AVVISO

sabato 4 gennaio 2014 a Favria, ore 21,00, salone polivalente, vicino al palazzo Comunale: “Rock Bloody Party  by  The Blue Fathers. Non mancate! Young bloody….please

 

Res gestae favriesi da pascolo a Boggio

Il cognome Boggio o Boggia può essersi sviluppato secondo diverse teorie.

La prima prende origine da un lemma lombardo bogia, usato anche come soprannome, dal significato di recipiente e in senso metaforico di conca, bacino, traendo origine dal lemma prelatino bolia, vaso, recipiente. Ma potrebbe derivare   dal lemma bogè, bugè , l’atto di collocare il bestiame bovino in "boggia" sull'alpe, insomma di recinto riparato. Ma potrebbe derivare anche dal lemma dialettale bogèta, biglia. Vieniva chiamata boggia un consorzio di proprietari del bestiame alpeggiato e sottoposto ad amministrazione comune o anche una mandria di bovini   raggruppata sull'alpe e amministrata collettivamente, forse dalla radice del lemma bo che indicava mandrie di bovini. Se si segue questa teoria si arriva al verbo dialettale dici bogià, bogé, che  il significato di come venivano chiamati i lavortatori lombardi e piemontesi in Svizzera all’inizio del ‘900 che deriva dal lemma francese  bouger. E cosi si arriva al piemontese  bogianèn, bugianèn, letteralmente, non muoverti, che è anche il soprannome dato ai piemontesi dopo la battaglia al colle dell’Assietta. Ritornando alla mandria di mucche all’alpeggio i mandriani che li accudiscono venivano chiamati bogés o bugés . ritornando al filone pre romano in Lombardia in provincia di Sondrio esiste il torrente Boggia, che   scorre nella Val Bodengo e questo idronimo può essere utile per cercare di codificare questo cognome. Infatti l’idronimo deriva dal celtico Bodius, il gallico bodio, giallo, biondo o da un nome di origine germanica: bodo che significa conca per pascolo, oppure  da un vocabolo prelatino, Bogitu, che vale “conca” o “avvallamento geologico”.  L’altra, maggiormente accreditata, ritiene che possa provenire da un’antica parola celtica, Bucetum, che significa “pascolo per buoi”.

Favria, 21.12.2013

 

Con le pive nel sacco!

In questi giorni di dicembre ho trovato durante un giro in un mercatino due bravi zampognari. Il loro incontro mi ha fatto ricordare l’espressione, tipicamente italiana: “tornare con le pive nel sacco” risale al tempo in cui abitualmente si suonavano “le pive”, che erano antichi strumenti musicali, simili alle più conosciute cornamuse. la parola piva  deriva dal francese pipe che deriva dal lemma latino pipa che in origine significava, canna per fischiare o forse trae origine dall’antico tedesco pfifa, pfeife, pfifer, fischio , zufolo. Gli antichi romani la chiamavano tibia e i greci aulos. La piva o pivetta era anche un’antica   danza campestre dell’Italia settentrionale, suonata al ritmo delle pive. Per ritornare alla locuzione del titolo le ipotesi sono due, la prima perché nel medioevo e fino alla fine dell’ottocento le pive, insieme alle trombe, venivano utilizzate proprio dai reparti militari durante le avanzate , dunque nella fase di attacco, ma mai quando le truppe erano costrette alla ritirata. In fase di arretramento questi strumenti venivano nascosti nei sacchi e in questo modo si faceva credere che le forze fossero state messe in fuga. Ecco spiegato il significato assunto da questa frase popolare che equivale a dire: tornarsene a casa senza aver concluso un’impresa, né ottenuto nulla di buono. Una  seconda ipotesi vede invece l'origine del modo di dire in un'usanza tipica del periodo natalizio, quando gli zampognari girano per il paese suonando cornamuse, zampogne e le ciaramelle per raccogliere denaro alle porte delle case. Anticamente si accettavano anche doni di altro tipo, come cibo e vestiti, che venivano riposti in un sacco di iuta. Se si ricevevano pochi doni, nel sacco semivuoto c'era abbastanza spazio per mettere anche le pive. La ciaramella  o pipita  è uno strumento popolare a fiato, ad ancia doppia, di antica origine, dal quale si fa derivare il moderno oboe. È ancora oggi diffuso in alcune regioni italiane centro-meridionali, dove è suonato soprattutto nel periodo natalizio insieme alla zampogna. Il termine ciaramella, deriva dal diminutivo tardo latino calamellus, al femminile calamilla e calamella, derivante a sua volta dalla parola latina calamus, cioè "canna". Nei vari dialetti italiani prende i nomi di ciaramedda, cornetta, totarella, trombetta, bìfara, pipìta; in corso prende il nome di cialamella, cialamedda o cialumbella. Questo strumento musicale popolare è diffuso in tutto il centro sud Italia, ma il termine in alcune aree, come ad esempio ciarammelle nell' Alta Sabina o ciarameddi in Calabria e Sicilia designa la zampogna; questo perché sembra che la zampogna stessa sia nata dall'accostamento di due ciaramelle alle quali nell'età dell'Impero Romano è stato aggiunta una riserva d'aria tramite un otre e nel Medioevo saranno aggiunti infine i bordoni, le due canne. L'otre è in pelle conciata, tradizionalmente di  capretto, che viene cucita nella parte posteriore e si utilizzano le aperture di collo e zampe anteriori per l'inserimento, del chanter e dei bordoni, mentre viene fatto un apposito taglio per l'insufflatore. Il chanter, ad ancia doppia, è costruito in un unico pezzo di legno, lavorato al tornio, con sette fori per le dita nella sua parte anteriore, il foro per il mignolo è doppio per permettere l'uso dello strumento a destrimani e mancini, quello non utilizzato viene tappato con cera e possiede altri fori chiusi detti di intonazione. Passiamo poi alla zampogna, strumento musicale di carattere pastorale e agreste che trae la sua primitiva origine dal "flauto di Pan", formato di canne riunite. Quando delle varie canne, trasformate in pive fatte di legno di bosso o di olivo, ne furono innestate talune in un sacco di pelle che serviva da serbatoio d'aria, si ebbe la zampogna che anche i Latini conoscevano sotto il nome di tibia utricularis. Nel Medioevo e più oltre ancora, i sinonimi per indicare strumenti di tale specie si moltiplicarono e si confusero. Ma il nome zampogna designa con precisione lo strumento usato dai pifferari del Lazio e della Calabria. Essi lo suonano mentre sorvegliano il pascolo dei loro greggi o quando, in occasione delle feste di Natale, scendono nelle città e nei paesi. Una sostanziale differenza fra zampogna e cornamusa e congeneri consiste nel fatto che in quella la insufflazione è praticata direttamente dal suonatore, mentre nella seconda è indiretta. La zampogna si trasformò in musette e divenne strumento di moda specie ai tempi dell'Arcadia: cosicché la rozza pelle del serbatoio dell'aria fu sostituita da stoffe di seta ornate e ricamate. Col nome di zampogna nel Mezzogiorno d'Italia, si designa anche lo strumento musicale che si costruisce nel mese di marzo con la scorza del salcio, del noce, del pioppo, del castagno. Somiglia al liuto e fa suono delicatissimo e melodioso.Dalla zampogna, che lo caratterizza, trae il nome di zampognaro il pastore, generalmente vestito con brache corte, giacca di fustagno, ampio mantello, sostituito in qualche luogo dal "pelliccione", berretto a calza con fiocco e con le cioce ai piedi, che al tempo del Natale e in altre solenni circostanze comparisce nei villaggi e va di soglia in soglia, modulando sulla zampogna o sulla cornamusa la nenia, che è spesso cantata da gruppi di donne, di fanciulli e devoti, con l'accompagnamento di altri rustici strumenti, triangolo, nacchere, scacciapensieri. La cornamusa dal francese cornamuse è uno strumento a fiato, composto di un sacco di pelle di montone e di due o più zampogne innestatevi sopra, alcune delle quali risuonano come bordoni a mo' di pedale. Lo strumento è antichissimo; lo conoscevano i Greci e i Latini, i quali ultimi lo chiamavano tibia utricularis. Svetonio ci fa sapere che persino Nerone lo suonava e, secondo Procopio, esso era in uso anche nelle musiche delle milizie di Roma. In Inghilterra la cornamusa fu conosciutissima sin dal Medioevo, né sono rari gli accenni in componimenti poetici e in raffigurazioni pittoriche di quell'epoca. La cornamusa era perfino usata nei conventi e nei monasteri fin dal sec IX e designata sotto il nome di chorus; quest'uso si protrasse sino alla fine del Trecento. L'uso del bagpipe presso le truppe scozzesi dura tuttora.. In conclusione, quando la cornamusa è piena, comincia a suonare, per porare negli animi di tutti noi un Natale che sia di scambio, non di doni materiali, bensì di cuori, di serenità, di gioia, vissuto dapprima interiormente per poi lasciarlo fluire ed espandersi alle persone accanto e a tutto ciò che mi circonda. La vita è un dono meraviglioso, e il Natale è simbolo di ri-nascita.
Anche se virtualmente desidero abbracciarVi Uno ad Uno e in questo abbraccio Vi auguro di cuore un SERENO E GIOIOSO NATALE

Favria,   22.12.2013                      Giorgio Cortese

 

La varietà del mondo reale non si lascia comprendere sotto la forma definitiva di una legge.