Panta rei, tutto scorre o si tratta solo sempre di una minestra riscaldata!

Dicono gli esperti che il déjà vu, già visto, sia un’alterazione dei ricordi. Insomma, penso che sia capitato a tutti di vivere delle scene di vita quotidiana già vissute, ma poi non si ricorda ne dove ne quando. Molte volte questo fenomeno viene definito seppur impropriamente “falso riconoscimento”. Pensate che questo termine, déjà vu, fu coniato ne L'Avenir des sciences psychiques di  Emile Boriac,*  revisione di un saggio che scrisse da studente all' Università di Chicago. Ma poi, quando ho questi pensieri penso a quanto scritto dal filosofo greco Eraclito: “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.” Panta rei, tutto scorre, appunto, niente rimane così com’è se non per alcuni momenti, per degli istanti che a volte sembrano durare un’eternità. La vita è mutamento, trasformazione, un continuo divenire, evolvere. Il nostro corpo cambia momento per momento, rinnovando le sue cellule e gli organi che da esse sono costituiti e anche le nostre azioni non sono mai uguali, anche se a volte sembrano ripetitive. Perfino chi sta leggendo adesso questa mail, non appena avrà finito di leggerlo, non sarà più lo stesso in quanto la trasformazione è un processo inarrestabile quanto irreversibile. Il problema è che, mentre fuori tutto scorre modificando comportamenti, eventi, persone, situazioni sentimentali e lavorative, dentro ogni persona invece e, in particolare, nella mente di ciascuno, tutto sembra rimanere invariato, ciò anche per decenni e, a volte, per tutta la vita. Ma secondo il  filosofo napoletano Giambattista Vico, vissuto a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, esistono i corsi e ricorsi della Storia ed aggiungo anche della personale storia umana di ognuno di noi. Questo principio generale è meglio noto come: “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. Il filosofo napoletano era convinto che la  storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla Provvidenza. In parole povere, tanto per non essere troppo enigmatico, Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della Divina Provvidenza.” Da sempre nella storia dell’umanità., anche in questi tempi, si possono vedere delle situazioni che mi ricordano dei precedenti periodi storici, seppur in forme diverse, con strumenti diversi adeguati al periodo attuale, e mi sono trovato a constatare  di fronte a manifestazioni e situazioni politiche, economiche, culturali e anche ad atteggiamenti personali, che mi ricordano come un ciclo si stesse per concludere e il nuovo stesse per giungere.  Ma forse l’atteggiamento ed il modo di operare testardo ed ottuso di certe persone è forse più simile al modo di dire popolare della “minestra riscaldata”. Conosco dei personaggi che vorrebbero rimettere nei loro team sportivi, politici o amministrativi dei personaggi che difficilmente potranno ripetersi, forse perché non hanno mai letto cosa scriveva Cratilo, discepolo di Eraclito, che affermava che oltre ad essere impossibile calarsi due volte nello stesso fiume, sostenendo che, quando ci si immerge, l’acqua che bagna il tallone e le dita del piede non sarà mai la stessa.  Pensate Cratilo era addirittura convinto che alle cose non bisognasse dare un nome, proprio perché erano sempre in continuo divenire e per abitudine indicava sempre e tutto con un  solo dito. Nella mia mediocrità posso solo affermare che una minestra riscaldata molte volte non è mai buona, lascia sempre un retro gusto di amarezza, perché i successi con le stesse persone non si ripetono e anche per gli anni che ormai sono passati e che non ritornano mai più! Ma chissà se queste persone che vanno avanti nel quotidiano cammino sempre guardano lo specchietto retrovisore hanno sentito parlarre, almeno,  dei déjà vu o se li considerano, con ottusa superficialità della anomalie della memoria relativi a  ricordi di fatti mai avvenuti?

Favria, 20.03.2014   Giorgio Cortese

*Émile Boirac, Guelma, 26 agosto 1851 – Digione 20.09.1971, psicologo, fistoloso ed esperantista francese. Ha anche presieduto il primo Congresso Universale di Esperanto, avvenuto a Boulogne-sur-Mer il Francia dal 7 al 12 agosto 1905

 

21 MARZO, PRIMAVERA!

‘L Signor l’a mandà giù la primavera per ch’a vneissa a fiorì neuva la tera, per preparè tut lon ch’a j’è ‘d pi bel, par rangieie l’ so ni a ogni osel, per abelì con ‘d reuse e ‘d poesia e Mars e Avril e ‘l meis fiorì d’Maria

 

Aria di primavera

Che bella è la Primavera, la  natura esplode al suo risveglio, la carezza dolce della brezza scompiglia i  miei pensieri e s’insinua nell’animo, portando una nuova freschezza, e  mi fa apparire sul viso  un breve sorriso. E così oggi  ho teso un appostamento alla Primavera, non nei vasti campi o nei grandi giardini, ma nei rari alberi di una piccola piazza della città. Lì il verde spicca come un dono ed è allegro come una dolce tristezza. Certo che se posso respirare il  profumo di erba tagliata e fiori, mi viene subito il  forte desiderio  di  rotolarmi in questi profumi e sporcarmi di terra e sole come un bambino non visto. Ecco che finalmente sei arrivata Primavera. Cara Primavera, Ti sognavo negli inverni più rigidi dell’animo della mia vita, il tuo avvento  riscalda il gelo degli sguardi, un calore buono da condividere e da conservare per i prossimi inverni della mia vita. Certo la bellezza della Primavera è fatta anche da  piogge primaverili deliziose in cui il cielo sembra che si metta a piangere di gioia. Scriveva Gandhi che: “Un uomo può uccidere un fiore, due fiori, tre. Ma non può contenere la primavera”, per me è la fantasia una  perpetua primavera.  Mi viene da paragonare la Primavera come dolce armonia della mia vita, attimi che illumina di gioia il mio animo e se gurado il mio riflesso mi accorgo che dagli occhi guizza un fremito di vita nuova,  e allora mi lascio inondare dalla gioia e sorrido alla vita: è Primavera

Favria, 21.03.2014     Giorgio Cortese

 

Sono personalmente convinto che oggi giorno non è la libertà che manca ma uomini con idee libere.

 

Che panico!

Alzi la mano che non ha mai avuto una breve attacco di panico. Già la parola panico pensate deriva dal latino panicus che ha origine da una parola greca legata al nome del dio Pan. Si il dio Pan, mezzo uomo e mezzo caprone,. che nella mitologia greca era il dio delle montagne e della vita agreste, patrono del riposo meridiano, ma che per gli antichi greci significava anche quel timore misterioso e indefinibile, ma dalla stessa parola nasce anche il lemma pomeriggio.Da Pan deriva anche il lemma pascolare, infatti era un dio pastore. Panico pare che derivi da Pan perché è l’unico dio a morire. Plutarco ci racconta che durante il regno di Tiberio, la notizia della sua morte venne rivelata a tale Tamo , un mercante fenicio, che  sulla sua nave diretta in Italia sentì gridare, dalle rive dii Paxos: “Tamo, quando arrivi a Palodes annuncia a tutti che il grande dio Pan è morto!". Gli studiosi pensano che sia un’allegoria per significare la fine di un'oscura era  politeista, più dei, di cui aver “timor panico” e l’inizio dell’era cristiana con Cristo.

Favria,   22.03.2014                             Giorgio Cortese

 

Un animale può essere feroce e anche astuto, ma per mentire bene noi essri umani siamo imbattibili!

 

Res gestae favriesi: sclamationi!

Gli obblighi ed i diritti degli homines  della Comunità di Favria nel 1654

In quel tempo i concittadini di allora, chiamati negli ordinati “homines” avevano due tipi di obbligazioni, le obbligazioni verso il feudatario e le la obbligazioni verso la Comunità. Nella Comunità di Favria gli obblighi verso il feudatario si concentravano nel pagamento “tassa-taglio di San Martino”. Il nostro borgo godeva di una certa autonomia, infatti il Conte presentava richiesta al Consiglio per poter tagliare le piante nel bosco comune di Manesco, questa richiesta veniva naturalmente accordata. Molto più estesi erano gli obblighi che ricadevano sugli “homines” verso la Comunità o verso il “servizio a Sua Altezza Reale”. Regolarmente il Consiglio eleggeva 18 uomini della Comunità, perché prestassero servizio come soldati presso S.A.R. e dove li avrebbe destinati. Gli eletti non potevano rifiutare l’incarico, se non per “inibizione di militia”, il ricoprire altra carica all’interno della Comunità o avere impedimenti fisici. Dagli Ordinati del 1650 si legge che  il Consiglio  dovette sostituire Giovanni Michele Gaijs, il consigliere Antonio Giacheto ed il sindaco Cattaneo Domenico, altri borghigiani richiesero la sostituzione per avere”dolore in una gamba”, per essere “conservatore di caccia”, di essere “curatore della balera”, oppure di essere “massaro del prete di Favria”. Chi effettuava il servizio aveva in cambio un salario fissato in 6 lire ducali. La durata del servizio era di quaranta giorni, denominato per questo “quarantena”. In modo saltuario venivano richiesto uomini per presi vicini come la richiesta di mandare nel 1653 undici soldati alla città di Ivrea ed altre simili. Oltre al servizio di militia gli abitanti del borgo avevano l’obbligo di obbedire all’ordine di curare la Balera, vista la strategica importanza della rusa nell’economia agricola del borgo. Per questo il Consiglio, come si legge nell’Ordinato del 27 luglio 1654,  dava ordine a tutti a “li Cappi di ogni Casa” onde  “quelli a travagliare a detta roggia e caso che vene  fosse qualcheduno renitente che non volesse obbedire et andare a detta roggia avisati che saranno dalli sindaci o vero cittati per un  messo in caso di disobbedienza gli hanno imposto pena di un scudo d’oro da pagarsi per cadauno…”  Come si vede veniva prevista una multa per chi non obbediva all’ordine. Ma quel tempo gli  homines della Comunità godevano dei seguenti diritti; ,’uso delle terre comunali per far pascolare i propri animali, il diritto  alla custodia dei campi fatta dal custode e dal camparo; l’uso del forno, del mulino,  e del macello della comunità dietro pagamento di determinate tasse e il diritto di verificare l’operato del rappresentante  del feudatario, il castellano e i propri ufficiali. Ma i  “particolari” altro appellativo con cui venivano chiamati i concittadini di allora potevano fare sentire la propria voce almeno nel Consiglio, dove esponevano le loro lamentele dette “sclamationi”, e si allora non c’era la televisione, ne giornali ne i social forum, neppure il telefono e il cellulare.

Favria,  23.03.2014      Giorgio Cortese

 

Esistono sempre tre pensieri dietro ad ognuno delle azioni che ho fatto, quella per cui mi sono preparato, quell’aziome che ho effettivamente fatto e poi quello che avrei voluto fare

 

Il carburante dell’invidia

Dice un vecchio proverbio, libro prestato, libro perduto!. Ma come si fa a non prestare un libro quando a chiedermelo è un amico fidato, uno che i libri li ama davvero e che, sul suo onore, promette un'immediata restituzione? Io ho molti amici fidati ed è per questo che  alcuni libri a cui tengo hanno lasciato un vuoto nei miei scaffali. Perché c'è uno strano allentamento di coscienza nei bibliofili, quando sono sollecitati alla restituzione, in perfetta buona fede negano di aver mai ricevuto il libro in prestito e chi, come me, non prende nota dei libri imprestati, me lo riprometto ogni volta, e sempre ci ricasco,  non ha elementi per circostanziare l'accusa. L’ironia della sorte uno dei  libri da me molto amati e che non ha mai fatto ritorno è "L'invidia e la società", di Helmut Schoeck, pubblicato da Rusconi nel 1974 e che a quel tempo lessi con convinzione, trasporto e successivo rimpianto. Con grande gioia, quindi, ho potuto avere tra le mani la ristampa di quel capolavoro, curata da Liberilibri di Aldo Canovari, Macerata 2006, pp. 384, euro 17, con una prefazione eccentrica e dilettevole che tratteggia la sfortuna editoriale del libro che, come volevasi dimostrare, è stato appunto oggetto di invidia e quindi silenziato. Nel libro l'invidia come inconfessato motore dell'ideologia egualitaria è al centro della riflessione dell’autore, che ne analizza tutti gli aspetti. L'invidia, fin dai tempi di Caino e Abele e di Giuseppe e i suoi fratelli, nasce in famiglia. Già Freud osservava che "il figlio maggiore, pur desiderando, per gelosia, scacciare il figlio che viene dopo di lui, tenerlo lontano dai genitori e privarlo di tutti i diritti, rendendosi tuttavia conto del fatto che anche questo figlio, come gli altri che verranno,  è amato dai genitori con lo stesso affetto, e prendendo coscienza dell'impossibilità di coltivare la sua avversione senza proprio danno, è costretto a identificarsi con gli altri figli, per cui si forma nel gruppo dei figli un sentimento di massa o comunitario che troverà nella scuola ulteriori possibilità di sviluppo. La prima conseguenza di questo fenomeno reattivo è un'aperta esigenza di giustizia, vale a dire di un trattamento uguale per tutti, insomma nell'impossibilità di essere il preferito, almeno nessun altro dev'essere preferito. L'invidia non è direttamente proporzionale al valore assoluto di ciò che ne è oggetto,  anzi, la disuguaglianza schiacciante, che sbalordisce, soprattutto quando pare irraggiungibile, eccita l'invidia molto meno di una disuguaglianza minima, allorché l'invidioso è portato a dire con falsa modestia e tanta supponenza, potrei farcela anch'io. La forte differenza, infatti, può anche suscitare ammirazione, mentre l'automobile del collega, più nuova o più potente, può far scattare l'invidia. "Se non mi può dare l'aumento di stipendio", diceva al suo padrone l'impiegato di una barzelletta, "almeno non lo dia neppure al ragioniere della contabilità".  Per fare un esempio di attualità, per spiegare l'ostilità che una parte dei Sindaci che non si sono presentati al convegno sulla sicurezza a Cuorgnè, forse solo per invidia del Sindaco di questa ridente città Canavesana, che ha avuto l’idea prima degli altri? Oppure che dire del becero ed ottuso livore del capo supremo delle truppe pentastellate nei confronti del Sindaco incaricato di formare il nuovo Governo Nazionale?Dovremmo tutti fare nostra la frase di Oscar Wilde: “La maggior parte della gente vive avendo come fine l'amore e l'ammirazione; ma è per mezzo dell'amore e dell'ammirazione che dovremmo vivere!” Personalmente non so davvero se coloro che vivono avendo come fine amore e ammirazione siano la maggioranza. Ma fa parte del paradosso darlo per scontato, e ammesso che ogni essere umano vivesse  animato da tale aspirazione, ciò non sarebbe sufficiente. L'amore e l'ammirazione, cioè la lode al mondo e in genere all'altro, non dovrebbe essere il mio fine ma il mio quotidiano motore. Dovrei ogni attimo della giornata vivere nutrito  da amore e ammirazione che sono insiti nel mio DNA di essere umano pensante, ma a livello potenziale, come l'odio e l'invidia. In effetti sentirsi nutriti, animati, mossi dall'amore, anziché limitarsi a perseguirlo, è una conquista, un'iniziazione alla vita che mi consente di affrontarla lietamente e coraggiosamente. Il tanto citato bene al prossimo,è  il primo mattone per edificare l’edificio del Bene Comune, che poi si rivela bene a me stesso. Questo sarebbe un atto salutare ma per quanto  mi riguarda, farò bene attenzione a non prestare ad alcuno in futuro

Favria, 24.03.2014  Giorgio Cortese

 

I libri  e le opere artistiche si possono comperare ma non portare a spasso.

 

Dall’italiano Zanni all’inglese Zany,  bffone passando Shakespeare

Questo lemma inglese che significa, buffone, divertente in modo anticonvenzionale e stravagante, deriva dall’Italiano “Zanni”, una versione veneta del el nome “Giovanni”, viene citata in Pene d’amore perdute: “Qualche spione, qualche leccapiedi, qualche inconsistente buffone”, e questi personaggi ne trovo ogni giorno qualcuno sul mio quotidiano cammino!

Favria,  25.03.2014      Giorgio Cortese

 

Non basta guardare, occorre guardare con occhi  che vogliono vedere, che credono in quello che vedono ed avere sempre nell’animo una sana dose di entusiasmo. Se dovessi perdere il quotidiano entusiasmo sarei già morto nell’animo ancora prima di morire fisicamente