bersaglio individuato. Capacità
di sopportare lunghi allenamenti, ripetuti passaggi, faticosi sacrifici. Ho letto
recentemente un libro dove Cassius Clay, il geniale pugile americano oro olimpico a Roma
1960, annota bel suo diario questa bellissima riflessione: Ho odiato ogni minuto dallenamento,
ma mi dicevo, non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione.
Senza arrivare ai grando traguardi atletici di questo grande pugile è importante saperci
fare in quella zona di confine, dove lordine e il disordine fanno a pugni, che
permette al vero allenatore e ai genitori la forza del loro carisma senza insultare o
picchiare i genitori dellaltra squadra. I gentili ancora prima dellallenatore
devono educare i figli alla fatica buona e al sensato sacrificio necessari per assaporare la
gloria. Personalmente per quanto riguarda la mia personale esperienza ritengo che non è
difficile diventare padre, ma essere un padre, questo si che è difficile!
Favria, 15.11.2013
Giorgio
Cortese