Fevrè, tempo di carnevale
              il mese nel quale gli alberi prendono nuova vita

Fevrè curt, pegg d’un turc. Fevrè, curt e crudel, meisot pi brut che bel, con ‘d del e con ‘d caloro, con ii butun ‘ns’ le fior, o meis del Carlevè, ‘t fas vni veuia ‘d saotè!

 “Viene Febbraio, e  nelle piazze vestiti da Arlecchino, il carnevale impazza...”, questa frase desunta da una poesia è la fotografia di questo mese breve di soli 28 giorni o 29 negli anni bisestili, il secondo mese dell'anno secondo il calendario gregoriano. Non è sempre stato così corto perché nella ex Unione Sovietica negli anni 1930 e 1931 era stato portato a 30 giorni. Il nome del mese deriva dal latino “februltus” che significa “un rimedio agli errori” dato che nel calendario romano febbraio era il periodo dei rituali di purificazione invernale. Nomi storici di febbraio sono l'anglosassone Solmoneth, “ mese del fango”, ma forse quello che più gli si addice e quello dell’antico Giappone, dove veniva chiamato “Konometsuki” che significava “il mese nel quale gli alberi prendono nuova vita”, si siamo ancora in inverno, ma nel cuore appare la speranza  e il sole seppur malato riconquista lentamente il suo spazio e la primavera si approssima a passi di danza. Come detto all’inizio in questo mese si svolge il Carne vale! Il periodo che precede la quaresima e dove si da libero sfogo a tutti gli eccessi prima del grande digiuno penitenziale dei quaranta giorni precedenti la Pasqua. Se questo mese è più piccolo di durata degli altri non è meno importante e, come diceva un famoso regista: “Non ci sono piccoli ruoli, ci sono solo piccoli attori”. Ecco, proprio sulla base di questa affermazione impietosa ma vera, penso ad un'applicazione più generale. Se nella vita siamo chiamati a fare un ruolo di gregario, volontario di un’associazione, collaborare nel tenere aperto dei locali per il volontariato; nel lavoro fare l’impiegato e dipendere da un Direttore, diretto superiore, cioè non rivestiamo un ruolo non da ribalta, non  da “primadonna”, ebbene sono fermamente convinto che qualunque ruolo si occupa sul lavoro o nel tempo libero è altrettanto importante, come quello dell'attore o dell’oscuro costumista, perché il dramma o la commedia abbiano la loro pienezza. Ogni giorno nella vita quotidiana molte persone nascoste e “invisibili” lavorano per noi rendendoci l'esistenza possibile e agevole. Ogni ruolo è grande, se compiuto con dignità, passione e donazione. E allora non lasciamo mancare la nostra parte nella grande vicenda umana.

Favria,  1.02.2014    Giorgio Cortese

 

Una boiata dare del boia.

L’attacco contro il Presidente della Repubblica è a tinte forti, oggi gli danno del boia, in  passato fu bollato come “terùn” e “traditore”. Non è la prima volta che il Presidente della Repubblica viene attaccato. Oltre al leader delle locuste pentastellate: “Napolitano Morfeo”, in un  passato nemmeno troppo lontano, appena un mese addietro, nel dicembre 2013, gli ex esponenti del fu Popolo della Libertà ora Forza Italia bersagliarono il Colle con accuse molto pesanti. Lo stesso leader degli italoforzuti, ha parlato spesso di “colpi di stato” accusando di fatto l’attuale Presidente della Repubblica  di essere stato artefice del governo del Professore nel 2011 e di aver di fatto avallato pure la condanna della Corte di Cassazione. È una lista lunga quella di attacchi al Colle, si parte dal leader del Carroccio fino ad arrivare all’ex leader dell’Italia dei Valori. Ma questo ultimo insulto ha passato il limite dell’umana decenza, è   volgare e sguaiato! Insomma solo gli stolti agiscono così e si può ben dire che nel dare del boia hanno detto una grossa boiata, baiando! Mi spiego meglio, il lemma boia deriva dal provenzale e significava in origine ceppi, catene, derivante a sua volta dal latino “boiae”, strumento di supplizio. E’ divenuto con il tempo il nome con cui di chiamavano le persone che eseguivano le  sentenze di morte e d è stato anche utilizzato come sinonimo di ribaldo, mascalzone, furfante. Da boia si passa a boiata, lemma che deriva dal milanese boiada, abbaiamento, latrato, e da li al lemma baiata, con il significato di  abbaiare. Mi sembra che l’insulto becero sia proprio un latrare ottuso che dimostra tutta l’ignoranza politica di chi lo profferisce

Favria,  2 Febbraio 2014   Giorgio Cortese

 2 febbraio

S’a fa brut a la Candelora ‘d l’invern o suma fora. A la Candlera n’ora ‘ntera, mesa a la matin, mesa a la sera

 Res gestae favriesi da razza audace a Babando

L’attuale cognome Babando potrebbe derivare dalla cognomizzazione del nome germanico Theodbald a sua volta derivato dai germanici theod, popolo, e da bald, coraggio audace con il senso di razza audace. Successivamente il nome proprio per aferesi ha perso la parte iniziale rimanendo la  parte centrale, che per errori di trascrizione e pronuncia  ha assunto l’attuale cognome. Oppure derivare dal nome germanico Baldband, bald  audace e band, dimostrasi, insomma chi si dimostra audace nella battaglia

Favria, 3.2.2014                   Giorgio Cortese

 Purtroppo ogni tanto cado nella superbia di credermi più di quel che sono veramente e poi mi stimo meno di quanto forse valgo

 Facchino, un nome che racconta una crisi economica.

Oggigiorno si intenDe facchino, la persona di fatica che porta i bagagli o pesi. Pensate che facchino deriva dall’arabo faqih, ed era in origine un   teologo, giureconsulto, e poi sovrintendente alle dogane. In antichità, nel mondo arabo islamico, il  faquih, era un dotto: dapprima poteva essere un sapiente teologo, un giurista erudito; poi passò ad indicare un funzionario di alto livello che sovrintendeva e dirimeva le questioni doganali. Ma intorno al XIV secolo la grande espansione economica della mondo islamico giunse al punto di stallo, con la concomitanza della scioperat dell’America e la perdita di importanti traffici e allora molti dotti e alti funzionari si ritrovarono senza lavoro. Allora si dovettero reinventare un mestiere che desse loro da vivere in modo onesto - e tanti si dedicarono al piccolo commercio delle stoffe, trasportandole loro stessi in spalla, di mercato in mercato. Oggi quando si pronuncia facchino si intende la  persona che fa da portabagagli in albergo o che sposta merci in magazzino, ma è la traccia di una grande crisi economica di molti secoli fa, chissà forse in futuro si userà per onorevole?

Favria,  4.2.2014               Giorgio Cortese

 Mi sento veramente ricco in proporzione al numero di cose di cui posso fare va meno

 Chiamatelo flop, fiasco o cilecca, è sempre un insuccesso!

Flop è un termine inglese, equivalente all'italiano fiasco, che indica il mancato successo di un azione rispetto alle aspettative che si erano riproposte. La parola flop è di origine inglese e significa tonfo. Nel linguaggio giornalistico, insuccesso, fiasco, riferito inizialmente a uno spettacolo, poi esteso a indicare fallimenti anche in altri settori di attività: tentativo risoltosi in un flop; rischiare un flop; quel film è stato un flop al botteghino; com. la locuz. fare flop, fallire, rivelarsi un insuccesso: la nuova trasmissione ha fatto flop. La parola fiasco deriva dall’antico germanico flaskun a sua volta dal latino medioevale. flasco. Il modo di dire "fare fiasco" viene usato per indicare situazioni in cui non viene raggiunto un obiettivo o si fallisce nel proprio intento. Il detto ha origine incerta, benché esista anche in francese, in inglese e in tedesco. Alcuni vogliono che alluda ai soffiatori di vetro, che se sbagliano l'operazione si trovano alla fine della canna in cui soffiano una bolla informe simile a un fiasco invece della sagoma voluta. Altri lo fanno risalire a un episodio della carriera di Domenico Biancolelli, un attore comico del 1600, che nelle vesti di Arlecchino si esibiva improvvisando, prendendo spunto da una cosa qualsiasi. Si dice che una sera abbia scelto come argomento un fiasco, e gli mancò il successo. Da allora è rimasto questo modo di dire “far fiasco”, quando si deludono completamente le aspettative di qualcuno, senza rendersene conto fino al momento dei fischi o delle aspre critiche. Il lemma fiasco viene anche usato per dire: “levare il vino dai fiaschi”, quando si vuole appurare qualcosa, chiarire una situazione verificandola una volta per tutte, così come si può valutare realmente la bontà di un vino solo dopo averlo levato dal fiasco e versato nei bicchiere. Ma quando c’è un grosso insuccesso si dice anche cannare che deriva dal lemma canna, come  metonimia,   figura retorica che significa attraverso il nome, sostituzione di parola con fucile. Quindi fare cilecca fare cilecca col fucile, sbagliare qualcosa. Interessante è anche il lemma cilecca che alcuni autori pensano che possa derivare dal latino illicium,   allettare o adescare. Altri autori pensano che derivi dai dialetti bavaro-austriaci dal lemma schleck!, espressione di scherno. Ma esiste anche il lemma rattare che deriva dal francese. rater, per indicare il  non riuscire, fallire. Questo lemma deriva dalla parola francese rat,  topo,  nell’espressione idiomatica   francese prendre un rat,  fare cilecca  con un’arma da fuoco. Viene anche usata nel  gergo automobilistico, perdere colpi, riferito al motore: il motore ogni tanto ratta, si sente dal rumore irregolare.

Favria, 5.2.2014       Giorgio Cortese

 

La vera poesia  comunica sensazioni nell’animo ancora prima di essere compresa. Purtroppo quando si scrive non si riesce mai a raccontare tutto, le lettere non hanno odore, non ridono, ne piangono, non  muoiono di fame né di freddo, non hanno paura.

 Res gestae favriesi: Luv  ravass butunè

Leggo dai media locali che nelle nostre valli del Canavese è ritornato il lupo!

Questo mi fa ricordare che a Favria nel 1806, il 24 gennaio, il Prefetto del Dipartimento della Dora, Dèpartements Conquis, Dipartimenti Conquistati, segnala che le  campagne di  Feletto Favria, Rivarolo ed Oglianico sono infestate dai lupi, denominati lupi della Svizzera. Il  Prefetto Plancy agisce, non dimentico del disposto del Direttorio Esecutivo del non lontanissimo anno 5 repubblicano 19 piovoso, 7 febbraio 1797 , nel 1806 era stato reintrodotto il calendario gregoriano, con una  battuta di caccia ai lupi avrà luogo il 1° del mese successivo nelle campagne di Feletto, Rivarolo, Favria e Oglianico sotto la direzione di un certo signor.Favre, Guardia Generale delle Foreste. Il ritrovo dei sindaci , dei cacciatori e battitori è fissato alle  6 precise del mattino,  presso il municipio di Rivarolo, sito prescelto come luogo di raduno. Ogni sindaco portava con se 10 cacciatori muniti di armi e munizioni adatte alla caccia dei lupi ed anche  cani se  adatti a questo scopo,  e 20 uomini abili e conoscitori dei posti per cercare nei boschi e spingere i lupi verso i cacciatori.  il problema della difficile convivenza tra gli esseri umani e questo canide  rimane anche con la Restaurazione, iniziata nel 1814, infatti nel 1817, viene approvato in data  6 giugno, con un manifesto l’Ufficio della Regia Intendenza della Città e Provincia di Torino aumenta il premio per l’uccisione dei lupi feroci, pensate, per ogni lupa, lire nuove 500; per ogni lupo lire nuove 400; per ogni lupicino lire nuove 200; i lupi vengono denominati “di ingorda ferocia e detti della Svizzera”.Un episodio ancora più strano e quanto avvenne in Favria all’inizio del settecento, si narra infatti che un grosso lupo si nascondeva nel bosco della   favriasca, chiamato dai favriesi di quel tempo "luv  ravass butunè”. Dal manoscritto letto era un lupo sempre famelico, feroce e abbottonato. Si abbottonato perchè i cacciatori del settecento dicevano che nonostante fosse sottoposto al fuoco delle carabine a pietra focaia poteva cambiare pelle, sbottonandosi quella sforacchiata dai pallini, cambiando così pelle! Analoghe leggende con delle varianti ci sono in altri luoghi del  Piemonte.

Favria,   6.2..2014        Giorgio Cortese

Personalmente nella vita quotidiana evito le persone vili per non sentire il forte lezzo della loro vigliaccheria