Abolire il Senato è come cercare di convincere i “biru” a Natale.

Nel titolo ho scritto il lemma piemontese “biru” che sta per tacchino, voce di origine onomatopeica, dal verso dell’animale, con suffisso diminutivo. Il lemma piemontese “biru” deriva dal latino dell'età imperiale “birrus per burrus” nel senso di rossiccio e quindi di grigio scuro ad indicare il colore di una eventuale sorta di  divisa o uniforme, da questo lemma deriva anche la parola del settecento birro agente di polizia, oggi usata più comunemente con valore spregiativo di “sbirro”. Tornado al tacchino, elemento inconsapevole di questa mail, l’origine del lemma pito, altro termine con cui si indica il tacchino potrebbe derivare  dal provenzale pitar che significa beccare, in spagnolo, fischiare. Dopo questo doveroso preambolo all’innocente “biru” oggetto dei pranzi di Natale per noi miseri onnivori,e qui usato come filo conduttore del racconto,  mi viene da pensare che  l’attuale riforma del Senato, viste le resistenze dei novelli soloni che spuntano come funghi da tutte le parti si potrebbe riassumere che queste persone sono consapevoli di perdere la cadrega e allora per loro è come convincere i tacchini a farsi mangiare a Natale. Si dice che l’Italia sia “il BelPaese dei furbetti”. ma allora come spiegare se negli ultimi venti anni tanti italiani si siano affidati prima a un impresario della tv che prometteva persino di sconfiggere il cancro e poi a un comico secondo il quale anche il virus Aids era solo una fandonia confezionata apposta da fantomatici gruppi di potere politico ed economico per arricchire le case farmaceutiche internazionali. Ma allora siamo il  Bel paese dei furbetti, si sa che i furbetti, quelli che si sentono più furbi degli altri sono da sempre il bersaglio ideale di tutti i truffatori di questo mondo. Letteratura e i media ne  offrono ampie dimostrazioni. Da sempre la vittima designata  è quella persona che pensa di fare il furbo con gli altri suoi simili. Da sempre l’esca che lo porta ad abboccare, per entrare  nel sacco e rimanere gabbato è l’autostima di essere sempre il più furbo, insomma un pollo che si pensa falchetto, con la squallida morale che i polli, in quanto polli, meritano di essere spennati, pensarono di essere i predatori ma sono sempre le prede dei due imbonitori, l’impresario ed il comico che hanno in comune un paternalismo, fondato sulla sfiducia delle leggi e delle Istituzioni. Oggi abbiamo veramente bisogno di cambiare l’Italia gli piaccia o no ai tacchini, ma il ragionamento di poter cambiare l’Italia a dispetto degli italiani, e persino mentre se ne lamentano dei vizi quotidiani senza cambiare con loro è politicamente suicida e i tacchini certamente non sceglieranno di farsi mangiare a Natale. Per convincere gli italiani a pattuire su un diverso modo di stare insieme, per cambiare davvero per cambiare verso nel BelPaese,  bisogna dimostrare prima di tutto di avere voglia di cambiare insieme a loro. Mi domando infatti che cosa accadrebbe se nella nostra Patria perdiamo per un disastroso i nostri cento  migliori medici, chimici, ingegneri, banchieri e fisici. Se ciò dovesse accadere l’Italia sarebbe un corpo senza uomini validi e perderemmo ancora di più terreno rispetto alle altre nazioni concorrenti. Ma se in Italia dovessimo perdere all’improvviso tutti i senatori, i super manager pubblici, i parrucconi e i vari saputelli di politica, questo non avrebbe nessuna incidenza sulla vita politica e sociale del Paese.

Ps chiedo scusa ai tacchini pennuti, a Natale non li mangio mai!

Favria   7.04.2014    Giorgio Cortese

 

"Chiunque possegga davvero il sapere non fa filosofia; ma anche chi è del tutto ignorante non si occupa di filosofia e non desidera affatto il sapere. E questo è proprio quel che non va nell'essere ignoranti: non si è né belli, né buoni, né intelligenti, ma si crede di essere tutte queste cose. Non si desidera qualcosa se non si sente la sua mancanza". "Ma allora chi sono i filosofi, se non sono né i sapienti né gli ignoranti?""E' chiaro chi sono: anche un bambino può capirlo. Sono quelli che vivono a metà tra sapienza ed ignoranza, ed Eros è uno di questi esseri. La scienza, in effetti, è tra cose più belle, e quindi Eros ama la bellezza: è quindi necessario che sia filosofo e, come tutti i filosofi, è in posizione intermedia tra i sapienti e gli ignoranti". Platone, "Simposio”

 

Trasmettere le  tradizioni.

Il mese di aprile con i suoi proverbi mi ricorda che dobbiamo trasmettere le tradizioni. le nostre radici in maniera verticale, come l'acqua copiosa che cade dal cielo in questo mese. Una volta i nostri nonni ci insegnavano  delle filastrocche e la cultura veniva trasmessa per via verticale, da una generazione precedente a una successiva. Insomma dobbiamo ritessere  i fili della nostra memoria e per andare alla ricerca di questi fili, vicini e nello stesso tempo lontani, per ritrovare i valori che si sono incrociati per forgiare le nostre menti, in noi donne e uomini di oggi. È importante ritrovarli quei fili, per comprendere le speranze, le sofferenze, le lotte di chi ci ha preceduto nella storia delle nostra Comunità. La memoria, quindi, come valore e dovere da trasmettere soprattutto ai giovani. Perché la storia non venga falsata o coperta sotto la coltre ovattata dell’amnesia e dell’indifferenza. La memoria si nutre nel mantenere vive le tradizioni e a Favria in questo mese ci sono parecchie tradizioni che rimangono vive e con la possibilità di renderle sempre attuali grazie allo sforzo dei volontari come la Fiera si S. Isidoro giunta alla XXXVIII edizione. Questa manifestazione è nata nel lontano 1976, e veniva realizzata all’inizio nella piazze principale del paese e  nelle vie adiacenti al  palazzo Comunale. Verso la fine degli  anni ‘90 fu spostata nella zona del parco Bonaudo, ampio polmone verde di Favria, dotato di una vicinissima e spaziosa piazza e un grazie sincero va all’impegno costantemente profuso dal Comitato Fiera di San Isidoro, dai rappresentanti dell’Amministrazione Comunale e della Coldiretti e negli ultimi anni dall’Associazione Favria Giovane. La mostra zootecnica è sempre un momento importante a cui tutta la comunità e ben lieta di collaborare perché anno dopo anno ci ricorda che nella nostra società post industriale ed altamente tecnologica, l’agricoltura e la zootecnia rappresentano le nostre radici e il ponte dal passato al futuro, il nostro bagaglio di esperienze, il nostro patrimonio culturale che non possiamo ignorare. Altro avvenimento importante del mese avviene nella borgata della SS. Annunziata con il  Comitato della festa  “i Santissimi” sempre attivo e impegnato che riesce ogni anno a ricreare quel sano clima di festa puramente campestre in uno scenario agreste nella verde e tranquilla  operosa   borgata della SS.Annunziata di Favria, quasi una festa di primavera con i verdi germogli degli alberi da frutto e non, con le gemme che si schiudono ed il verde dei prati   che espugna progressivamente il recente ferrigno passato invernale, l’inizio di uno sviluppo dal denso colore verde, con una rigogliosa vegetazione che ci accompagnerà  fino ai primi caldi estivi. Per ultimo, solo per cronologia mensile, la Festa della Liberazione, il XXV Aprile, questo avvenimento ci fa  pensare che spesso in tv passano immagini della seconda guerra mondiale. Cominciano a essere sempre meno gli anziani che l’hanno vissuta. Stanno invecchiando gli adolescenti di allora, da anni stanno scomparendo quelli che, come si diceva una volta, l’hanno vissuta, in uniforme o senza, ma sempre sulla loro pelle rimanendo coinvolti nelle infinite sofferenze che ha causato anche alla popolazione civile, come le donne, ad esempio, le quali hanno dovuto arrabattarsi per anni con le tessere annonarie, contrastare la miseria per mettere insieme pranzo e cena, gestire la quotidianità, senza aver un uomo vicino, con la minaccia della morte incombente, e alle quali nessuno riconoscerà, mai, lo stato di belligeranti. Quanto sono, questi meriti reali, lontani dai riconoscimenti ufficiali! Ritrovare negli occhi di chi ha vissuto la guerra, oggi occhi, spenti od offuscati dagli anni, la scintilla del vivere, del capire, e stringerli,  stringerli, sì, nell’abbraccio più affettuoso del mondo, dicendo le parole che non abbiamo mai detto: “Solo adesso abbiamo capito quanto oscuri fossero i tuoi tempi; solo adesso leggiamo la sofferenza del tuo cuore; perdona la nostra cecità, e accetta questo abbraccio, fuori tempo e oltre il tempo, alla memoria di una vita piena di meriti, che noi non ero in grado di vedere e di cui solo Dio porta, infallibilmente, il conto”. Soffermiamoci a riflettere infine che i  nostri padri erano portatori di valori immensi che oggi stiamo smarrendo, il dovere, il lavoro, il risparmio, il culto dei morti, il rispetto dell’autorità in famiglia e nella società. Tutto questo è depositato nella tradizione orale, e penso che sia importante recuperarne qualche squarcio salvifico per l’ultima generazione, quella dei bambini,  ne riceveranno un bene. Sono convinto che sia importante mantenere un ponte fra i nipotini e quello dei nonni altrimenti la piccola ma importante sapienza orale dei nostri nonni sarà perduta per sempre

Favria, 8.04.14      Giorgio Cortese

 

La maturità di un essere umano consiste anche nel conservare qualche aspetto infantile nell’animo, insomma  rimanere cioè un po' ingenuo e pronto ad accendermi agli entusiasmi.

 

Particella o parcella, neh!

Le due parole posso sembrare da una lettura veloce diverse, ed invece hanno entrambe la stessa origine.  I due lemmi derivano dalla parola latina “particella” che a sua volta è un diminutivo di “pars partis”, con il significato di “parte”. Si chiama parcella la nota  del compenso spettante al libero professionista che viene presentata al cliente; piccola parte. Si denomina particella una porzione di terreno. Infatti la particella catastale, detta anche parcella è l’unità catastale costituita da una porzione continua di terreno, situata in un solo comune e appartenente a un solo proprietario, che sia di un’unica qualità o classe di coltura e abbia un’unica destinazione oppure sia occupata da un fabbricato con caratteristiche proprie e dalle relative pertinenze. Viene anche chiamato parcella, il   bosco che dà il prodotto legnoso a periodi determinati, in base al turno, viene infatti denominato bosco particellare. In grammatica vengono chiamate le parole brevi per lo più da parole brevi, per lo più monosillabiche che hanno una  funzione accessoria, come l’intercalare piemontese né o nee, neh, che si Si usa esclusivamente a fine della frase al fine di rafforzarne il significato e richiedere una sorta di conferma da parte dell'ascoltatore.Circa la sua origine, penso derivi semplicemente dalla parola eh, usata con significato identico. Ritengo  che l'aggiunta della n sia dovuta a motivi fonetici, in modo da legare meglio la frase quando eh è preceduto da una parola che termina con una vocale. In Italiano può essere facilmente tradotto con espressioni del tipo mi raccomando o capito? Tornando al lemma particella, viene anche usato in fisica per indicare genericamente gli elementi che compongono l’atomo, come il fotone, l’elettrone o il protone. Il lemma parcella è invece approdato nella lingua italiana passando dal francese parcelle che deriva sempre dal vocabolo latino particella, diminutivo di pars partis, parte. Il suo uso è relegato alla nota delle competenze, delle spese fatte o di altri compensi spettanti di diritto, che viene presentata al cliente da un libero professionista, avvocato, geometra.. La parola particella ha un qualcosa di raffinato se non retro. Infatti dedicare queste poche righe all’origine dei due lemmi sopra indicati, una parcella della mia attenzione o energia. Mi pare molto delicato e aggraziato dire parcellizzazione, al posto di usare il vocabolo  frammentazione o frantumazione, neh!

Favria,  9.04.2014   Giorgio Cortese

 

A meno che un uomo non senta di avere una memoria abbastanza buona, è meglio che non s'arrischi mai a mentire.

 

Res gestae favriesi: ‘I brach da vardia o le fèje ciaire

Per gli antichi Celti il cane era un  animale molto importante, soprattutto per la guardia, per l’utilizzo nella e nel combattimento. Nel periodo della colonizzazione romana,  Arriano cita che nella Gallia ormai romanizzata i Celti portavano con sé i propri cani agghindati di fiori ai banchetti che seguivano i sacrifici dedicati a Diana cacciatrice. Questa riconoscenza verso il cane ed in particolar modo al bracco si ritrova in una antica leggenda favriese, tramandata oralmente. Mi suocero, che ha novantanni mi ha raccontato cosa gli narrava suo nonno, che a sua volta aveva ricevuto il racconto da un altro anziano della famiglia. La storia narra di favriot che in una fredda notte ritornava da Torino, a piedi dopo aver venduto i suoi prodotti. Allora non esistevano i mezzi pubblici e anche i calesse o i biroch erano un lusso di pochi. Il nostro viandante camminava nella foresta del bosco della Favriasca, che allora era un’immensa distesa di querce e frassini. La campagna era deserta, si sentiva solo lontano l’ululato del lupo ed il verso dei rapaci notturni, ed il passo del viandante era rischiarato dalla luna e da una tremula lampada ad olio tenuta in mano. Nessuno si avventurava di notte in quelle zona frequentata, si diceva, da disertori che erano divenuti briganti, e per arrivare all’airale, la cascina vicino a Favria, quella era l’unica strada. La strada era chiamataanche dai favriesi, i favroit, del tempo, la via bassa, perché in inverno la strada percorreva il letto secco della roggia. la leggenda narra che dei briganti, disertori e poco di buono che erano accampati nel bosco e la loro vedetta appollaiata su di un albero, vide una tremula luce nel bosco ed allora i briganti, vendendo una sola luce, uno spaurito viandante, decisero di tendergli  un’imboscata per derubarlo ed ucciderlo. Ma quando cercano di assalirlo notarono che il viandante non era solo ma accompagnato da due grossi e giganteschi bracchi “i brach da vardia” che  ringhiarono ferocemente e che misero in fuga i briganti, i cani erano invisibili al viandante ma paurosamente visibili ai malfattori. Ma che cosa era successo: il povero viandante, devoto alla Vergine Maria, continuava a pregarla ed a invocarla di permettergli di giungere a casa sano e salvo. La sua preghiera fu esaudita, infatti quando i briganti cercano di assalirlo gli apparvero  improvvisamente vicino questi due grossi cani simili a dei giganteschi bracchi che lo accompagnarono fino all’ingresso dell’uscio di casa del airale e poi si dileguarono nel buio della notte nella foresta della favriasca. Esiste una seconda versione che ripropone un episodio analogo ma nel periodo estivo. In questa versione i briganti cercano di aggredire il viandante ma non riescono perché intorno a lui appare uno sterminato gregge di grosse pecore bianche, le fèje ciaire, invisibili al viandante ma visibile ai briganti. Dell’evento miracoloso o ne verrà a conoscenza diverso tempo dopo quando un suo parente sente il racconto per bocca di uno dei manigoldi: “Avevamo avvistato un viandante solitario che proveniva da Torino in una notte buia, rischiarata di tanto in tanto dai lampi di un temporale vicino. Quando ci siamo avvicinati ci siamo accorti che non era solo ma aveva tutto intorno uno sterminato gregge che lo proteggeva, un gregge composto da grandi pecore bianche.” La simbologia è evidente le pecore sono le anime delle persone che si lasciano guidare dal Buon Pastore, e forse la storia ci insegna che anche questi animali docili e molti intelligenti sono più forti della bieca arroganza dei briganti.

Favria, 10.04.2014  Giorgio Cortese

 

Ritengo che le energie morali che ogni giorno la nostra amata Patria attinge per la sua ripresa possono divenire una fonte inseribile se attinte e alimentate dal sano entusiasmo dei giovani