Sento dire ogni tanto che che ciò che conta è vivere, ma io preferisco anche leggere . La vita è fatta di sequenze di interpretazioni o di letture tramite le quali un interprete naturale reperisce segni vitali,vale a dire contesti e ambienti favorevoli alla sua sopravvivenza e riproduzione. E poi il solo modo di leggere è quello di rileggere.

 

23 San Giors. a  San Giors fa rende i tort.

 

Hic Rhodus, Hic Salta, qui siamo a Rodi, e qui salta!.

Ventisette anni fa sono stato a Rodi, proprio là, al porto, mi sono reso conto di quando doveva essere grande la statua del Colosso, una delle sette meraviglie del mondo, costruita da Carete di Lindo su commissione dei Rodiesi per celebrare il dio Elios. Distrutta da un terremoto la statua crollò in mare e là rimase per molto tempo fino a quando Rodi venne conquistata dagli arabi che la smantellarono in blocchi di cui si sono poi perse le tracce. Era una statua imponente, e  questa imponenza ce la possiamo immaginare se dove ora sorgono le colonne di ingresso al porto, immaginiamo i piedi della statua.  Hic Rhodus, hic salta: qui è Rodi, salta qui. Traduzione latina della frase rivolta, in una favola di Esopo, a un millantatore che si vantava di aver fatto uno straordinario salto nell'isola di Rodi. Qui di seguito trascrivo liberamente una favola di Esopo: “Un atleta del pentathlon, continuamente preso in giro dai suoi concittadini per la sua poca efficienza, un giorno decise di andarsene all'estero. Dopo un certo tempo, ritornato in patria, raccontava, vantandosi molto, che aveva primeggiato per imprese sportive anche in altre città, ma che a Rodi aveva spiccato un salto tale, la cui misura nessun vincitore olimpico aveva mai raggiunta; e di ciò affermava che avrebbe potuto esibire per testimoni quelli che ne erano stati spettatori, se mai loro che lo stavano ascoltando si fossero là recati. Ma uno dei presenti, tagliando corto, gli disse: "Amico bello, ma se quello che tu dici è vero, non hai bisogno di testimoni: fai conto che qui sia Rodi, e qui tu salta!". La favola mostra che per i fatti la cui  dimostrazione è a portata di mano, ogni discorso è superfluo

Favria, 24.04.4014        Giorgio Cortese

 

I libri, loro non mi abbandonano mai.  Io sicuramente li abbandono di tanto in tanto, i libri, magari li trascuro anche, loro invece non  mi voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro mi aspettano sullo scaffale o sul comodino da notte in attesa di essere letti fino alla fine.

 

Libertà tra gli interstizi.

Oggigiorno la parola libertà  viene usata spesso, ma molte volte mi pare che perda il suo vero significato! Ritengo che esistano tre modelli di libertà. Il primo modello di libertà è quello forse più conosciuto, e quello che quasi tutti si riferiscono tutti quando parlano di libertà. Ma essere liberi non si esaurisce e non coincide necessariamente con la libertà di fare qualunque cosa mi venga in mente. Esistono infatti altre due forme importantissime di libertà che sono:”la libertà da”  e la 'libertà per”. La “libertà da” indica tra le altre cose la ricerca all’emancipazione da costrizioni di carattere economico che molte volte limita le nostre umane capacità potenziali. Per questo motivo essa rappresenta un tema caro a coloro che lottano contro le diseguaglianze, per l’accesso ai diritti degli ultimi.  Il concetto di “libertà da”, si può anche estendere al problema della libertà da forme di dipendenza in cui anche persone che non hanno vin¬coli economici o di accesso ai diritti possono incorrere. Oltre a quelle più tradizionali, alcool, tossicodipendenze, esistono oggi forme nuove di dipendenza che sono subdole ed insidiose, come la ludopatia, ovvero dipendenza dal gioco, e la dipendenza dalla rete, ovvero l’incapacità di disconnetterci dal computer o dallo cellulare. la “liberta per” intendo la decisione volontaria e, appunto, liberamente scelta di    dedicare le proprie energie a un obiettivo ideale in grado di mobilitarmi nel mondo del volontariato e nel sociale. In questa società, per alcuni aspetti, sempre di più inumana la “libertà per”  è il vero segreto della felicità, infatti non sono personalmente felice solo se non cerco la personale felicità  fine a se stessa, ma trovo la mia felicità lungo la strada del quotidiano cammino, quando dedico la mia vita  a una causa degna di essere perseguita. Questa riflessione mi fa pensare che il benessere e il progresso della società non è solo  nell’espansione lineare e illimitata della “libertà di”, ovvero più beni di consumo, più canali televisivi, più connessione, più strumenti fruibili in rete. In realtà la “libertà di” è una libertà  senza controllo che prima inebria ma poi porta alla limitazione della “libertà da” quando appunto la cornucopia delle possibilità a disposizione crea delle dipendenze. Questa libertà può impedirmi di accedere alla   “libertà per” attraverso l’abbondanza di beni che mi confortano, ma non mi stimolano a intraprendere percorsi più difficili e più produttivi. Le tre libertà sopra elencate sono sempre attuali se si pensa al funzionamento dei mercati finanziari. C’è stata fino ad oggi la falsa illusione che il progresso coincida con l’estensione incontrollata della “libertà di”, e questo è molto pericoloso. Questa falsità ha portato ad ampliare sempre più la diffusione e l’uso incontrollato dei derivati finanziari, senza fare nessun trattato di non proliferazione. Prodotti finanziari sempre di più complessi ed imperfetti che sono sfuggiti di mano a li ideatori, con il rsultati sociali ed occupazionali che ancora adesso paghiamo, mettendo una grossa ipoteca del benessere delle future generazioni.  Il mercato finanziario che ha portato alla crisi economico sociale, si può paragonare ad un industria automobilistica che progetta e costruisce per la circolazione stradale macchine sempre più potenti abolendo i semafori ed i limiti di velocità, inanto il flusso sulla strada si autoregola.  E invece nelle fessure, nelle pieghe della società, e di me stesso, spesso si innescano i processi più innovativi e stimolanti: microeventi che scavano percorsi sotterranei rompendo certezze e regalando prospettive nuove.  Ogni giorno considerare sempre le piccole cose come una prefigurazione delle grandi, perché le «piccole cose contengono in sé una dimensione che le rende non meno significative di quelle grandi. E queste cose piccole, accessibili, quotidiane, sono probabilmente i nostri veri spazi di responsabilità, di invenzione, di libertà. Solo cosi  interiorizzano il principio della  “libertà per” ad aver colto il senso più profondo del concetto di libertà  riesco a  realizzare la maggiore felicità.

Favria, 25 Aprile  Giorgio Cortese

 

La libertà è, infatti, un atteggiamento interiore, una scelta di vita con una serie di valori e di contenuti, è cercare un senso a sé e alla società e non un frenetico agitarsi. Più che fine a se stessa, la libertà è una qualità morale che si conquista e perfeziona ogni giorno. I veri uomini liberi non sono i libertini né i libertari parolai

 

25 San Marc

A San Marc fa sciodi ii bigatt. A San Marc ii bigatt an prucession

 

Da montone a rubinetto

Rubinétto,  deriva dal lemma francese  robinet, diminutivo. del nome proprio Robin, che si dava popolarmente ai montoni: le chiavette infatti avevano spesso la forma di una testa di montone. In Francia la chiavetta che regolava la cannella dell'acqua era spesso ornata da una testa di animale  e il montone era il più frequente come fregio e cominciò a essere chiamata robinet, cioè 'piccolo montone'. Alla fine dellOttocento il termine è italianizzato in robinetto e quindi rubinetto. precedentemente i congegni erano denominati 'chiavette' a sottolinearne la funzione. Non mancano definizioni regionali, riferite in particolar modo alle bocche da fontana, che in molti casi presentano dei veri rubinetti per impedire lo spreco di acqua potabile. Oggi il termine rubinetto viene utilizzato in maniera generica o per indicare un prodotto con le doppie maniglie per l'erogazione dell'acqua, oramai quasi del tutto rimpiazzati dai miscelatori monocomando.I più antichi rubinetti erano del tipo a maschio e sono attestati fin dall'epoca romana. Il rubinetto a vite o vitone è attribuito all'inglese Thomas Grill, che l'avrebbe inventato agli inizi dell'Ottocento. Dagli anni settanta del Novecento è stato messo a punto il miscelatore a dischi ceramici, benché i primi esperimenti di miscelazione siano più antichi.

Favria, 29.04.2014      Giorgio Cortese

 

Meschino  permaloso insomma sono sempre paturniosi

Ci sono proprio delle persone meschine e permalose o anche paturniose che patiscono come dei bambini dell’asilo perché non ho messo il “Mi Piace” oppure ho commentato ottimamente dei prodotti di altre attività concorrenti. Permaloso deriva. della locuzione, aversene per male. Insomma persone facile ad offendersi, che, per eccessivo amor proprio, si risentono e s’indispettiscono di atti e parole che altri non considererebbero offensivi, e che per lo più non sono tali nelle intenzioni. Queste persone non si  sa come parlargli perchè andando avanti negli anni peggiorano. Da notare che esiste anche la parola “permale”, sempre nel senso di risentimento. Meschino dall’arabo miskin, povero, indigente. “Meschino me!, o me infelice!, misero me!” Guerin Meschino, protagonista dell’omonimo romanzo cavalleresco del cantastorie fiorentino Andrea da Barberino,  1370 -   1430. Insomma degli inguaribili paturniosi, infatti avere le “Paturnie” deriva da “patire, pati, in latino,  le saturnie”, le influenze di Saturno. Questo povero pianeta ha sempre avuto una fama negativa, sin dall’antichità. Veniva guardato con diffidenza da saggi e popolani, e le vecchie superstizioni lo consideravano colpevole di disastri naturali, sbalzi d’umore, depressioni, scatti di follia,  pericoli improvvisi, eccessi comportamentali,   nei Saturnali latini si scatenavano orge e baccanali, che non sempre avevano un lieto fine. Certo questi personaggi sono antipatici piantagrane, insomma. parzialmente innocui. Quello che temo nella vita di ogni giorno sono i  voltagabbana, quelli sempre pronti a riposizionarsi per non perdere la poltroncina. Quello che manca oggi è la necessità di  verità più che di falsa diplomazia, insomma chiamare sempre tutto con il suo vero termine.

Favria,   28.04.2014     Giorgio Cortese

 

La vera esenza dell'ottimismo è quella di vedere il lato positivo delle cose, insomma ogni giorno convincermi che sarà un grande giorno, nonostante tutto. Il termine proviene dalla parola latina "optimus", che significa "ottimo". Anche se non mi capita sempre di dare un'interpretazione favorevole a tutti gli avvenimenti che mi accadono, mi rutengo sempre un inguaribile ottimista se spero che le cose si risolveranno per il meglio.

 

Res gestae favriesi: Regio Editto 29 aprile 1733

Il testo di questo Regio Decreto viene brevemente esposto nell’Ordinato del 20 maggio 1733 intitolato: Testo d’ordinato con ubidienza  all’Editto di S.R.M.  del 29 aprile concernente il nuovo Conseglio, et altri emergenti per ben pubblico in essi espressi et formar il Catasto unico. Da questo Ordinato apprendiamo che l’Editto era stato presentato ai Sindaci il 17 maggio e che avrebbe dovuto andare in vigore il 1 luglio. Ma tutti a tutti gli amministratori fu impedito  di presentarsi il 1 luglio i nella casa della Comunità di quel giorno alle ore venti “per prestare il Solito giuramento et accettare le respetive carighe” . il giuramento venne prestato il 4 luglio, il ritardo fu dovuto “alla gran pioggia e temporale” che impedirono “il radunarsi del Consiglio”. In riferimento alle disposizioni dell’Editto, il compito di formare il primo Consiglio. Con i nuovi regi requisiti, veniva affidato all’Intendente, i successivi rinnovamenti sarebbero spettati al Consiglio. Veniva ridotto il numero degli amministratori , i consiglieri passavano da otto a quattro ed un Sindaco, nell’Ordinato si proseguiva esponendo i requisiti per poter assumere tali cariche: “sollo persone abitanti nel presente luogo d’etta non minore di anni venti cinque di conosciuta probità di buon giudizio e non iddiotte e non congionte fra di loro ed altri che abbino litte, e Contabilità con la Comunità in primo e secondo grado di sanguinità, e primo d’affinità”. Il non avere vincoli di parentela tra Consiglieri e Sindaci era già previsto nel Seicento, nell’Ordinato del 27 dicembre 1650 dove un consigliere veniva sostituito in quanto cognato del Sindaco in carica. Con questo Editto la regola veniva espressa in forma precisa, e venivano inoltre specificate le regola da seguire per il rinnovamento del Consiglio. Il Sindaco veniva scelto solo tra il gruppo dei Consiglieri ogni sei mesi e la scelta doveva cadere sul Consigliere più anziano, anzianità intesa come servizio amministrativo. Ogni volta che si procedeva a rinnovare il Consiglio si doveva eleggere un nuovo Consigliere per sostituire quello nominato a Sindaco. In questo modo gli amministratori favriesi di quel periodo rimanevano in carica complessivamente sia come Consiglieri che come  Sindaci, per un massimo di due anni e mezzo, culminando la fine della loro carriera con la nomina di Sindaco, e dovevano aspettare almeno cinque anni prima di rientrare in Consiglio, infatti nell’Ordinato del 1733 viene così scritto: “chi avrà compito il Suo ufficio non potrà essere altra volta eletto per Consigliere sino spirati e trascorsi anni cinque”.  Veniva introdotto lo stipendio al sindaco come amministratore più occupato.

Favria, 29.04.2014     Giorgio Cortese

 

L’entusiamo è il propellente necessario per camminare nella vita di ogni giorno ma è sempre necessario usare sempre una buona dose di buon senso