Genè!

Genè, a j’è n’autr an cha ‘s a’ncamina, coert ‘d fioca, ‘d giassa, ‘d freid,  ‘d brina; Genè, meis ‘d strene e ‘dle sperasse, dine con quale idee ti it’avansse? L’avroma ancor da esse sagrinà? l’ann neuv saralo mei che col passà?

 

AUGURI DI BUON 2014!!!

A Tutti i favriesi, Canavesano e a chi mi legge

Non Ti auguro un dono qualsiasi,
Ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo Fare e il tuo Pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull'orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo,
tempo per la vita.

Poesia indiana

 

Amicizia, di Jorge Luis  Borges

Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita. Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori, però posso ascoltarli e dividerli con te. Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro però quando serve starò vicino a te. Non posso evitarti di precipitare, solamente posso offrirti la mia mano perché ti sostenga e non cadi La tua allegria, il tuo successo e il tuo trionfo non sono i miei  però gioisco sinceramente quando ti vedo felice. Non giudico le decisioni che prendi nella vita mi limito ad appoggiarti a stimolarti e aiutarti se me lo chiedi. Non posso tracciare limiti dentro i quali devi muoverti, però posso offrirti lo spazio necessario per crescere. Non posso evitare la tua sofferenza, quando qualche pena ti tocca il cuore però posso piangere con te e raccogliere i pezzi per rimetterlo a nuovo. Non posso dirti né cosa sei né cosa devi essere solamente posso volerti come sei ed essere tuo amico. In questo giorno pensavo a qualcuno che mi fosse amico in quel momento sei apparso tu.. Non sei né sopra né sotto né in mezzo non sei né in testa né alla fine della lista Non sei ne il numero 1 né il numero finale e tanto meno ho la pretesa di essere il 1° il 2° o il 3° della tua lista. Basta che mi voglia come amico  Poi ho capito che siamo veramente amici. Ho fatto quello che farebbe qualsiasi amico:  ho pregato e ho ringraziato Dio per te.  Grazie per essermi amico.

Personalmente non ho altri modi per intendere  la vera Amicizia, ed i veri amici che leggono questa mia mail  capiranno. Grazie della Vostra amicizia

Giorgio Cortese

 

Se nella vita di ogni giorno tratto i miei simili come fossero quello che potrebbero o dovrebbero essere, certamente diventeranno ciò che potrebbe o dovrebbe essere, e il mio umano sforzo non sarà stato vano

 

Io ho un sogno!

Chiedo scusa se mi sono appropriato di una frase cosi bella di M. Luther King, ma personalmente ho un sono che voglio condividere. Nella nostra Patria cercano di rubarci tutto e di stritolarci sempre di più con nuove tasse e balzelli vari. Se apro il giornale, ascolto la radio, navigo in Internet leggo solo notizie deprimenti. Tutto mi pare in decadenza, in lento declino, la corruzione di chi ci governa e si ingrassa con dei rimborsi farlocchi, lo sconforto verso la politica, la sfiducia nei giovani. Se giro nei  negozi le vendite languono, c’è quasi un’atmosfera da coprifuoco bellico. Vedo solo dei volti tirati, tristi e preoccupati, lo Stato sociale che non esiste quasi più e tutti hanno perso delle certezze consolidate. Ci hanno rubato tutto ma non il sorriso, ecco il mio sogno,  chi ha rovinato tutto sghignazza pensando di essere il deus ex machina, ma il sorriso non ce lo possono  scippare, ma è proprio quando cercheranno di rubarci il sorriso che si inciamperanno e cadranno, perché il sorriso arriva dal profondo dell’animo, perché il sorriso è il nostro solo interiore e loro non posseggono un sole interiore, sono solo dei sepolcri imbiancati e noi con il sorriso prevarremo

Favria,  2.1.2014    Giorgio Cortese

 

Il brivido dell’insicurezza!

Recenti episodi mi fanno pensare che viviamo molti giorni nelle nostre Comunità Canavesane e in generale in tutto l’Italico Stivale con un sottile senso di  angoscia e paura. Tra molti cittadini e la propria Comunità si instaurata inconsapevolmente da tempo un rapporto ambivalente. Nutriamo verso i luoghi che abitiamo sia malanimo che affetto nei confronti dell’ideale cinta urbana delle nostre Comunità. Se da una  parte amiamo le nostre  Comunità per  quanto ci offrono, ma poi intimamente, le desideriamo profondamente diverse. Più che nostre Comunità forse siamo noi con i nostri sguardi, sempre un po’ miopi o distratti che quando abbracciano vasti orizzonti, diventano acutamente pignoli nei confronti dell’orticello domestico. Osserviamo sempre più spesso il luogo che abitiamo con un’angolatura ridotta che ci mostra una Comunità che è diventata estranea,  che ha mutato rapidamente nei colori, e molte volte nelle forme e nei sapori. E poi per i più anziani e non solo per loro l’abitato fuori dalle domestiche mura si trasforma da estraneo a quasi nemico. E il termometro di questo crescente disagio è la crescente indignazione e paura che si legge nei commenti suoi social forum o dai commenti delle persone che incontro. Questa scivolosa paura ci può trascinare verso  forme di autoesclusione portando delle persone a vivere la vita quotidiana nelle mura domestiche come ad una prigione materiale e psicologica. Si innestano delle fobie sull’uscire dopo una certa ora, del non passeggiare da solo, del diffidare di tutto e tutti per scivolare verso le   scorciatoie dell’organizzazione in proprio, della giustizia cotta e mangiata, del moralismo ipocrita e a basso costo che ripulirà le nostre strade dal male organizzano ronde contro i drogati, contro i ladri e così via. Questo è il paradosso del Bel Paese, del paese dei più degli ottomila campanili, che ha vissuto uno dei periodi di maggior fulgore storico ed economico proprio nell’età dei Comuni, e che esalta i periodi aurei della Roma imperiale, unica urbs tra tanti municipium? Non necessariamente. La città o il comune medievale che, in alcuni casi, aveva radici anche più antiche, rappresentavano un sorta di associazione indipendente composta da uomini liberi. Liberi da che cosa? Dalle imposizioni e dal dominio dell’Impero e del Papato, le due grandi autorità politiche di quell’epoca, come dire oggi contro le tasse e gli gnomi della finanza. Allora erano uomini liberi, in un certo senso, dai vincoli e dalla rigidità del sistema feudale che in quel periodo predominava in Europa. La struttura politico-amministrativa di quelle Comunità, paragonata ai parametri storici di quel periodo, si può ben definire "democratica". Allora le decisioni erano prese solo in seguito ad ampie discussioni pubbliche e tutto questo spingeva molti a giurare fedeltà a una struttura che garantiva libertà e sicurezza. Le Comunità così concepite appartenevano ad ogni singolo cittadino ed ognuno aveva un grande interesse per il buon governo della cosa comune. Oggi quello che forse ci manca è il senso di appartenenza e una democrazia veramente rappresentativa, le nostre Comunità oggi,  cioè quel complesso sistema di relazioni sociali che conosciamo, sono una realtà piuttosto recente. Questo nostro ritardo rispetto ad altri paesi è frutto della veloce trasformazione della nostra società da realtà contadina a industriale e, oggi, postindustriale. Una trasformazione che si è contraddistinta per un inurbamento forte quanto caotico e selvaggio, accompagnato da rapide dismissioni di vaste aree che non rispondevano più alle esigenze produttive, abitative e infrastrutturali del momento e ancora oggi assistiamo a continui abbordaggi nel cercare di cementificare sempre di più. Oggi viviamo in Comunità radicalmente cambiate rispetto a trentenni fa e, e non solo per il processo evolutivo delle strutture amministrative ed economiche, ma anche nel rapporto instaurato da ogni singolo cittadino nei confronti della Comunità che non viene più sentita propria, non più noi insieme, ma solo oggetto da usare. Oggi si insegue una delle più grandi contraddizioni dell’uomo moderno, il falso mito della "sicurezza ad ogni costo" che ha prodotto il paradossale risultato di avere aumentato le aree di rischio e insicurezza, facendoci pagare un pesante prezzo in termini di libertà di azione e movimento. Oggi l’opinione pubblica si trova di fronte alla  completa e più estesa interpretazione della "tolleranza zero". Ma attenzione, perché una società  disposta a rinunciare a una libertà essenziale per acquisire un po’ di sicurezza temporanea non merita né l’una né l’altra e le perderà entrambe. Questa ultima frase non è  mia ma di Benjamin Franklin che nella memoria comune è ricordato come l’inventore del parafulmine, nato trecentosette anni fa, nel 1706 in America. Ho trovato questa sua affermazione in un libro e la ritengo sempre attuale. È evidente, infatti, la ripetuta domanda di sicurezza che viene avanzata dai cittadini, una domanda giustificata anche perché la società si sta spesso sfaldando e diventa in certi settori, e non solo quelli del degrado ma anche alcuni piani alti della finanza e del potere, degenerata, insicura appunto. Su questa esigenza legittima taluni speculano introducendo forme patologiche di paura che rendono le persone più chiuse, grette e aggressive. A questo punto si può collocare il monito di Franklin. Sì, è giusto rinunciare a una fetta di libertà per avere un po’ di ordine, di tranquillità, di sicurezza. Ma guai a premere il pedale fino a cancellare le libertà essenziali, attraverso, ad esempio, alla prevaricazione sulla dignità personale, sulla privacy che è forse un idolo ai nostri giorni, coltivata morbosamentee, ma altrettanto impunemente violata, sulle relazioni generali sociali, sul rispetto della vita umana. Certo, l’equilibrio tra libertà e sicurezza è sempre delicato, ma guai a pensare che tutto si risolva solo con più forze dell’ordine e pubblica sicurezza, vigilantes o leggi più repressive, quando non si colgono le radici più profonde. In conclusione al là della facile demagogia, la storia dei muri eretti in nome della sicurezza e abbattuti in nome della libertà dovrebbe pur averci insegnato qualcosa. Rinchiusi nelle proprie fortezze, gli abitanti del castello non sono mai riusciti a salvarsi dalla solitudine e ne sono stati sempre miseramente travolti.

Favria, 3.1.2014   Giorgio Cortese

 

Res gestae favriesi dal colono romano primis a Primiano

Dal cognome romano Primus, letteralmente "primo" che in origine veniva attribuito solitamente al figlio primogenito, il che lo rende analogo, con lo stesso percorso, del nome femminile nativo americano Winona che in lingua Lakota vuole dire “figlia primogenita. Il nome Primiano trae dunque origine dalla cognomizzazione del santo Primo, venerato a Larino, provincia di Campobasso, zona di origine della terra degli antichi italici Marsi, dei Primiano. Questo San Primo ha subito il martirio il 15 maggio del 303  d.C. Secondo gli studiosi, tre fratelli cristiani, Primiano, Firmiano e Casto, detti anche i Santi Martiri Larinesi, vennero perseguiti in seguitoin seguito all’Editto dell imperatore sopra nominato nel 303. Portati per essere giustiziati nell’anfiteatro di Larino, i tre fratelli,riuscirono ad addomesticare i leoni, che li risparmiarono. Primiano venne successivamente decapitato presso il Tempio di Marte ol 15 maggio, i suoi fratelli il giorno successivo. In Molise esistono circa 39 persone che portano questo cognome, 9 in Campania, 7 in Abruzzo, 1 nel Lazio, 5 in Lombardia e 7 in Piemonte.

Favria,  4.1.2014  Giorgio Cortese