Moderiamo i toni

Dopo aver appreso su internet e sui media dello spiacevole episodio, esprimo a titolo personale solidarietà al Sindaco e a tutta la Giunta che sono stati oggetto di una protesta poco pacifica da parte di un cittadino. Ritengo, vista la difficile situazione socio economica che la dialettica rimanga nei corretti binari di persone civili e mai l’incitamento all'odio e al rancore. Personalmente penso che ci debba essere maggior dialogo,  solo il dialogo e la dialettica ci unisce. Mi sembra molto scorretto e strumentale addossare colpe e colpevolizzare, per il sopra citato incivile gesto,  la minoranza  consigliare, che si è solo limitata a svolgere il ruolo istituzionale derivatole dal voto popolare. Pur senza voler alimentare polemiche nei confronti del Sindaco e della Giunta, vittime di un fatto criminoso, e condividendo altresì le ragioni della minoranza, che si limita a compiere il proprio dovere istituzionale, rimane da rispondere, per amore della verità dei fatti, al seguente quesito:“ Come faceva  sapere quel cittadino che in quel giorno si svolgeva la Giunta Comunale, ritenuto presente che gli orari e i giorni di riunione non sono pubblici?”

Favria    Giorgio Cortese

 

Viviamo in una società

Viviamo in una società dove molti reputano che non ci sia niente da fare, oggi per vivere un po' bene bisogna vendere anche l'anima e scendere sempre di più ad ogni compromesso.

Viviamo in una società liquida  su internet e sui social forum basta pubblicare o leggere la prima stupidaggine per sentirsi maestri di retorica ed affermare che : “l’uomo è misura di tutte le cose”. Viviamo in una società che sempre di più si autoassolve, dove l’autonomia assoluta della coscienza individuale prevale e prevarica su tutto e in tutto.

Viviamo in una società in cui è più facile amare gli animali che gli uomini e ci si sente più “buoni” ad impegnarsi, ad esempio, per salvare qualche decina di scimmiette da un laboratorio piuttosto che rimboccarsi le maniche a favore del prossimo, o magari spendere il proprio tempo con gli anziani.

Viviamo in una società dove  a Berlino, si apre la prima gastronomia di lusso per cani e gatti  Se la notizia è vera già immagino le polemiche  di chi affermerà che ci  si preoccupi più degli animali che dei bambini.

Viviamo in una società dove non conosciamo neanche più i nostri vicini di casa e abbiamo persone che spesso dimenticano le regole delle buone maniere con i nostri simili quando ci incontriamo

Viviamo in una società dove ci dimentichiamo spesso che tutti esseri viventi, umani e animali hanno il  diritto alla vita e che siamo tutti unici ed  inimitabili ed è questa  caratteristiche che rendono unica e quindi diversa ogni singola specie.

Viviamo in una società dove ogni persona ritiene di avere la ragione in mano e condanna a priori le idee degli altri urlando la personale intolleranza

Viviamo in una società che è andata  avanti tanto rapidamente in tutti questi anni che ogni tanto mi devo fermare  un attimo per consentire al mio animo di raggiungermi

Viviamo in una società sempre più umanizzata che ha perso la sua umanità

Viviamo in una società che non si rende conto di vivere in un pianeta bellissimo.

Viviamo in una società d'apparenza, dove ci si dimentica della sostanza.

Viviamo in una società dove tutti si accorgono se sei dimagrito o ingrassato ma non se sei triste. Ma allora se voglio che la mia  vita abbia un senso per me, bisogna che abbia un senso per gli altri. L’unica medicina nella società che viviamo è quella dell’amore, dell’incontro, del dialogo, dell’apertura. Ed infine, come diceva Martin Luther King,  “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli e a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato a vivere come fratelli”.

Favria,   23.01.2014     Giorgio Cortese

 

Molte volte interpreto il cattivo carattere di certe persone come un loro segno di inferiorità

 

Tassa o tariffa?

Innanzitutto le nostre tasse vengono dal Medioevo. Pensate che nel 1500 a Favria veniva fatta pagare la tassa, o in dialetto la taja, detta focatico, questo lemma è un sostantivo maschile, definito sommariamente "termine storico". Focatico, dicono i vocabolari, significa "imposta su ogni focolare, cioè su ciascuna famiglia", essa risente ancora dei sistemi tributari feudali. L' etimologia conduce al latino "focus", "focolare", con il suffisso "aticum" che, come vedremo, e' tipico delle varie forme di tassazione. Tra l' altro, come rammenta il "Dizionario etimologico" di Cortelazzo.Zolli (editore Zanichelli), "fuoco" aveva anticamente il significato di "nucleo familiare".  Accennavo prima al suffisso tipico delle varie forme di tassazione. L' uso piu' noto riguarda il plateatico (dal latino "platea", "piazza"), cioè la tassa richiesta per l' occupazione di suolo pubblico. Ma vi e' anche l' erbatico, antico come il focatico, che significa sia il diritto di falciare l' erba e di pascolare bestiame nei terreni pubblici, sia il tributo che si paga per questo diritto. Stesso discorso per il macchiatico: diritto di tagliare legna nei boschi altrui e canone che si deve versare per godere di tale diritto. Macchiatico e' sinonimo di legnatico, parola piu' recente essendo nata ai primi dell' Ottocento. Se ne trova traccia letteraria in "Una manciata di more" di Ignazio Silone.  Per ritornare al focatico, questo nome reca con se' un inguaribile anacronismo. L' idea stessa di focolare e' cambiata, anche nel senso metaforico che si era soliti attribuirle. Soltanto vecchi dipinti, parole di canzoni disperse nel tempo, favole di legna che arde e di neri camini, possono ricondurre a quella idea patriarcale di unione domestica. Già è stato detto che il nuovo focolare è la televisione e per essa si paga il canone, non il focatico.   Tassa deriva dal lemma latino medioevale taxa , derivato di taxare ossia “tassare”. Taxare, lemma latino con il significato di biasimare, riprendere; valutare”, forse connesso con l’antico greco, tàsso  ”ordinare, ingiungere. Ritengo che   comprendere le tasse è il primo passo per cominciare a gestire il “problema tasse”. Non sto parlando, almeno per ora, di comprendere le varie ed esecrate sigle o il modo in cui si pagano o si evitano. Ma il mio discorso è relativo a come comprendere il soggetto delle tasse nei suoi fondamenti, perché esistono, perché siamo obbligati a pagarle anche quando sono ingiuste, cosa dovrebbe cambiare nel sistema fiscale e come? Teniamo presente che oggi ci sono molti altri problemi che si sono aggiunti a quello delle tasse, come la disoccupazione, la crisi economica, milioni di persone che hanno un reddito insufficiente, la difficoltà di accedere al credito bancario che penalizza tantissime imprese, le complessità burocratiche che intralciano la capacità produttiva. Insomma, ci sono un sacco di problemi, in aggiunta all’elevata pressione fiscale, che rendono difficile “sbarcare il lunario”. Quindi, perché parlare per prima cosa delle tasse? Perché, il sistema tributario e simile ad un cestino bucato che invece di risolvere i problemi, con le sue inefficienze ne genera degli altri, danneggiando il rapporto tra lo Stato e i cittadini, distruggendo giorno per giorno la fiducia nel confronti di chi amministra, sgretolando nei nostri animi l’umana speranza di riuscire a produrre ricchezza, soffocando l’iniziativa di chi vuol fare impresa e, non ultimo ma forse la somma di tutti i mali quello di impoverire tutti. Oggigiorno con il termine “tasse”, tendiamo ad assimilare tutte le somme che, per un motivazione o per l’altra, noi cittadini siamo obbligati per legge a versare allo Stato o agli enti delegati dallo Stato centrale, Regioni e Comuni. Ma il termine corretto forse sarebbe dire che parliamo di  “tributi”, che includono le tasse e le imposte ma è una distinzione che sta perdendo significato. Nei paesi di diritto romano come l’Italia, l’imposta è un tributo che si dovrebbero versare per finanziare servizi pubblici indivisibili come la  difesa o l’istruzione, mentre le tasse sono tributi che si pagano a fronte si una controprestazione, una licenza edilizia, un’occupazione di spazio pubblici la vecchia tassa rifiuti ed attuali filiazioni. Ma nei paesi che adottano la “common law” invece, come America o Inghilterra, questa distinzione non c’è. Anche da noi, sebbene sia improprio, ormai questi diversi tributi vengono identificati nell’uso comune come “tasse” e, al di là del nome, hanno la caratteristica comune di essere imposti per legge. Le imposte come si vede vengono stabilite di imperio e il cittadino le deve pagare indipendentemente che usufruisca di un servizio oppure no; le tasse, almeno in teoria, sono relative ad un servizio di cui ciascun contribuente può decidere se avvalersi o meno. Cesare Beccaria scrisse nel Dei delitti e delle pene che “Le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un  continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità”. Come tutti i cittadini rispettoso delle leggi ho  rinunciato alla libera disponibilità dei miei pochi beni e del pochissimo denaro, accettando, come tutti che delle leggi stabilissero il prelievo coatto dei tributi, affinché i servizi e le cose pubbliche vengano amministrate dallo Stato e dai Comuni procurandomi così sicurezza e tranquillità. Ma mi rendo conto sempre di più che questa fiducia è tradita, da una parte le somme prelevate coattivamente dal fisco sono sempre maggiori col trascorrere degli anni. Nel contempo le agenzie del fisco che perseguono e reprimono l’evasione fiscale agiscono come se tutti i cittadini fossero dei potenziali evasori. Ma poi vedo che i soldi per le opere pubbliche non ci sono e che il Comune da la colpa allo Stato, lo Stato all’evasione e i veri evasori totali ridono in silenzio nascondendosi dietro a volte alle mendaci dichiarazioni Isee. E la   sicurezza e la tranquillità non sono più chiaramente garantite da uno Stato che preleva somme sempre più ingenti ai singoli, mentre non garantisce servizi adeguati a fronte di tali somme. Due cose allora nella nostra Patria sono sempre sicure la morte e le tasse. concludo con la tariffa che è un particolare prezzo fissato in maniera particolare, infatti non  fluttua semplicemente in base alle leggi della domanda e dell'offerta, ma viene invece deciso dai Comuni o da altri soggetti pubblici e non, si parla quindi d tariffe della mensa scolastica,  tariffe del trasporto pubblico, tariffe bancarie. La tariffa è sempre decisa in anticipo in base a delle tabelle trasparenti. Sul lemma tariffa che deriva dall’arabo ‘ta’rifa, dichiarazione in base al verbo arabo arafa, avviso, che anche  in italiano ha   lo stesso significato in italiano esiste una storiella etimologica affascinante ma priva di fondamento, circa questa parola che si vorrebbe che derivi dal nome della città spagnola di Tarifa,  che prende il nome dal comandante berbero Tarif ibn Malik, che la conquistò agli inizi dell'VIII secolo, posta all'estremo sud della penisola iberica , la punta d'Europa che sfiora l'Africa. Secondo questa proposta, il nome deriverebbe dai pirati che incrociavano per il mare presso Tarifa, rubando o imponendo dazi. Ma non è così, o almeno è altamente improbabile che lo sia; comunque l'etimologia più accreditata di questa parola si conferma araba , naturalmente ricevuta a prestito dai più grandi mercanti del mediterraneo.

Favria, 24.01.2014     Giorgio Cortese

 

Molti giorni è la dose della cattiveria che fa il veleno della giornata

 

Res gestae favriesi da cacciatore  a Burlando

Esistono in Italia i rari cognomi Borlandi e Burlandi,   Borlando quest’ultimo tipico del novarese. Per quanto riguarda il cognome Burlando, che pare abbia la stessa origine dei precedenti cognomi, pare che sia di origine lugure, Genova. Ma già nel 1400 si trovano tracce di questo cognome in diverse comunità alto Canavesano, scritto come Burlandus. trascritto  successivamente come Burlandus ed infine in italiano moderno Burlando. L’origine di questo cognome è da attribuire molto probabilmente al mestiere del capostipite, che cacciava le volpi, cinghiali e lepri servendosi di burelle, trappole. Burella, infatti nell’antico italiano significava e significa, luogo sotterraneo o caverna e deriva dal lemma latino burrius, buio. Questo lemma nel medioevo era identificata a Firenze come carcere. Ma il lemma nurelle potrebbe essere entrato nel linguaggio comune di trappola per poi diventare cognome attraverso il provenzale burel, un grosso panno probabilmente utilizzato per coprire la fossa dove cadevano gli animali. Ma forse l’esatta origine è sempre dal provenzale burlo, burlare, burlatore con il significato di trappola, ingannare e gabbare o prendersi gioco come ha ancora adesso il lemma burlare.

Favria,  25.01.2014          Giorgio Cortese

 

Ritengo che una delle cose peggiori della vita quotidiana non sia tanto commettere  un errore, ma semmai cercare di giustificarlo, piuttosto che accettarlo come un avviso provvidenziale della mia leggerezza nell’affrontare un problema e della mia enciclopedica ignoranza

 

Da taxamètre a taximètre

Molte parole del nostro lessico hanno una derivazione dalla lingua latina e dalla lingua greca. Quando una parola è per metà latina e per metà greca, non importa quale delle due stia prima, si dice che è un ibrido, che sta, appunto, ad indicare una parola alla cui composizione concorrono elementi di diverse lingue. Con lo stesso termine, come è noto, si indicano fenomeni analoghi nel mondo degli animali ed in quello dei vegetali, quando gli uni o gli altri sono generati dall’incrocio di individui di razze o specie diverse, asino e cavalla generano un  mulo; cavallo e asina un bardotto; mandarino unito al pompelmo un mapo. Ma rimanendo nel campo delle parole, un esempio di ibrido è “automobile”, termine che a noi viene dal francese automobile, composto con il greco “autòs” ,“sè stesso” e con il latino “mobilis”, “che si muove” e, quindi, “che si muove da sè”. È una parola che ha avuto una gran fortuna anche se la lingua parlata ha prodotto per troncamento il termine ‘abbreviato’ di altrettanta fortuna “auto” che, anche senza il “mobile”, si muove pur sempre da sè. Automobile o auto che sia, c’è, comunque, bisogno di chi la guidi e cioè dell’ automobilista che, quando lo fa per mestiere, diventa un autista.Un ibrido è anche “tassametro” e cioè il contatore applicato alle autovetture in pubblico servizio per determinare il percorso fatto ed, in conseguenza, la somma da pagare. Tassametro è, infatti, formato da un elemento latino medievale “taxa”,  “tassa” termine che non mi suscita certo sensazioni piacevoli e da un elemento greco “mètron”,“misura”. Le cose, per verità, andarono così. All’inizio del XX secolo, si quello appena conclusosi,  quando cominciavano a diffondersi le autovetture pubbliche, per indicare il contatore di cui sopra stava diventando d’uso corrente il termine “tassametro” che, in francese, suonava “taxamètre”. Ma un  linguista francese del tempo non apprezzò affatto questo ibrido e propose di riportare tutto a fattor comune della lingua greca, utilizzando come primo termine il greco “tàxis”, che oltre al significato principale di “ordine, disposizione, fila” aveva anche quello di “determinazione d’imposta” e, quindi, di “tassa”. In tale modo l’ibrido “taxamètre” diventò “taximètre” di derivazione tutta greca e la vettura ad uso pubblico su cui era montato fu detta “voiture à taximètre” che, per desiderio di abbreviazione, diventò dapprima “taximètre” e successivamente “taxi”. In Italia, mentre fu mantenuto l’originario termine ibrido “tassametro “, fu invece adottato, per indicare l’autovettura in servizio pubblico, il francese “taxi” addolcito in “tassì”. Quest’ultimo ha figliato, in Italia, il “tassista” ovvero “autista di taxi”, mentre la lingua francese ha conservato il termine “chauffeur” per autista e “chauffeur de taxi” per tassita. Una curiosità: chauffeur in francese significa “fuochista” e fu adottato per indicare chi guida una automobile per il semplice motivo che i primi esemplari di auto utilizzavano, come forza motrice, una macchina  con motore a vapore, in quanto era l’unica fonte di energia disponibile fino all’invenzione del motore a combustione interna con motore a scoppio.

Favria, 26.01.2014   Giorgio Cortese

 

Molte volte il successo è la capacità di passare da un fallimento ad un altro, senza perdere mai l’entusiasmo e con la voglia tenace di ripartire dagli errori commessi per compierne degli altri. Ogni insuccesso è la grande opportunità che mi viene concessa per cercare di diventare un po’ più intelligente