Lemozione dellodore dellerba tagliata
Questa sera ritornando dal lavoro, preso dai miei pensieri,
quando qualcosa mi ha catturato con forza, tanto che ho alzato gli occhi, per un
istante, a cercare chi o cosa fosse. Ma era, emplicemente, lodore dell'erba
tagliata in un prato che si lasciava indietro il suo acre e insieme dolce profumo.
Ritengo che lo conosciamo tutti, il profumo dell'erba. Eppure ogni volta che sento il suo
odore in questo periodo dellanno provo sempre un sussulto nellanimo.Infatti lodore
del primo sfalcio, mi ha riportato indietro quando da bambino accompagnavo i
miei genitori a fare il fieno in assolati ed interminabili prati, cosi mi apparivano
allora. Ho vivido nella mia mente il tempo della fienagione che era il segnale che
la scuola era quasi alla fine e allora quellaroma inebriante mi ricorda sempre
l'inizio dell'estate. Da bambino il vedere cadere lerba nel suo massimo splendore
generava nel mio animo meraviglia e tristezza. Lungo i bordi dei vasti prati, che da
bambino mi sembravano infiniti, dove non arrivava il mezzo agricolo, sui bordi dei fossi e
sotto le sinuose acacie e torreggianti quercie, il taglio avveniva con la falce, con
quella sua lama crudelmente ricurva, mi incuteva una brivido di paura. Allora le donne la
manovravano con agilità, parlando e ridendo fra loro, e mi ricordo ancora una contadina,
la più vecchia e magra, che mi ricordava qualcosa di oscuro, mentre a larghe
bracciate mieteva margherite e erbe del campo. Se chiudo gli occhi, sento ancora oggi il
rumore della lama che, regolare e metodica, procedeva inesorabile e solo ogni tanto si
fermava, quando le donne affilavano con la cote la lama con uno stridulo rumore. Verso
sera il campo grande, quello in cui io giocavo al leone nella savana nell'erba alta quasi
quanto me, se ne stava domato sotto al sole del tramonto. Non più calabroni e api
ronzanti, né il balenare del bianco e oro e viola dei fiori, ma solo una malinconica
distesa di erba falciata, che già iniziava a emanare un aroma sottilmente diverso, più
secco, mesto, dolce: lodore caratteristico del fieno. Ritornavo a casa in
bicicletta per poi ritornare due giorni dopo, nel pomeriggio, contando sulle dita di una
mano i giorni che mi rimanevamo alla fine della scuola. E due giorni sotto un caldo
implacabile e con il ronzio dellaria che gli anziani attribuivano ad una strega
chiamata l veja ca bala, la vecchia che balla, si rastrellava a mano limmenso
campo con i rastrelli, sudando, sotto al sole alto. Alla sera le balle rettangolari
avrebbero colmato il fienile, che ripieno di fieno avrebbe fatto filtrare magicamente, tra
le tramezze, i raggi di sole della sera, insieme a tutti gli attrezzi che ivi
erano deposti, rastrelli coperti di ruggine e polvere, e avviluppati da ragnatele
antiche. Ma appena tagliata dopo pochi giorni l'erba già ricominciava a crescere, lo
sapevo, benché non più così alta, e a settembre sarebbero spuntati i colchici violetti,
a segnare la fine dell'estate, questo era il segnale che si riprendeva ad andare a scuola
ad inizio di ottobre. Ma chissà per quale infinitesimale scambio fra neuroni il mio
cervello si è emozionato oggi, semplicemente passando accanto a prato, e poi la
commozione si è incurvata garbatamente in qualcosa di simile a un dolore. Certo,
non ci sarà mai più per me quello sfalcio dell'erba, in quei giorni luminosi
di maggio- giugno, ma il suo ricordo rimarrà sempre indelebile nel mio animo.
Favria 16.05.2014
Giorgio Cortese
Se certe mattine vedo per strada i miei ideali a pezzi, alzo
la schiena dritta, stringo i denti per farmi forza, per ricostruire e per andare sempre
avanti.
Givu givòla, marcia a scola!
Oggi ho trovato vicino a casa un bel maggiolino, nulla di strano,
siamo a maggio, ma di questi tempi, vederne uno non è più così facile. Anche gli
insetti, come tutti i gruppi di viventi, stanno infatti pagando un prezzo altissimo alla
modernità che distrugge o avvelena un sempre maggior numero di ambienti
naturali. La specie fu classificata nel 1758 da Linneo, il grande naturalista svedese
che inventò il doppio nome latino di piante e animali, col nome di Scarabaeus melolonta..
Dal punto di vista biologico, i Coleotteri sono un modello così riuscito da costituire il
gruppo animale di gran lunga più numeroso del pianeta, con oltre 400.000 specie sinora
descritte ma probabilmente almeno il doppio ancora da conoscere
sempre che arriviamo
a scoprirle prima di farle estinguere. II maggiolino comune, Melolontha melolonta,è un
coleottero diffuso in tutta Europa, e in Italia prevalentemente nelle zone settentrionali.
Gli adulti si nutrono di foglie di piante forestali e di piante da frutto. Le larve vivono
nel terreno mangiando le radici di diverse colture erbacee, forestali, da frutto e la
vite, determinando deperimenti vegetativi, riduzione di sviluppo delle piante e, nei casi
più gravi, la loro morte. ciclo biologico dell'insetto è triennale, cosicché ogni tre
anni si verifica un picco popolazione. I maggiolini abbondavano quando ero bambino negli
anni sessanta, gli anziani allora già raccontavano che in altri tempi si ricompensassero
con piccole mance i bambini incaricati di raccoglierli, che ne riempivano borse intere.
Nei secoli passati si ricordano addirittura vere carestie causate da questi scarabei, come
per esempio nel 600 in una contea irlandese, dove la popolazione fu costretta a
sopravvivere mangiandoli, dato che avevano finito col fare piazza pulita di ogni pianta
commestibile sia coltivata sia spontanea. In casi particolarmente gravi, i maggiolini,
come bruchi o altri insetti dannosi, nel Medioevo venivano portati in tribunale, dove
erano processati per i danni arrecati alla campagna. Si ha notizia di un processo avvenuto
in Svizzera in cui i coleotteri, nonostante la difesa di un brillante avvocato, furono
condannati a lasciare immediatamente il territorio pena la scomunica. Ovviamente rimasero
doverano, continuando a fare i loro guasti e il fatto che li facessero da
scomunicati non dovette costituire per i contadini una gran consolazione. Il nome comune
italiano dell'insetto è particolarmente appropriato, in quanto di regola gli esemplari
più precoci non compaiono prima della fine di aprile e pochi ne restano in circolazione
dopo gli inizi di giugno. Il lemma maggiolino è di chiara origine toscana,
non solo ha avuto buona diffusione in tutte le regioni del nostro paese in cui la
specie è presente, ma a quanto pare è ben radicato nella lingua parlata: prova ne sia il
fatto che è sopravvissuto alla scomparsa dello scarabeo cui si riferiva in origine. Oggi
infatti vengono spesso chiamati maggiolini certi parenti relativamente stretti della
Melolontha melolontha ma notevolmente più piccoli, appartenenti, per chi volesse saperne
di più, ai generi Rhizotrogus e Amphimallon. Oltre che nella classificazione,
l'inesattezza è prima di tutto nell'indicazione di tempo, dato che questi
post-maggiolini, almeno nel nord della penisola, volano nelle belle serate di giugno
inoltrato o addirittura in luglio; varie specie dellItalia centrale e meridionale
circolano fino a settembre e ottobre. Superfluo dire che lestrema rarefazione del
vero maggiolino è effetto dellinquinamento, dei diserbanti e degli
insetticidi; di questi ultimi, secondo dati di qualche anno fa, nella sola Italia si è
impiegato negli ultimi anni un terzo del quantitativo usato nellintera Europa. Il
genere Melolontha melolontha, diffusa in parte dellEuropa meridionale e in quella
centro-orientale, (da noi la si trova dal sud delle Alpi fino al Lazio, era un tempo
comunissima, fino a costituire in certe annate un vero flagello. Ma da dove viene il
nome scientifico di Melolontha creato da Linneo? Va detto innanzitutto che il naturalista,
come tutte le persone colte del suo tempo, aveva studiato il greco e il latino; e nei
classici greci era andato a cercare i nomi di molti animali, nomi che poi, in forma
latinizzata, attribuiva alle specie che classificava. In un verso della commedia Le
nubi, Aristofane, il più grande poeta satirico dellantica Grecia, nato intorno alla
metà del V secolo a. C., paragona la fantasia alla melolónthe che il fanciullo fa
volare attaccata a un filo. Sappiamo solo che la parola indicava un Coleottero, ma
ignoriamo quale; e dato che, se ben ricordo, il maggiolino non è presente in Grecia, o
perlomeno non vi è comune, gli studiosi ritengono che il termine melolónthe indicasse
invece la Cetonia. Il maggiolino è però presente nel sud della Svezia, dove viene
chiamato Ollonborre. Evidentemente, i bambini svedesi, e forse da piccolo lo stesso
Linneo, lo facevano volare attaccato a un filo, come anchio ho visto fare
negli anni 60 al paese dei miei nonni materni, nelle campagne del Piemonte; lo
studioso deve aver creduto che melolónthe significasse maggiolino e così ha attribuito a
questultimo il nome latinizzato di Scarabaeus melolontha. Per quanto riguarda
i nomi dialettali dellinsetto, mi limito a citare quello che ho sentito usare più
spesso in Canavese, dove sono nato: givo, gbena,canquara, ghebra.Un appassionato e
minuzioso raccoglitore di memorie torinesi, Alberto Viriglio, ai primi del 900
riporta nel suo libro Vecchio Piemonte una formula in rima che a Torino e dintorni i
bambini dei tempi in cui lo era lui, nato nel 1851, rivolgevano al maggiolino,
chiamato in dialetto gìvu, praticando proprio quel gioco. Dopo aver legato linsetto
per una zampa gli si intimava: Givu givòla, marcia a scola!, maggiolino maggiolinetto,
ma la finale òla è tipicamente canzonatoria, fila a scuola! In
caso di rifiuto bastava lanciare il coleottero in aria, in modo che nel sentirsi ricadere
aprisse le ali e prendesse il volo. Ma la sua apparente libertà non durava a lungo. Dopo
averlo lasciato ronzare per un po' seguendolo come fosse un cane al guinzaglio, il suo
carceriere lo tirava indietro con un brusco strappo, impartendogli il contrordine: La
scola lé sarà, turna a cà! La scuola è chiusa, torna a casa! Sia pure senza laccompagnamento
della cantilena, dicevo poco fa che quel gioco ho fatto in tempo a vederlo praticare anchio.
Ma il mondo cui apparteneva è ormai lontano quanto Viriglio o Linneo o lo stesso
Aristofane: perduto per sempre.
Favria, 17.05.2014 Giorgio Cortese
Certe persone vedono le cose per quello che sono state,
personalmente io sogno delle cose che devono avvenire e mi dico, perché no
Caro Candidato, Ti scrivo
Caro Candidato quando arriverà il giorno delle votazioni con un
semplice e sacro gesto, sbarrando Con una ics o scrivendo il nome di un candidato,
esprimerò il mio diritto dovere di votare infilando poi la scheda elettorale nellurna.
In quel momento mi passeranno davanti agli occhi per pochi istanti, tutta langoscia
per il nostro futuro e quello delle future generazioni, tutte le discussioni con gli amici
ed i colleghi, tutti i messaggi ricevuti sui social forum e gli sms, tutti i dibattiti,
gli appelli, tutti i discorsi di questi ultimi anni, tutti i sogni per un futuro migliore
e tutto il comune passato che sono le nostre civili radici, tutta la voglia di metterti in
gioco e che Ti ha portato a passare per paesi che neanche conoscevi, per bar dove gli
anziani continuavano a giocare a carte e a sorriderti con scetticismo. Una lunga strada
dove mi hai incontrato ed hai convinto il sottoscritto, anonimo elettore, che magari
nemmeno conosci a seguirti. E adesso tutto il futuro civile è nelle nostre mani e noi
elettori nel silenzio sacro della cabina elettorale in pochi istanti scegliamo il nostro
destino per i prossimi anni, poi come un liturgico rito ripieghiamo la scheda in quattro e
la posiamo con religioso movimento nella stretta fessura dellurna insieme ad
innumerevoli altre, per fare la volontà popolare, dare alla chiusura delle urne il
verdetto finale a questa Tua corsa. Ed io piccolo ed insignificante elettorale appena
uscito dai seggi, compio un rito che ho labitudine di fare da quando ho
raggiunto la maggiore età, osservo attentamente i cartelloni elettorali con i nomi di
persone che hanno accettato la sfida come Te per un futuro migliore, e penso a quanti sono
ancora indecisi, a quanti per ignavia non verranno a votare per potersi sempre lamentare.
Oggigiorno la nostra Patria continua a vivere in una grande crisi morale, sociale ed
economica. La corruzione e lillegalità come maligne metastasi cercano di
corrodere il tessuto morale, economico e sociale della nostra Italia con il risultato di
generare solo il discredito della politica, il proliferare dei nuovi demagoghi capipopolo
che propugnano solo legoismo di massa e la frammentazione nazionale. Ma Tu caro
candidato hai deciso la cosa più folle per un essere umano sano di mente, metterti in
gioco, alzare la testa e dire basta alle lamentele e cercare un sistema per fare ripartire
la nave Italia incagliata negli scogli della sfiducia su tutto e tutti. Con il mio
voto Ti sei assunto la responsabilità di caricarti sulle spalle la mia speranza insieme a
quella di migliaia di persone che Ti voteranno. Certo in queste ultime settimane certi
avversari sono stati poco corretti e hanno cercato in tutti i modi di screditarti
con le frase fatte che intanto i politici sono tutti uguali, ma Tu sei andato
avanti lo stesso. Il coraggio delle Tue idee mi ha fatto riflettere sulla mia debolezza e
mi dai la forza di essere anchio un pochino più coraggioso. Mi auguro con tutto il
cuore che Tu vinca, come io Tuo elettore spero ma se mai dovessi perdere Ti chiedo di non
fare degli inutili giri di parole, non fare lipocrita come gli altri politici,
da uomo maturo riconosci la sconfitta ma accettala come un passaggio doloroso che Ti farà
maturare per gli anni avvenire. Ricordati che molte volte cè più grandezza nella
sconfitta che nella vittoria e Tu, allora potrai dimostrare anche in quella amara
circostanza la Tua grande umanità e la forza dei Tuoi ideali. Ritengo che questo
sarebbe a livello politico nostrano già un grande cambiamento di mentalità, perché come
elettore non chiedo la luna ma solo che da vincitore o da perdente Tu ci dica sempre la
verità anche se fa male, mostrandoci non sogni ma soluzioni concrete per il mio
quotidiano, grazie dellattenzione e buona strada per il futuro
Un Tuo elettore.
Favria , 18.05.2014 Giorgio Cortese
Più invecchio e più posso affermare di avere conosciuto
farabutti che non erano moralisti ma raramente dei moralisti che non erano farabutti
Non cambia mai il vanto dei boriosi
Nascondersi dietro un dito significa accampare scuse e
giustificazioni sciocche, voler negare con prove inconsistenti levidenza dei fatti.
Perciò, farlo è cosa sciocca e da sciocchi. Su questo non ci piove. Bene! Una delle
forme più sciocche del nascondersi dietro un dito è laffermazione, purtroppo molto
diffusa: Io sono fatto così. Certe persone parlano ed agiscono senza
avere riflettuto su quello che stanno dicendo, e perciò dicono cose false? E allora si
giustificano:Che ci posso fare? Io sono fatto così. E poi perché sono
nervose per loro motivi personali, urlano e sbraitano. La loro patetica
giustificazione è che sono fatti così e non ci possono fare niente. Ma che
sciocchezza galattica!
Favria , 19.05.2014 Giorgio
Cortese
Certi giorni tutto mi appare più difficile prima di essere
semplice
Il gomito del telefonista da cellulare
Una volta certe infermità avevano nomi
evocativi e seducenti: tosse asinina, ginocchio della lavandaia, piede datleta,
febbre da fieno, fuoco di santAntonio, le voglie: di caffellatte, di fragola, di
vino, o daltra bevanda o cibo, che le gestanti imprimevano sui neonati ed altre
ancora. Queste malattie formavano nellimmaginario popolare, ma anche nella pratica
medica, una costellazione che da una parte pescava nella mitologia, se non nella
superstizione, e dallaltra confinava con la dura realtà quotidiana di sofferenze e
patimenti. Poi i tempi cambiarono: i medici smisero i costumi carichi di piume e orpelli e
indossarono camici immacolati, ai rimedi dei praticoni si sostituirono le medicine di
sintesi, da preparatori di pomate e cataplasmi i farmacisti si trasformarono in
rivenditori di flaconi, di pillole impacchettate.. Il vocabolario non poteva non adeguarsi
e le malattie cambiarono nome, assumendo appellativi scientifici, ma asettici e quasi
dimessi. Ora, potenza del progresso tecnico e dellossessione classificatoria, sono
state identificate altre malattie: lultima in ordine di tempo sembra il gomito
del telefonista , che, con un recupero della pittoresca terminologia dantan,
richiama il più noto gomito del tennista. Leggevo in una rivista che negli
Stati Uniti gli ortopedici hanno lanciato lallarme per la frequenza con cui le
persone presentano danni al nervo ulnare, quel nervo che passa sotto il gomito e ci dà la
scossa quando lo urtiamo, danni causati da una prolungata e vigorosa piegatura del
braccio, quale si ha quando si tiene il telefono cellulare attaccato allorecchio. In
questa posizione il flusso sanguigno al nervo si riduce, provocando formicolio e
insensibilità alle dita, specie al mignolo e allanulare. Col tempo, chi soffre di
questa sintomatologia, il cui nome nel freddo gergo medico è « sindrome del canale
cubitale » , subisce un indebolimento della mano e incontra difficoltà nelleseguire
certe azioni: scrivere a mano o alla tastiera, cucire o suonare certi strumenti. Luso
costante del telefonino, sottopone a un affaticamento eccessivo e ripetuto il nervo
ulnare. Il nervo sindebolisce e si sfibra e il danno può diventare cronico e
irreversibile. In tal caso si può solo intervenire chirurgicamente. Nei casi più lievi,
basta mutare le abitudini, seguendo le regole dettate dal buon senso: telefonare meno a
lungo, usare un auricolare o il viva voce, cambiare spesso mano e orecchio. Di questa
malattia soffrono non solo i telefonisti irriducibili, ma anche coloro che scrivono molto al
computer e in genere chi tiene a lungo il gomito flesso a formare un angolo inferiore ai
90 gradi, oppure chi si appoggia a un gomito per molto tempo. Questo mi fa pensare che
bisogna sempre usare il giudizio perché il troppo stroppia.
Favria, 20.05.2014 Giorgio
Cortese
Cè una sottile crepa in ogni bugia, è da lì che entra
la luce della verità!