Doniamo veramente, doniamo  il 5 per mille delle nostre imposte alla Fidas ADSP onlus!

Donare sangue è un dovere civico? Donare sangue fa bene alla salute del donatore? Donare sangue è una prevenzione attiva grazie agli esami clinici che periodicamente si svolgono? Donare sangue potrebbe essere tutto questo ma soprattutto, e ne sono fermamente convinto il dono del sangue è VITA. Quando doniamo il sangue, dietro a quel braccio sul lettino o poltroncina posso esserci io e Tu che mi leggi. Da qualche anno a questa parte è possibile destinare una quota pari al 5‰ dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, in base alla scelta del contribuente, a finalità di sostegno del volontariato, della ricerca scientifica, sanitaria e a sostegno dell'attività sociale.   Ti rammento che tale quota non sostituisce la quota dell'8 per mille, quindi il contribuente può destinare sia l'8‰ che il 5‰.  Il bello è che lo fai   con le imposte che hai già pagato. Se compili il Modello 730 o il Modello Unico, apponi la tua firma nel riquadro destinato al sostegno del volontariato, indicando nell'apposito spazio il Codice Fiscale della Fidas ADSP onlus 80090270010. Se sei un lavoratore dipendente e non hai l’obbligo di presentare il Modello 730 o il Modello Unico, compila la scheda allegata al modello CUD, apponendo la tua firma nel riquadro destinato al sostegno del volontariato e indicando nell'apposito spazio il Codice Fiscale della Fidas ADSP onlus 80090270010. Consegna la scheda in busta chiusa allo sportello di un ufficio postale o a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (professionista, CAF, ecc.). Sulla busta scrivi: "Scelta per la destinazione dell’otto e del cinque per mille dell'IRPEF", il tuo codice fiscale e il tuo nome e cognome. Personalmente oltre a donare il sangue dono anche la mano per fare questa ulteriore semplice donazione, basta poco, ma se tutti ci impegniamo possiamo fare molto. La Fidas  ADSP onlus 80090270010 la scelta giusta, il dono dei volontari, la quotidiana alternativa all’egoismo quotidiano

Grazie di avermi letto

Favria,  10.03.2014        Giorgio Cortese

per info    www.fidasadsp.itw.fidasadsp

 

8 marzo 2014.

A tutte le donne del Mondo auguro per 365 giorni all'anno   una valanga di baci, una cascata di abbracci, un oceano di felicita! Per le donne di Favria, la Comunità in cui vivo auguro anche che per ognuna una stella scintillante che illumini e dei speranza anche belle giornate buie. Ringrazio come cittadino   tutti le Componenti alla Consulta delle Donne e tutta l'Amnunistrazione Comunale per il simpatico e bel addobbo della fontana. Grazie dell'impegno e auguri a tutti perché questi gesti semplici di oggi ci accompagnino per 365 giorni all'anno. Concludo come maschio, vivo, respiro e scrivo perché sono stato generato da una donna. Noi uomini siamo figli dell'amore di una donna, e di questo non dobbiamo mai dimenticatoi e portare sempre in alto rispetto tutte le donne. 

Favria, 8. 3. 2013 Giorgio Cortese

 

Solo una semplice risma…

L’altro giorno durante la pausa pranzo, al bar, ho sentito il commento di due avventori, che si riferivano a persone a loro  conosciute definendole della peggior “risma”. Questo breve dialogo ascoltato per caso mi ha fatto pensare che uno dei  segni duraturi scaturiti dall’impatto e dallo scambio tra culture diverse è quello linguistico. Com’è noto, nel Medioevo, opere fondamentali del pensiero scientifico–filosofico occidentale, come Aristotele e Platone, circolarono in versione latina nei conventi prima e poi nelle Università europee proprio a partire da preziose traduzioni arabe, realizzate in ambienti dotti arabo-spagnoli e arabo- siciliani.  Nel Patrio Stivale, con la  conquista araba della Sicilia, si era costituita, a partire dall’VIII secolo, un’importante centro culturale islamico che ha lasciato il segno nel utilizzo di molti lemmi di comune uso. Ad esempio il lemma nuca, risale al latino dei medici “nucha” indicante il midollo spinale, dall’arabo nuhà, in francese. nuque. Se gioco a tennis la parola racchetta deriva dall’arabo rahat, termine che indicava il  palmo della mano. Nel linguaggio marittimo l’arsenale  deriva dal genovese darsena e dal veneziano arzana, ma entrambi derivano dalla parola araba dar-assina-ah, dove dar significa edificio e sib, lavoro, quindi casa lavoro. Il libeccio, vento umido che soffia dalla Libia, i greci lo chiamarono libykion e gli ispano-arabi labaq. Ammiraglio deriva dall’arabo amir-al-rahl, dove amir significa i capo e al-rahl o ar-rahl, viaggio, navigazione, quindi è il primo responsabile del viaggio. L’insolito lemma calafato, calafatare, deriva dall’arabo galafa, coprire con pece. L’unità di misura “quintale”, deriva dalla  parola “ar. qintar, “ unità di misura di  peso di 100 rotoli,  parola che a sua volta viene dall'arabo ratl, un decimo del qintar appunto. Il calibro usato nelle misure di precisione deriva da  “ar. qalib” con il significato originario di forma, figura, quindi anche “garbo”. Tara dal verbo taraha, con il significato di sottrarre, togliere, scontare. Come si vede le parole che arrivano dall’arabo sono molte e una di queste è la parola risma, nome collettivo che indica una quantità pari a 500 fogli di carta.  Il lemma deriva dall’arabo, rizma, pacco, fascio, dal lemma arabo razama,  impacchettare. Furono, infatti, gli Arabi ad introdurre in Europa l'uso della carta, un prodotto di pregio, ricavato dal cotone, ma comunque mai così costoso come la pergamena. E naturalmente, insieme alla carta, introdussero la relativa unità di conto dei fogli, la risma, che allora ne annoverava quattrocento o cinquecento, a seconda degli usi. Oggi se ne sente parlare sempre meno perché si preferisce indicare direttamente il numero di fogli presenti in un fascio di carte, ma è stata un'unità di conto di gran successo. Ma l’uso di questo lemma, “risma” viene anche utilizzato in senso figurato per indicare un gruppo di persone con chiari connotati dispregiativi. Quando facciamo diligentemente la coda, la persona che maleducatamente cerca di  passare avanti a tutti nella fila, senza riuscirci, borbotterà lamentandosi di questa risma di gente screanzata. Questo uso forse è derivato perché si considera la carta della risma dozzinale e aleggia allora il soffuso sospetto circa la qualità del pacco che si acquista. E chi vuole continuare a usare questa parola nel senso di unità di conto dei fogli in un pacco, potrà contare sulla splendida atmosfera di antichi commerci mediterranei che riecheggia ancora e si continua tuttora  ad usare correntemente per indicare in genere un pacco di fogli.

Favria, 11.03.2014            Giorgio Cortese

 

L a contrada della Giraffa a Siena ha questo motto:”Altius caput maior gloria, più alta la testa più grande la gloria”, ma se la testa è bassa che cosa si fa!

 

Nec spe nec metu, nè con speranza, né con timore

Prendo come titolo di questa mail una frase latina che ritengo di grande attualità: “nec spe nec metu, nè con speranza, né con timore”, che mi fa sempre riflettere che nella vita di ogni giorno devo vivere il quotidiano, come viene, con oggettività e serenità accettando la buona e la cattiva sorte senza confidare troppo nella fortuna e senza angosciarmi per le avversità ricordando che "sufficit diei malitia sua", a ciascun giorno basta la sua pena,  qui il lemma latino “malizia”, non è da intendere con l’attuale significato di malizia, pura cattiveria, ma piuttosto con il significato di pena, preoccupazione, sofferenza, fatica. La frase in premessa pare che fosse già usata dal grande Cicerone nella  locuzione nell'orazione: “Post reditum in senatu”, in essa Cicerone esprime il suo ringraziamento al Senato che lo aveva richiamato in patria, mettendo fine al lungo esilio di 18 mesi, cui lo aveva condannato il suo acerrimo nemico Publio Clodio Pulcro. A livello comunale il motto  appare nello stemma del Comune di Feltre ed è il motto dal 1933 del  7 reggimento Alpini che aveva tra i suoi battaglioni anche quello di Feltre. E’ stato anche il motto di Isabella D’Este marchesa di Mantova. Ritengo che per incontrare la speranza, quel magnifico motore che mi fa andare avanti nel cammino quotidiano bisogna andare di là della disperazione. Certi giorni, quando penso di trovarmi in mezzo alla buia notte, ho sempre la speranza che alla fine spunti l’aurora raggiante di un nuovo giorno. Certo le preoccupazioni creano nell’animo delle sensazioni simili al buio fitto della notte, e nell’animo di ognuno di noi c’è sempre l’ancestrale paura del buio, della mancanza di luce, ma la speranza di un’alba al fondo del tunnel della vita di ogni giorno mi da fiducia. Nella vita quotidiana si incontrano o, meglio, si scontrano due concezioni antitetiche che potrei definire, per comodità, sotto le voci “pessimismo/ottimismo”, ma che in verità sono più profonde. In esse mi imbatto spesso non solo nelle piazze della storia, ma persino nel campo aperto del mio animo. C'è, da un lato, il tempo del non-senso, quando il mio pensare è esangue e sbiadito, il mio parlare è vuoto e insipido, il mio agire scialbo e infruttuoso. L’attuale società mi pare che viva in questo pallore cadaverico che nasce da una crisi interiore che la crisi economico sociale ha fatto parzialmente affiorare.  Ritengo che la nuova legge elettorale da sola non basta, come la nascente nuova legge del lavoro se prima come cittadini non ci svegliamo da questo torpore mentale e nell’animo. Bisogna porvi mano, lottando a denti stretti per ritrovare, d'altro lato, una diversa tensione, quella che ci metta tutti in cammino, senza lasciare nessuno indietro,  verso la fine della notte, rendendoci tutti ancora desiderosi dell'aurora che sta per spuntare e delle ore di una nuova giornata. Bisogna affrontare i piccoli problemi della quotidianità ed il futuro con serenità di spirito,  senza confidare nella buona fortuna e senza temere quella avversa. Ritengo, in conclusione, che: “Nec spe nec metu” è quindi un motto che possono adottare tutti, anche coloro che non hanno dei blasoni araldici e sangue blu, basta soltanto “avere sangue che scorre nelle vene” 

Favria .12.03.2014   Giorgio Cortese        

 

Per complicare la vita quotidiana basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Certo tutti sono capaci di complicare, ma rare sono le persone che incontro che sono capaci di  semplificare

 

Gli inutili idioti quotidiani.

 Dicono che i due  più  comuni elementi nell'universo sono l'idrogeno e la stupidita.  Potrebbe sembrare una frase fatta ma è l’amara realtà. Durante la quotidiana giornata capita di entrare in discussione con i nostri simili, sugli argomenti disparati. Il bello di queste discussioni, specialmente sui social forum è quando,  all'improvviso arrivano gli amici, gli amici degli amici, i parenti, i parenti dei parenti di una delle due parti che avevano iniziata la chiacchierata. questi entrano nella discussione per  dire la loro, perchè evidentemente  ritengono che la persona da loro conosciuta non sia capace a difendersi da sola. Gli estranei vengono a dire la loro non perchè gliene freghi della faccenda, del forum o della persona, vengono perchè leggono tutto e dicono "Adesso dico anche io la mia, così faccio vedere quanto sono bravo, intelligente, maturo e come so scrivere bene". Vengono per far brillare la loro intelligenza e, come succede in questi casi, per schierarsi sempre dalla parte di quello che ha la maggior parte di "appoggi", perchè così fa il branco e perchè solo così il branco si sente forte ed intelligente. Ma questo è solo un esempio di quanti inutili  idioti incontriamo ogni giorno, scriveva al riguardo l’economista Paul Lafitte che: “Un idiota povero è un idiota. Un idiota ricco è un ricco.” Sta di fatto che è difficile dargli torto. Certo non parlo  dell’Idiota di Dostoevskij compose nel 1868-69. Nella tradizione spirituale russa paradossalmente si definisce idiota una   persona dotata di una fede candida nei confronti di Dio e del prossimo, una creatura generosa e mistica, è il caso del folle principe Myškin, protagonista del celebre romanzo sopra citato.  Qui, invece, il significato è quello offensivo e scontato e rimanda alla persona stupida e stolta.. L’attualità del pensiero di   Laffitte,  è che se l’imbecille è ricco, ecco che appare subito la differenza rispetto al cretino che è povero. A lui si riserva sempre un trattamento di favore a causa della forza del suo denaro. Ma mi domando fino a quando ci piegheremo ancora a questa triste legge, nell’esaltare, magnificare e a dare ragione al ricco o   potente di turno, anche se quello che emette sono solo idiozie e insulsaggini. Penso che dentro di noi   dimora, sia pure in minima parte il  mitico ragionier Fantozzi che striscia di fronte al padrone anche quando gli prospetta un’assurdità. Nella vita di ogni giorno dobbiamo avere il coraggio di uomini veramente liberi  che non esitano a  evidenziare la vacuità e la banalità di chi gestisce beni e potere. Per questo, la considerazione di Laffitte rimane una rilevazione amara che non può essere smentita. Ma ogni giorno devo con fatica cercare di conquistare una piccola dose d’'intelligenza, soltanto la stupidità si espande gratuitamente.  Nella vita di ogni giorno cercare di essere intelligente non è solo per doti innate,  ma è risultato di un costante e paziente ed impegnativo esercizio, è simile ad una salita su di una montagna, fatta di piccoli ma costanti passi, per la mente e per l’animo, per arrivare alla meta in altura. Lo studio esige rigore, tempo, applicazione e non si concilia con la genericità e la dissipazione. Certo l’inutile stupidità , invece, non esige fatica e impegno, cresce senza costi e senza limiti. quello che mi impressiona ogni giorno è l’alto numero degli stupidi, l'intelligenza ha un abito solo e una sola strada ed è sempre in svantaggio. La stupidità è versatile e può indossare qualsiasi abito, e poi quando discuti con uno stupido questo non ha mai dubbi, le persone maligne a volte riposano,   gli imbecilli mai. Confesso che certe volte cercare di passare per tonto agli occhi dell’inutile idiota di turno è una delizia che mi fa gongolare l’animo, è simile ad una delizia da fine buongustaio

Favria,  13.03.2014    Giorgio Cortese

 

Nella vita di ogni giorno cercare di essere umile con i superiori è un dovere, con  i colleghi è una cortesia , ma con i subordinati è nobiltà dell’animo!