Res gestae favriesi: ‘I brach da vardia o le fèje ciaire

Per gli antichi Celti il cane era un  animale molto importante, soprattutto per la guardia, per l’utilizzo nella e nel combattimento. Nel periodo della colonizzazione romana,  Arriano cita che nella Gallia ormai romanizzata i Celti portavano con sé i propri cani agghindati di fiori ai banchetti che seguivano i sacrifici dedicati a Diana cacciatrice. Questa riconoscenza verso il cane ed in particolar modo al bracco si ritrova in una antica leggenda favriese, tramandata oralmente. Mi suocero, che ha novantanni mi ha raccontato cosa gli narrava suo nonno, che a sua volta aveva ricevuto il racconto da un altro anziano della famiglia. La storia narra di favriot che in una fredda notte ritornava da Torino, a piedi dopo aver venduto i suoi prodotti. Allora non esistevano i mezzi pubblici e anche i calesse o i biroch erano un lusso di pochi. Il nostro viandante camminava nella foresta del bosco della Favriasca, che allora era un’immensa distesa di querce e frassini. La campagna era deserta, si sentiva solo lontano l’ululato del lupo ed il verso dei rapaci notturni, ed il passo del viandante era rischiarato dalla luna e da una tremula lampada ad olio tenuta in mano. Nessuno si avventurava di notte in quelle zona frequentata, si diceva, da disertori che erano divenuti briganti, e per arrivare all’airale, la cascina vicino a Favria, quella era l’unica strada. La strada era chiamataanche dai favriesi, i favroit, del tempo, la via bassa, perché in inverno la strada percorreva il letto secco della roggia. la leggenda narra che dei briganti, disertori e poco di buono che erano accampati nel bosco e la loro vedetta appollaiata su di un albero, vide una tremula luce nel bosco ed allora i briganti, vendendo una sola luce, uno spaurito viandante, decisero di tendergli  un’imboscata per derubarlo ed ucciderlo. Ma quando cercano di assalirlo notarono che il viandante non era solo ma accompagnato da due grossi e giganteschi bracchi “i brach da vardia” che  ringhiarono ferocemente e che misero in fuga i briganti, i cani erano invisibili al viandante ma paurosamente visibili ai malfattori. Ma che cosa era successo: il povero viandante, devoto alla Vergine Maria, continuava a pregarla ed a invocarla di permettergli di giungere a casa sano e salvo. La sua preghiera fu esaudita, infatti quando i briganti cercano di assalirlo gli apparvero  improvvisamente vicino questi due grossi cani simili a dei giganteschi bracchi che lo accompagnarono fino all’ingresso dell’uscio di casa del airale e poi si dileguarono nel buio della notte nella foresta della favriasca. Esiste una seconda versione che ripropone un episodio analogo ma nel periodo estivo. In questa versione i briganti cercano di aggredire il viandante ma non riescono perché intorno a lui appare uno sterminato gregge di grosse pecore bianche, le fèje ciaire, invisibili al viandante ma visibile ai briganti. Dell’evento miracoloso o ne verrà a conoscenza diverso tempo dopo quando un suo parente sente il racconto per bocca di uno dei manigoldi: “Avevamo avvistato un viandante solitario che proveniva da Torino in una notte buia, rischiarata di tanto in tanto dai lampi di un temporale vicino. Quando ci siamo avvicinati ci siamo accorti che non era solo ma aveva tutto intorno uno sterminato gregge che lo proteggeva, un gregge composto da grandi pecore bianche.” La simbologia è evidente le pecore sono le anime delle persone che si lasciano guidare dal Buon Pastore, e forse la storia ci insegna che anche questi animali docili e molti intelligenti sono più forti della bieca arroganza dei briganti.

Favria, 10.04.2014  Giorgio Cortese

 

Ritengo che le energie morali che ogni giorno la nostra amata Patria attinge per la sua ripresa possono divenire una fonte inseribile se attinte e alimentate dal sano entusiasmo dei giovani

 

Perché Donare?

Una delle più alte forme di solidarietà umana è la donazione di sangue

Significa dire con i fatti che la vita di chi sta soffrendo ci sta a cuore. Il sangue non si può creare nei laboratori, l'unico laboratorio che lo produce è il corpo umano, la sua assenza è incompatibile con la vita. Indispensabile nei servizi di primo soccorso, in chirurgia, nella cura di alcune malattie, tra le quali quelle oncologiche, nei trapianti di organi e nei servizi di medicina che curano varie forme di anemia. Tutti domani potremmo essere coinvolti, più o meno direttamente, nella necessità di ricevere sangue, e sangue sicuro.Per tutelare al meglio la salute del ricevente la donazione di sangue deve essere effettuata da donatore che abbia le seguenti caratteristiche: periodico, volontario, anonimo, non retribuito e consapevole, con questo si assicura anche uno stretto monitoraggio del buon stato di salute del donatore. Ti aspettiamo mercoledì 16 aprile dalle ore 8 alle ore 11,30 a Favria, cortile interno del Comune. Per darti un miglior servizio e per  cercare di ridurre i tempi di attesa sarebbe gradita una tua telelefonata, sms, o messaggio, per indicare a quale orario avresti voglia di venire a donare. Grazie mille della collaborazione.

Favria, 11.04.2014   Giorgio Cortese

 

Nella vita la passione mi spinge avanti, la tenacia mi sostiene, le quotidiane amarezze mi tonificano ma soddisfazione di aver fatto fino in fondo il mio dovere mi genera una gioia nell’animo impagabile

 

Res Gestae favriesi da esperto montanaro a Vittone

In Italia pare che  269 persone hanno il  cognome Vittone e pare che sia in classifica il  12 799 più diffuso nella nostra Patria. Vittone deriva dal piemontese Viton  o vit con il significato di montanaro, che a sua volta deriva dal celtico guik e dal romano vicus villaggio. Nella tarda età imperiale, IV secolo d. C., appare il cognome personale latino Vitus, probabilmente nel significato cristiano di “vita spirituale, eterna” ma riflette anche il nome longobardico Wido e il francone Wito o Witto,  con le forme Widone, Witone o Wittone. Una delle ipotesi è che il  nome longobardo si sia sovrapposto a quello latino. Ma la storia dei cognomi a volte segue significati originari e processi di formazione diversi, infatti troviamo dei  toponimi, che potrebbero essere alla base del cognome come Vito d'Asio (UD), Vietti (TO) o Settimo Vittone. Settimo Vittone deriva da septimum lapidem miliarium, che potrebbe significare la presenza di una una mutationes, una "stazione di servizio", attrezzata per accogliere i viaggiatori in possesso di regolare documentazione rilasciata dall'amministrazione centrale romana. In seguito nel medioevo venne aggiunto Vittone, per significare la presenza di guide di montagna esperte.Molto improbabile, anche se da qualche  ricercatore suggerito che Vittone derivi dal cognome latino Vitellius. Nel  Nord-Ovest, in Piemonte la radice più plausibile che derivi dalla voce regionale antica vitun "montanaro, guida alpina, scorta in passi di montagna. Anche se il piemontese Viton potrebbe essere una contrazione del nome degli antichi Ictumuli o Victumuli ricordati da Plinio, popolazioni gallo-liguri che erano gli antichi abitanti autoctoni della nostra regione Canavesana.

Favria, 12.04.2014             Giorgio Cortese

 

Nella vita di ogni giorno devo sempre cercare di coltivate pensieri positivi, perchè l’entusiamo non può  attecchire nell’animo timoroso

 

Requiem di un’attività commerciale

La desertificazione  commerciale della nostre Comunità,  è sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi anni, ho assistito, con animo sgomento, ad una progressione impressionante a vetrine vuote, saracinesche che si abbassano, luci che si spengono.  Viviamo in Comunità sempre di più marginali e purtroppo sempre più povere di  offerte commerciali, ricreative e culturali, e ben vengano le encomiabili iniziative commerciali e culturali per mantenere vivo il tessuto delle nostre Comunità, insomma tutto serve e tutto concorre al bene, che è poi il nostro Bene Comune. Purtroppo, queste continue chiusure sono gli effetti deleteri della globalizzazione selvaggia che sta creando un modello economico attuale che  ha messo al primo posto le speculazioni finanziarie. “Gli idoli” della globalizzazione vogliono rubarci la dignità. La gloriosa  Ferramenta Beda, fondata nel lontano 1915, pensate che in quel famoso anno, novantanove anno fa Einstein pubblica la teoria della relatività generale,  viene   creato in America il chiodo, giubbino di pelle usato dagli aviatori per proteggersi dal freddo e il 26 aprile l’Italia firma il Patto di Londra con la Triplice Intesa e poi il  24 maggio la nostra Patria dichiara guerra all'Impero Asburgico entrando così nella carneficina della Prima guerra mondiale. Ma proprio in quell’anno Beda Bernardo già titolare di un laboratorio di fabbro dove adesso c’è la locale Banca Sella,  sposa Savio Ida di Canischio e con la consorte apre il negozio in via Marconi a Favria, allora cascina della famiglia omonima. Pensate che nel 1920, la Prima guerra mondiale è passata, il signor Beda faceva arrivare per la sua attività di fabbro fabbricante di ringhiere dei treni di ferro e possedeva due camion per servire  la vasta cliente che andava dalla prima cintura di Torino su fino a Ceresole Reale.  Poi l’attività passa alla figlia Maria che la conduce con gli altri famigliari e il marito Antonio, successivamente arriviamo alla terza generazione con i figli  Donatella e Massimo, ma dopo 99 di onorato servizio  causa globalizzaione è morta una storia commerciale, dalle lunghe radici, della nostra Comunità. La chiusura di questa attività è simile all’abbattimento di una quercia centenaria, un pezzo di storia di ricordi di aneddoti se ne va con la cessazione, ma vivo in noi favriesi rimane il ricordo della memoria che non deve andare dispersa. In questo momento mi viene da pensare che la globalizzazione attuale è simile a quanto scritto dal grande Tolstoj in un suo scritto minore intitolato “Che fare?” un’immagine vivace e provocatoria che si adatta allo stato d’animo che ho provato nel leggere il toccante foglio che annunciava la chiusura quasi centenaria di un’attivotà: “Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e desidero di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendendo dalla sua schiena.” Leggendo quelle sue righe, il pensiero va spontaneamente a tutte le forme di sfruttamento che l'umanità nella sua storia ha perpetrato. Dalla schiavitù fino al colonialismo e alle moderne prevaricazioni delle multinazionali e a certi esiti della stessa globalizzazione scorre un filo nero di sopraffazioni e di abusi. Spesso questi crimini sono stati compiuti anche da chi aveva la bocca piena di parole che andavano nel senso opposto, come socialismo, solidarismo, fraternità, uguaglianza. Ma, senza ricorrere a questi fenomeni storici generali, un po' tutti in qualche occasione della vita ci siamo seduti sulla schiena di un altro approfittando di lui. Quante volte  vediamo delle attività aperte da generazioni che chiudono non per incapacità manageriale ma perché la con la globalizzzaione hanno mantenuto la loro dignità e onestà e non hanno fatto i furbetti con i clienti. Un esame di coscienza sulle mie relazioni sociali diventa, quindi, sempre necessario per essere eventualmente pronto a scendere dalla schiena del prossimo togliendo per quanto possibile la centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocando al centro la persona e il bene comune.  Si è vero perdiamo un pezzo di storia ma almeno non lasciamolo cadere nell’oblio magari p dedicando la via al nome del fondatore delle ferramenta oppure apponendo una targa per ricordare l’attività svolta, questo magari sarebbe già qualcosa

Favria, 13.04.2014    Giorgio Cortese

 

Tenir le coup, tenere duro e rouler les mècaniques, mostrare i muscoli

 

Da vera matrimoniale ad Agnolot

Gli Agnolotti sono un primo piatto tradizionale delle grandi festività del passato, già in voga  all’inizio del 1800. Gli agnolotti sono una pasta fresca con ripieno, che si distingue per ricchezza, varietà e sapidità a seconda delle zone di produzione. Gli agnolotti hanno una caratteristica forma quadrata. La sfoglia è ottenuta con farina di frumento,uova, sale ed eventualmente Grana Padano. Il ripieno contiene arrosto magro di vitello, uova, Grana Padano, sale pepe, noce moscata ed eventualmente spinaci o erbette o cavoli. Altre ricette, invece, prevedono per il ripieno un arrosto misto composto da maiale, da bovino e da coniglio o, talvolta, da pollo. In alcune località, l'arrosto è sostituito da un brasato di solo manzo.  Da bambino mi ricordo che mia nonna preparava il ripieno composto da un trito di arrosto di carne bovina e suina e prosciutto a cui si aggiungeva uova, formaggio e Grana Padano grattugiato, una vera bomba.  L'etimologia di Agnôlot è incerta: secondo alcuni deriva dal parmense  anolino", a causa della dimensione simile ad una vera matrimoniale,   secondo altri il nome deriva da un cuoco del Monferrato, Angelotu,  Angiolino, il suo piatto,"Piat d'Angelot", a poco a poco sarebbe diventato "Agnolot".

Favria, 14.04.2014      Giorgio Cortese

 

Certe persone credono dio sapere sempre  tutto,   prevaricando l'altrui pensiero!!

 I quotidiani farlingotti

Il suono è allegro, il significato potrebbe ancora reggere i tempi, ma come parola si è persa da un paio di secoli: già all'inizio dell'Ottocento veniva  qualificato come un arcaismo. Ebbene, farlingotto significa “quegli che nel parlare mescola e confonde varie lingue, storpiandole”. La definizione è della Crusca, ripresa poi, identica, da tutti i vocabolari che contengono questa voce. La Crusca al farlingotto dà del “barbaro”, che significa “straniero, di diverso linguaggio”.Colui che non favella in alcuna delle lingua conosciuto o almenon non la usa correttamente.  Insomma: di farlingotti in giro, di questi tempi, ce n'è tanti; sono coloro che per ignoranza, noncuranza o per darsi lustro usano inutilmente o forzatamente parole straniere pur in presenza di un perfetto corrispettivo italiano. Quanto all'etimologia, l'unica convincente è riferita dal Cardinali-Borrelli: “dal latino varie, variamente, linguatus, loquace”.

Favria,  14.04.2014     Giorgio Cortese

 Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero e in  ogni attività la passione toglie gran parte della difficoltà