Lentusiamo è il propellente necessario per camminare
nella vita di ogni giorno ma è sempre necessario usare sempre una buona dose di buon
senso
Pour aujourd'hui il y en a assez
La carica di Pastrengo è un'epica carica di cavalleria avvenuta
il 30 aprile 1848 a Pastrengo, nei pressi di Verona, effettuata dagli
"Squadroni da Guerra" dei carabinieri reali assegnati alla protezione personale
del Re Carlo Alberto di Savoia. Il re Carlo Alberto, si era portato tra la brigata Cuneo e
la brigata Piemonte, fu fatto segno da una nutrita scarica di fucileria austriaca,
Il maggiore Alessandro Negri di Sanfront che seguiva a distanza i movimenti del
sovrano e del suo corteo, temendo per la sua incolumità a causa della vicinanza del
nemico reagì rapidamente, d'iniziativa e senza indugio alcuno ordinando una carica, che
prese poi il nome di carica di Pastrengo che trascinò lo stesso Carlo Alberto ed il suo
corteo. La carica ruppe e mise in fuga il nemico dal colle Le Bionde. Contemporaneamente
si mosse Broglia, che mandò in supporto i Cacciatori delle Guardie, saliti da Osteria
Nuova, mentre il 1 Reggimento di Fanteria aggredì monte San Martino ed entrò a Pastrengo
dalla parte del cimitero, raggiunta al centro dalla fanteria di Vittorio Emanuele, scesa
da Monte Bolega, mentre, sulla sinistra il Federici lanciò la brigata Piemonte oltre le
Costiere, verso le posizioni austriache a Piovezzano. Insomma la carica valse a
rompere la linea nemica, composta da due battaglioni austriaci che furono costretti a
ripiegare verso Pescantina e Ponton. Certo, il Re si era spinto troppo vicino alla
prima linea unitamente al proprio imponente seguito, spostandosi da un casolare dove era
stato fino ad allora, furono sicuramente la causa iniziale del fatto d'arme. La carica dei
carabinieri reali servì quindi a proteggere l'incolumità del sovrano improvvisamente
compromessa e contribuì, in maniera determinante, al felice completamento dell'azione
militare molto più complessa in corso e in quel momento in fase di stallo per vari
motivi. Purtroppo l'improvviso vantaggio ottenuto dalle truppe piemontesi non fu
però sfruttato dal sovrano che, anziché inseguire e sbaragliare le file del nemico
scompaginate dalla carica dei carabinieri del maggiore Alessandro Negri di Sanfront, si
attestò sulle posizioni raggiunte quel giorno. Si dice che re dichiarasse allora, nel
francese normalmente usato a corte: Pour aujourd'hui il y en a assez,
per oggi ne abbiamo avuto abbastanza. Oggi, l'episodio viene fatto rivivere dal
Gruppo squadroni del 4°Reggimento carabinieri a cavallo nell'ambito del loro Carosello
Storico, con una impetuosa carica esaltata dal luccichio delle sciabole sguainate e dai
colori nero e rosso dell'uniforme storica dei carabinieri. Questa battaglia mi suggerisce
la riflessione che nella vita devo sempre mantenere liniziativa, che esiste sempre
un mare di opportunità all'interno di ogni difficoltà.. Il genuino eentusiasmo trova le
opportunità ma è l'energia che crea la maggior parte di queste, le piccole
opportunità sono spesso l'inizio di grandi imprese. Molte volte è la mancanza di
cura nelle piccole cose che mi fa compiere gli errori più grandi. Ma sono convinto che la
qualità qualità della vita di una persona sia direttamente proporzionale al suo
impegno nei confronti dell'eccellenza, indipendentemente dal lavoro che svolge, come
diceva Aristotele: Noi siamo quello che facciamo, sempre. L'eccellenza non è un
atto ma un'abitudine.
Favria, 30.04.2014 Giorgio Cortese
Nella vita ogni fregatura è solamente un'opportunità per
diventare più intelligente.
Magg
Una volta anche in Canavese, come in altre regioni, i contadini a
Calendimaggio si troavavano dopo la dura giornata di lavoro a cantare nelle aie delle
cascine ed allora i novelli cantori ricevevano dei doni agresti per la canora fatica. Da
un antico e rustico canto di Maggio: Entroma n cost palass cha jè
la signoria, sa son tuti content faroma nalegria. E ben vene magg quand a torna
l di de vene magg. Se voi veure non crede che l magg a sia si, feve a la
finestra e lo cedi bel fiorì. E ben vene magg quand a torna l di vene magg.
Madamisela!
Madamisela, ii presentoma un bochet bien liè, bien bandè, bien
garifolibotè; ma se ai pias pa liage, l bandage, l
garifòlibotage, torneroma a lielo, bandolo, garifolibotelo, cambiand la liura, bandura,
garifolibotura!
Lavoro
opere e prodotti.
Per il primo maggio, festa del lavoro mi viene in mente una frase
sentita in una commedia, dove il protagonista diceva questa divertente battuta:che
brutto sonno ho fatto questa notte, sognavo di lavorare
Oggigiorno cè
nel lavoro, così come è concepito e attuato nella società, una sorta di costrizione;
ogni attività manuale o professionale, inquadrata nel meccanismo economico-sociale, ha
sempre qualcosa di forzato. È per questo che lavorare stanca, come dice il
titolo di una poesia e di una raccolta di versi di Cesare Pavese. Stanca non solo
fisicamente ma anche mentalmente. La frenetica produzione rende il manufatto
apparentemente perfetto. Ma proprio per questo scompare la creatività e
l'originalità. Il lavoro perde il suo aspetto di intelligenza e persino di genialità,
non lo si compie più con passione, ma in maniera meccanica e in una noiosa sequenza di
gesti obbligati. Non c'è più la persona al centro ma la macchina o il computer. Fino a
pochi decenni fa in molti, tra cui il sottoscritto, erano entrati nel mondo del
lavoro con limitate possibilità di scelta, ma solo per vivere dignitosamente, e pochi
erano quelli che esercitavano un mestiere dove potevano far esplodere la loro
creatività e, quindi, trovarsi a loro agio. Oggi abbiamo un vero dramma del quale siamo
tutti consapevoli ma senza soluzioni immediate, la mancanza di lavoro che è una
costrizione ben più grave perché riduce alla miseria, all'inerzia, all'insoddisfazione e
persino alla disperazione. Penso che sia necessario ritrovare la dignità nel dare un
lavoro a tutti. Bisogna sempre tenere a mente che qualsiasi impresa riunisce innanzitutto
delle persone che mettono a disposizione chi i capitali, limprenditore, chi la mano
dopera, gli operai per elaborare insieme dei prodotti o servizi in vista del bene
comune della società e poi le società di capitali non sono le uniche forme di impresa.
Così, ad esempio, lo sviluppo dell'economia sociale, associazioni o cooperative, meritano
un'attenzione particolare. Bisogna poi assicurare delle politiche di finanziamento sociale
delle imprese, cioè delle politiche che assicurino una continuità di finanziamento per
permettere alle imprese di crescere. Cercare di ammorbidire le condizioni di credito per
permettere la crescita agevole delle imprese a partire dalla microimpresa. Bisogna sempre
adeguare le politiche di formazione e sviluppare quelle per le persone più emarginate: le
donne, i giovani, i portatori di handicap, i malati cronici.
Favria 1.05.2014 Giorgio Cortese
Il lavoro è per luomo, non luomo per il lavoro.
Insomma, mediante il lavoro luomo non solo trasforma la natura adattandola
sempre più alle proprie necessità, ma perfeziona se stesso, ma oggi purtroppo manca!.
La storia del cappello alpino
Il cappello alpino, con la sua cupola rotonda ornata dalla
celebre penna, nacque il 20 maggio 1910, Il cappello alpino non è un mero oggetto
avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo, per un alpino il suo cappello è
tutto!. Nel Cappello Alpino c'è anche un po' del loro, se è vero che la Bombetta degli
Alpini del 1873 è chiamata pure Cappello alla Calabrese o alla Ernani
in onore dell'opera celebrata da Verdi fin dal 1844. Questi cappelli sopra nominati
avevano creato una moda "sovversiva" che venne bandita addirittura da un decreto
del 15 febbraio 1848 a firma del barone Torresani Lanzenfeld, allora direttore generale
della Polizia di Milano dellImpero Asburgico. Nonostante ciò, i cittadini
milanesi si beffeggiarono del decreto e modificarono i cappelli "patriottici";
così, giusto per imitare la penna, simbolo di libertà e rimasta sul cappello
alpino, sollevarono lateralmente la tesa del proprio copricapo. Allo scoppio delle
Cinque Giornate di Milano, i cappelli sanzionati dalla polizia Asburgico ricomparvero
numerosissimi sulla testa di tutti, uomini e donne, abbelliti da vistose coccarde
tricolori ed ampi piumaggi, diventando popolarissimi. Il cotpo degli Alpini venne fondato
nel 1872, e lallora Ministro Magnani Ricotti diede impulso a nuove
riforme per l'Esercito, interessandosi particolarmente alla nuova uniforme. pertanto,
secondo i principi della riforma Ricotti, le vecchie uniformi dal taglio
francese si dovevano sopprimere e le nuove divise dovevano essere comode ed
eleganti, avvicinandosi per quanto possibile a quella del borghese cittadino. Per
quanto riguarda i berretti della fanteria, famoso divenne il chepì a due visiere sul tipo
di quello dei Cacciatori Sassoni, scherzosamente ricordato come Pentoglio Ricotti. I
criteri uniformologici del Ricotti diedero terreno fertile per la formulazione dell'atto
n. 69 del 24 marzo 1873 che stabilisce le caratteristiche del cappello alpino rigido
incatramato noto a tutti noi come "Bombetta" o alla calabrese,
che però non corrisposero alle aspettative del fondatore Perrucchetti che avrebbe
voluto per gli alpini l'uniforme simile a quella dei Cacciatori Tirolesi, ritenuta la più
adatta alla bisogna. La bombetta non subì nemmeno l'influenza di altre due riforme
uniformologiche dovute al Ministro Luigi Mezzacapo nel 1876 e del Ministro Mazè de
la Roche nel 1879. Anzi, la Bombetta fu adottata, anche dal Tiro a Segno Nazionale,
fondato nel 1878, dalla Guardia di Finanza operante in montagna e da alcune Guide Alpine,
segno che divenne veramente molto popolare, nonostante la poca praticità. Per vedere un
significativo cambiamento del copricapo alpino si deve, dunque, aspettare l'esperimento
iniziato nel 1906 per la divisa del Plotone Grigio ad iniziativa privata del sig.
Brioschi. Tuttavia si deve precisare che al preparazione dellesperimento fu eseguito
da un team di personalità. Fra queste preme evidenziare il Tenente Alberto Bianchi,
dottore in chimica che creò il giusto melange del panno e colorò le pelli; il Cav
Rosati, sarto, che diede il taglio pratico ed estetico alla divisa. Il Brioschi portò
dagli USA il poncho e il cappello molle, che però ridusse un po nella tesa. Luniforme
del plotone Grigio, tuttavia, non fu di un solo modello: infatti dal 1906 al 1907 ben tre
Compagnie di alpini del Battaglione Morbegno vennero sottoposte ad esperimento, con
copricapo, zaini e buffetterie una diversa dalle altre. Vi furono numerose opinioni di
militari, anche famosi, a riguardo del copricapo; alla fine si crearono "due
partiti contrapposti": uno pro cappello floscio l'altro pro berretto. Lunico
giudizio comune erano poco gradite le penne, i fregi, le nappine e tutto ciò che
non era mimetico e poco pratico. Così nuovamente il Tenente Generale Giuseppe
Perrucchetti, da Torino sentenziò il 23.06.1907 sul Cappello: ... Sarei solo in
dubbio per dare le preferenza al cappello piuttosto che ad un berretto munito di
alette da applicarsi a guisa di soggolo. Fra la tormenta, le bufere, il nevischio, io ho
trovato un gran beneficio, soprattutto nella cattiva stagione a far uso di tale berretto,
mentre è facile con una copertina di tela, foggiata a copri nuca, di ripararsi anche dal
sole senza aver bisogno di due oggetti, capello e berretto per copricapo ...
Facendoci capire che per praticità sarebbe stato meglio utilizzare solo un berretto
floscio senza orpelli vari. Certo che tali osservazioni dette proprio dal fondatore delle
truppe alpine sono, per noi oggi, affermazioni traumatiche. Più
sentimentale, ma che vide giusto, fu il Capitano Vincenzo Conforti, V° Alpini, Morbegno
che affermò il 13.06.1907: "Che il cappello sia molle non solo, ma provvisto di
larghe falde le quali permettono di riparare la testa dal sole e dalla pioggia. Che
il cappello stesso sia provvisto di penna. La penna rende il cappello poeticamente
più bello e soprattutto essa è desiderata dai nostri montanari, come lo prova il fatto
che tutti indistintamente i nostri Alpini, appena possono, si provvedano a loro spese di
enormi penne, sia per andare a passeggio che per recarsi al proprio paese in permesso.
Finiti gli esperimenti sulla divisa grigia e approvato il colore grigio verde, colore che
più si adattava al colore del "terreno" italiano dalla Sicilia alle Alpi, il 20
maggio 1910, come riportato all'inizio di questo scritto, "nasce" il cappello
alpino in feltro grigio verde. Il modello della truppa e dei sottufficiali era di feltro
di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di cuoio intorno
alla base, e aveva la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata. Sul lato
sinistro la penna era inserita in una nappina di lana con il colore del battaglione, dove
il modello degli ufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta
ornata da una fascia di seta e da un cordoncino di lana attorno alla base, sempre con la
tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata, la penna era inserita in una
nappina di metallo argentato e sullo stesso lato c' erano i gradi a V rovesciata d'
argento. Nel 1912 fu adottato il fregio rimasto in uso sino ad oggi: un' aquila con le ali
aperte al di sopra di una cornetta, con il numero del reggimento nel tondino centrale,
posta davanti a due fucili incrociati, due cannoni incrociati per gli artiglieri da
montagna. Dalla prima guerra mondiale in poi ci furono solo cambiamenti poco rilevanti,
relativi soprattutto al fregio, alla nappina e ai materiali di cui erano costituiti. La
forma del cappello resta invariata e caratteristica, tale da diventare un simbolo di
appartenenza e un motivo di orgoglio per tutti gli alpini.
La Penna
Lunga circa 2530 cm, è portata sul lato sinistro del
cappello, leggermente inclinata all'indietro, di corvo, nera, per la truppa, di aquila,
marrone, per i sottufficiali e gli ufficiali inferiori e di oca bianca per gli ufficiali
superiori e generali.
La Nappina
La nappina, presente sulla sinistra del cappello, è il
dischetto, a forma semi-ovoidale, nel quale viene infilata la penna. Per i gradi di
sergente maggiore, sergente, graduato e militare di truppa, tale dischetto è formato di
lana colorata su un'anima in legno. Per gli ufficiali inferiori e superiori, la nappina è
in metallo dorato e, nei reparti del Piemonte e della Valle d'Aosta, porta al centro la
croce sabauda. Dal grado di in poi, il materiale utilizzato è invece il metallo
argentato. In origine il colore della nappina distingueva i battaglioni all'interno
dei vari reggimenti, per cui il 1º battaglione di ciascun reggimento aveva nappina
bianca, il 2° rossa, il 3° verde e, qualora vi fosse un 4º battaglione, azzurra. I
colori erano quelli della bandiera italiana, più l'azzurro di casa Savoia. In seguito si
aggiunsero altre nappine con colori, numeri e sigle specifiche per le diverse specialità
e i vari reparti.
Favria 2.05.2014
Giorgio Cortese
Ogni giorno mi sforzo di contare sempre i fiori del mio giardino
e non le foglie che cadono, sono sempre ottimista sul futuro del pessimismo