Buona Pasqua!

Certo l’uovo di pasqua può riservare sorprese brutte o belle, ma il nostro cuore conserva solo affetto e stima e li lascia sbocciare in questa primavera per gli amici! E allora  Buona Pasqua  a chi ancora spera, a chi crede che il domani  sarà migliore, a a chi non lascia infrangere i sogni, a chi porta la Pace nel cuore. Ma ricordiamo che innsieme alle campane, sciogliamo nei nostri cuori tutti i nodi e sia davvero una S. Pasqua di serenità e riconciliazione per tutti. Buona Pasqua! Indipendentemente dalla propria credo religioso, ritengo che l'idea di "risorgere a nuova vita" sia un auspicio per tutti noi, per riscoprire ogni giorno ciò che d'importante abbiamo e talvolta tralasciamo, per rinnovare i nostri occhi alle possibilità che questo cammino ci offre anche quando la strada sembra a senso unico, per metterci in gioco e sentirci vincitori della partita. Questo, per me, è l'augurio più bello!

Buona Pasqua a tutti! 

Giorgio Cortese

 

Per andare avanti  bisogna sempre esaltare il gruppo, spaventare l'avversario, propiziare la vittoria

 

Riflessioni sulla Pasqua

Nella storia e nella vita quotidiana si sperimentano di continuo forme di cambiamento e di risurrezione. Si può risorgere dall’abisso del male in cui si cade, secondo la descrizione manzoniana della vicenda dell’Innominato. Ritengo che certe persone che hanno condotto  una vita malvagia possono provare il massimo della disperazione, al punto di non credere nella misericordia divina che perdona anche il male più grande, eppure il solo abbandonarsi a Dio compie il miracolo di una rigenerazione che mi stupisce sempre. Si può risorgere dai mali collettivi, come tante volte è avvenuto nella storia di Stati e nazioni che si sono ricostruiti dopo orribili guerre e stragi che violavano la legge eterna di Dio, ad esempio nell’Europa del XX secolo che ha dovuto liberarsi da totalitarismo, razzismo, antisemitismo, i peggiori frutti di una ragione che voleva togliere Dio dalla terra e dal cielo. La sofferenza di Gesù sul Golgota è capace di colmare in ogni tempo l’abisso del male, e la luce della risurrezione in questo giorno di Pasqua sta lì a garantire una nuova nascita, purché l’uomo lo desideri davvero, accetti l’offerta di Dio, cambi e si converta intimamente nel suo cuore. La la risurrezione è dentro la nostra stessa natura umana e dentro gli eventi storici più di quanto si potrebbe pensare. I martiri della fede già sentono in cuor loro la risurrezione come traguardo delle proprie sofferenze. Le vittime delle persecuzioni e delle violenze dovunque si trovino nel mondo credono nella risurrezione e lottano per una vita intessuta di giustizia che cancelli violenza e sfruttamento e onori la legge naturale anche su questa terra. Tutti i poveri che patiscono, e aspettano conforto materiale e spirituale per non perdere la speranza, hanno in Gesù risorto la testimonianza che la loro fede non sarà delusa. E poi nel discorso della Montagna, la terra si unisce al cielo, quando Gesù parlando al presente e al futuro richiama giustizia e purezza di cuore, sofferenza e amore per il prossimo, sacrificio e amore verso Dio, come strumenti e gradini che ci rendono pienamente umani, ci conducono dove vivremo la pienezza dell’essere. Questo anelito di  risurrezione mi chiede di liberarmi ogni giorno dalla pigrizia nel girare la testa  dall’altra parte, dalla banalità del male che mi circonda e si insinua dentro di me, come un letale veleno. quasi senza che me ne accorgia. Questo avviene ogni giorno nel quotidiano dove sono immerso in una palude che mi avvolge e mi umilia, perché è satura di sguardi opachi, di compiacenze e morbosità, intessuta di una concezione di una moralità e di una vita misera che guarda in basso e non ha il coraggio di alzare gli occhi al cielo. Purtroppo se ci pieghiamo in noi stessi, coltiviamo le miserie dell’uomo e ci perdiamo in esse con il forte rischio di  non saperci più rialzare, rimane nella solitudine, in un orizzonte che non si congiunge più con il cielo.  Credere nella risurrezione vuole dire concepire l’uomo come un essere che nasce per un destino grande, che può cadere, fallire, peccare, ma avrà sempre davanti a sé chi lo risolleva, lo fa nascere di nuovo, soprattutto gli chiede di non cedere alla sfiducia, di non smettere mai di guardare in alto perché Dio è vicino a noi ed «eterna è la sua misericordia

Buona Pasqua a TUTTI!!!

Favria  20.04.2014                    Giorgio Cortese

 

Un glicine.

Mattiniero arriva il tenero sole d’aprile, dov’è fiorisce il glicine in fiore. Il glicine  per i cinesi ed i giapponesi rappresenta l'amicizia, tenera e reciproca, si narra, infatti, che gli Imperatori giapponesi, durante i lunghi viaggi di rappresentanza, portassero con sé bonsai di glicine e quando giungevano in luoghi stranieri si facevano precedere dagli uomini del seguito, che sostenevano alberelli di glicine fiorito, al fine di rendere note le proprie intenzioni, amichevoli e di riguardo, per gli abitanti di quelle terre. Il glicine, grappoli impalpabili di cielo sciolto in odorose sensazioni nei refoli di vento. Glicine che mi appari appoggiato al muro nel mio cammino mattutino come un attimo sospeso  sottratto al tempo del quotidiano. Glicine pura essenza di una magia d'un odore con i Tuoi petali eterei che paiono appesi ad un ricordo che ha quella dolcezza che mi sorprende e riempie il mio animo di stupore e felicità. Glicine che significhi nel linguaggio dei fiori il segno di disponibilità che è anche prova di amicizia. Penso che dopo la fioritura del glicine restano solo le foglie che stendono  la loro ombra sulle memorie di questa strada oggi più vuota di ieri, per i profumi svaniti assieme ai pensieri. Rivedo i tralci penduli del glicine galleggiare come sospesi nello spazio sopra il muro di cinta. Muro di cinta che mi ricorda degli angoli segreti del passato, ricordi protetti di memorie vissute. Adesso se chiudo gli occhi rivedo le precedenti fioriture e i colori delicati farsi forti  e infiammarsi nei rossi del tramonto e attenuarsi, diafani, nella luce dell’alba.

Favria,  21.04.2014  Giorgio Cortese

 

Quello che vedo e sento mi pare solo uno  scialo di libertà esteriore, che sottilmente circuisce in  nuove schiavitù  con lacci che cercano di addormentare e legare le personali coscienze

 

Da maniscalco a maresciallo.

Il lemma maresciallo, presente fin dal 1427 nella lingua e nei documenti italiani. Discende dal francese "Marechal", grado militare e dignitario dello Stato creato nel 1185 da Filippo Augusto di Francia, assegnato anche al responsabile delle scuderie reali. Ottenuto dall'unione di due parole dell’alto tedesco antico: “mahrskalk, ovvero servo, skalk, addetto ai cavalli,mahr. Dunque, incarico ben importante ed umile insieme,  il maniscalco, altra parola che lega bene con maresciallo, ha infatti la grande responsabilità della ferratura del cavallo di un signore o dei cavalli di uno squadrone. Infatti il maréchal nell’antica Francia era un dignitario della corte medievale incaricato di sovrintendere alle scuderie del re. Il titolo crebbe in reputazione divenendo il maresciallo un membro fidato della corte. Insomma il lemma Maresciallo acquisisce  una duplice valenza sia  come grado o qualifica di vertice della gerarchia oppure grado dei Sottufficiali della cavalleria "corrispondente al Sergente delle Armi a piedi".  Un "Maresciallo d'Italia" era inteso quindi come "Palafreniere del Re" oppure Scudiero delle fortune militari della Nazione e quindi massimo grado raggiungibile. Secondo soltanto al "Capitano Generale" grado che spettava al Re, in Italia resta in uso a fasi alterne fino alla fine della seconda Guerra Mondiale. Ma già nell’ordinamento della cavalleria piemontese cinquecentesca di Emanuele Filiberto esistevano le figure del "Marechal de Logis" poi tradotto in "Maresciallo d'Alloggio". Sostituito, successivamente da "Furiere", introdotto nell'Esercito piemontese dal francese "fourrier", addetto al foraggio ma anche "precursore", cioè colui che giungendo per primo in un luogo organizza la sistemazione logistica cioè di alloggio per il reparto. La categoria dei Marescialli come Sottufficiali rientra nell'Esercito italiano nel 1903 sostituendo i "Furieri" e ordinandosi in tre livelli di Compagnia di Battaglione e di Reggimento equivalenti a Maresciallo Ordinario, Maresciallo Capo e Maresciallo Maggiore con spiccato orientamento logistico-amministrativo. Il grado successivamente rimaneggiato e ridenominato si stabilizza comunque al di sopra dei "sergenti". La categoria otterrà nel 1916 un grado nuovo, ed unico nel suo genere, l'"Aiutante di Battaglia". Sganciato dalla progressione d'anzianità, si accedeva al nuovo grado per meriti acquisiti in combattimento, indipendentemente dal grado di provenienza. La necessità di tale "invenzione" stava nella necessità di colmare i paurosi vuoti apertisi nelle fila degli Ufficiali Subalterni dopo i primi mesi di guerra di trincea, ed immettere rapidamente nuovi comandanti di plotone con esperienza di combattimento. Non posso non associare la figura del Maresciallo al film “I tartassati” del 1959, che rivedo sempre volentieri con Totò e Aldo Fabrizi. Nel film il cavaliere  Pezzella possiede e gestisce un lussuoso negozio di abbigliamento molto ben avviato. Per sua natura però non ama e non ritiene giusto pagare le tasse e per questo si avvale di un consulente fiscale per riuscire ad evaderle con maggiore tranquillità. Purtroppo per il cavalier Pezzella, Totò, arriva una verifica fiscale nella persona del maresciallo Topponi, Fabrizi. Il film è del 1959 ma allora come adesso ci sono persone che rubano per avidità e cercano di evadere il fisco con delle cialtronerie. Meno male che adesso come allora ci sono sempre dei marescialli Topponi che  con modi sorvegliano su queste evasioni.

Favria, 22.04.2014       Giorgio Cortese

 

Certi  politici hanno una bella faccia tosta, perché raramente hanno preteso di inventare valori morali, ma hanno sempre giustificato e rafforzato quelli immorali.

 

I Libri, storie di gente come me

Ho un ricordo molto vivido del momento in cui ho iniziato a leggere da solo,  mentre non ricordo affatto il processo di apprendimento che deve naturalmente averlo preceduto. Ma invece mi vedo chiaramente con un libro in mano, la sera nel letto, a leggerlo da solo per la prima volta e risento ancora la sensazione che ho provato: improvvisamente, mi è sembrato di avere le ali e di poter volare, di poter uscire dal mio corpo e dalla mia stanza e di poter andare ovunque volessi, senza limiti. Mi sembrò che si aprissero infinite possibilità di fronte a me, innumerevoli vite da percorrere e rivivere, misteriosi luoghi da esplorare. Era un senso mai provato fino ad allora di libertà infinita. Leggendo, mi sentivo senza peso, senza corpo, senza legami. Non dovevo più supplicare che gli altri mi leggessero qualcosa e dipendere dalle loro scelte. Oggi il  libro è anche un oggetto che deve soddisfare, incuriosire, attrarre il lettore. Deve piacere anche per come si presenta, prima ancora di ciò che contiene: è questo il piacere di chi ama i libri. Vuole che siano belli da vedere e da toccare. La veste grafica di un libro non può essere causale, perché la lettura interessa vari sensi, principalmente quello del tatto e della vista. Così è necessario che le carte siano quelle giuste, di un certo tipo, in modo da creare un fascino particolare, una sorta di identità. Ma  nella vita di ogni giorno lampeggiano tutte insime centinaia di immagini intorno a me, si moltiplicano le voci, si affollano le informazioni: tutto rimbalza nella mia testa ed è sempre più difficile quell’esercizio pecu¬liare dell’uomo libero che è l’attenzione. In ogni ambito, anche in quello non determinante, ma non certo irrilevante, dei titoli delle opere letterarie e dei libri in generale. Nella superproduzione editoriale dei nostri giorni per quanto questo biglietto di presentazione possa essere ben trovato suggestivo, poetico o brutale come un ceffone, per quanto possa essere invitante non è facile davvero individuarlo e ricordarsene. Devo amaramente ammettere che se mi chiedete i libri che mi hanno appassionato nella mia adolescenza rispondo senza esitare, se mi si chiedete i titoli dei libri che ho letto negli ultimi due anni, a parte qualche classico e i più recenti, comincio a balbettare come uno studente impreparato di fronte a un esaminatore, nella selva dei titoli spesso finisco per perdermi oppure, altrettanto spesso, per non farci più caso. Ma se mi fermo un attimo e raccolgo le poche idee mi viene da pensare che ogni libro, ogni vicenda narrata, dall’epica alle fiabe al romanzo contemporaneo, non è una storia di gente con problemi? Ogni protagonista dei racconti è al centro o, per meglio dire, nella rete di un problema,   ed il libro mi  narra il suo essere alle prese con qualcosa che lo assedia e lo opprime, il suo venirne fuori o il suo soccombere. Il libro che leggo, ovunque si ambienti, di chiunque tratti, non può che essere anche il mio libro, o semplicemente, il libro della vita una  boccata d’aria fresca una magnifica esperienza individuale che nessuno mi può sottrarre. Ogni tanto quando leggo un libro mi viene da pensare che la libertà, si può perdere, non dura illimitatamente. Anche quella che dipende solo da me. Perché sono fatto anche degli occhi, che possono traditmi, anche delle forze, che possono lasciarmi, ma il libro, con la libertà che consente, mi cade dalle mani.

Favria, 23 Aprile,  Giorgio Cortese