La fòla àlea  della lèa  

Tranquilli, non voglio offendere nessuno, ne tanto meno essere volgare, il lemma di origine piemontese lea deriva dal francese  l’allée, insomma un bel viale alberato, mi ricordo al riguardo quanto scriveva Pavese: “andavamo come due frati sotto la lèa. del paese”. Si usa anche il termine  allèa  che è sempre un adattamento del francese  allée, propriamente, andata, che deriva dal verbo allaer, andare, e anche l’allea è una voce che deriva dalla lingua piemontese. In molti viali alberati ci sono delle panchine dove ci si  ferma nella bella stagione, ci si parla e chiacchiera e si racconta la fòla, lemma che deriva dal latino fabula, favola, insomma molte volte certi eventi vengono ingigantiti e si aggiunge molta fantasia, come scriveva Leopardi: “Quante immagini un tempo, e quante fole creommi nel pensier l’aspetto vostro…” Nel parlare a ruota libera si gioca ai dadi con supposizioni pazzesche e così arriviamo  all’ultimo lemma,  l’àlea, dal latino  alea, gioco di dadi. Infatti con l’attuale crisi economico e sociale che non demorde ognuno di noi, è un premier in pectore e da le sue ricette per superare la crisi, un po’ come le partite di calcio, dove ognuno di noi che guarda la partita si pensa l’allenatore e propone soluzioni diverse dall’allenatore ufficiale, senza tenere conto che forse lui i giocatori li ha sotto controllo tutti i giorni e noi solo da che cosa scrivono i giornali e così anche per la politica avviene lo stesso e così di ciance, ops fole ne escono di continuazione,

Favria,   8.06.2014     Giorgio Cortese

La felicità molte volte non dipende da quello che mi manca, ma dal buon uso che faccio di quello che ho

I perversi meccanismi dell’umana ingratitudine

Seneca oltre ai  Dialoghi, ha scritto  De vita beata, De brevitate vitae, De tran­quillitate animi alle Consolationes, De clementia, De beneficiis , ma forse quella che in modo più suggestivo e immediato parla alla coscienza dei contemporanei, le Lettere a Lucilio. Dedico queste poche righe al De be­neficiis, che credo sia tra le opere me­no lette di Seneca, il trattato sui benefici include alcune notevoli osservazioni sui risvolti mo­rali e psicologici della buona azione, che sono valide per tutti i tempi e at­tualizzabili senza troppa difficoltà ai tempi nostri. La generosità è spesso causa di rancori e di rincrescimento, se il beneficato si mostra ingrato, se ad­dirittura finge di non vedere il bene­fattore quando lo incontra per strada, giacché si vorrebbe evitare di subire il senso di inferiorità che l’essere in de­bito comporta. Ma Seneca sottolinea la gratuità dell’atto generoso: faccia­mo le buone azioni sostanzialmente per noi stessi, la virtù è (dovrebbe es­sere) anche in questo caso premio a se stes­sa. Chi si aspetta la ri­compensa della grati­tudine commette un errore mentale, che nasce dalla scarsa co­noscenza della natu­ra umana. L’ingratitu­dine ha origine dall’a­mor proprio eccessi­vo del beneficato. La più grave in­gratitudine non è quella di negare di aver ricevuto un beneficio, ma quel­la di dimenticarlo. Sono attuali e di carattere generale anche alcune for­me di precetto che Seneca suggerisce al donatore: vanno donate prima le cose indispensabili, poi quelle utili al beneficato, e solo in seguito le cose piacevoli. Se il de beneficiis è tra le opere di mi­nor successo di Seneca ai tempi nostri ciò dipende da una certa secchezza casistica sulle regole del beneficio ne­gli ultimi libri, ma anche e in modo più significativo perché il beneficio aveva un ruolo storico peculiare nella società romana che non è più attuale oggi. Se­neca intende qui fornire una sorta di legislazione, tra la morale, il diritto e la politica, che nella realtà totalizzante del mondo romano non erano sfere così distinte come sono per noi. La so­cietà romana era ufficialmente retta sulla distinzione palese tra cittadino di serie A, i patroni e cittadini di serie B, i clientes . Entrambe le categorie e­rano costituite da cives , ma i primi, in cambio di appoggio elettorale e altri servizi gratificanti (essere accompa­gnati al foro da una caterva di clienti rispettosi, ad esempio), fornivano ap­poggio ai loro protetti quando aveva­no questioni giudiziarie in qualità di
advocati, ricevevano la salutatio mat­tutina nell’atrio di casa ricambiavano gli omaggi con una sportula di vivan­de. Erano insomma affini ai 'notabi­li' che esistevano (esistono?) anche nella società italiana.Molto interessanti le pagine che Se­neca dedica agli schiavi: Essi non han­no proprietà privata e ci si chiedeva se fossero nelle condizioni di praticare attivamente il beneficio. Anche in que­sto caso, come sempre quando parla della schiavitù Seneca si rivela un pen­satore di una sensibilità umana mol­to moderna.

Favria  9.06.2014  Giorgio Cortese

 

La vita è interamente composta da attimi, attimi  e che si susseguono e che  rendono vivo.

 

Res gestae favriesi, da forte come un baluardo a Boccardo

Il cognome Boccardo pare che derivi dal  nome germanico Burkhard che, composto dai termini burg, protezione, roccaforte, baluardo  e hard,   forte, coraggioso,  assume il significato di "forte come un baluardo", "che ha la consistenza di una roccaforte. Per essere precisi la radice tedesca burg, da cui anche l'italiano borgo, allude a un generico luogo fortificato, quale può essere una fortezza, una roccaforte, un castello, un baluardo. Da li la formazione del nome di persona Burcardo che  presenta un alto numero di varianti come la forma di  Boccardo che è diventato cognome. Esiste la variante Bocciardo, infine, riflette un francesismo dell'originale Burkhard, che in francese, fra le sue tante varianti, era anche noto nella forma Bouchard,  la -ch- francese veniva spesso adattata con la -c- dolce nei nomi italiani di  epoca medievale. alte varianti sono Brocardo, Boccardo, Broccardo, Bocciardo, varianti in altre lingue in antico tedesco Burkhard, latino, Burchardus in tedesco Burkhard. Per il nome proprio l’onomastico viene festeggiato il  2 febbraio in ricordo di san Bucardo di Wurzburg, vescovo di Wurzburg, evangelizzatore della Germania e, fondatore di diversi monasteri e martire. Si ricordano con questo nome anche il beato Burcardo di Beinwil, sacerdote, commemorato il 18 maggio, e il beato  Burchardus da Worms, vescovo e giurista, ricordato il  20 agosto, e san Broccardo del Carmelo, festeggiato il  2 settembre

Favria 10.06,2014     Giorgio Cortese

 

A san Barnabà va a siè ‘l pra

 

Ma chi uccide di più?

Questa mail vuole porre il seguente problema, gli animali vengono uccisi  di più dai carnivori, come il sottoscritto che è onnivoro, o dai vegetariani? Dicono i vegetariani  che mangiare carne è amorale perché comporta l'uccisione di esseri senzienti, che l'allevamento danneggia l'ambiente, che spreca vegetali e che  queste energie sarebbero meglio impiegate per sfamare le persone? Ma è proprio così o sono proprio loro  i vegetariani, ad uccidere più animali degli onnivori che mangiano carne? Certo detto così  sembra quasi screditare tutte quelle persone che con grandi sacrifici per una scelta personale dettata dalla loro personale scelta etica salutare non mangiano carne. Ma allora chi  mangia solo verdure è complice di una perdita di vite animali maggiore di quella causata da un normale consumo di carne? Secondo la ragione dei carnivori la  maggior parte dei bovini macellati si nutrono al pascolo di vegetazione per lo più spontanea, la produzione di grano, riso e legumi richiede l'eliminazione di tale vegetazione autoctona e ciò si traduce nella morte di migliaia e migliaia di animali la cui vita era legata a quell'ecosistema e a quel tipo di vegetazione. Quindi, visto che dal pascolo non si ottengono vegetali che l'uomo possa consumare, per ottenere più vegetali consumabili dall'uomo è necessario distruggere nuova vegetazione spontanea, con le conseguenze appena descritte. Penso che a molti che leggono questa mail  si sia fermato ad osservare  a guardare l'aratura dei campi, ecco durante l’aratura e poi durante la semina  i mezzi agricoli sono sempre seguiti da stormi di uccelli predatori, soprattutto passeri, colombi, corvi e adesso anche dai gabbiani. Questi uccelli non fanno altro che predare tutti i piccoli mammiferi, lucertole, serpenti e altri animali, soprattutto cuccioli, messi in fuga dal trattore, il loro numero è difficilmente stimabile, ma elevatissimo. Bisogna poi aggiungere gli  animali che vengono uccisi per difendere i raccolti con gli insetticidi, dagli insetti ai topi, talpe, uccelli e serpenti. A questi animali, se vogliamo dirla tutta,  soffrono di più di quelli uccisi nel ciclo di allevamento o nella caccia, perché a loro non è garantita ne la limitazione del dolore al minimo o lo stordimento preventivo che è garantito agli animali da macello, ne la morte istantanea che è assicurata a quelli selvatici cacciati. Bisogna anche tenere conto  che i grandi allevamenti intesivi, unito alla cementificazione contribuiscono a rendere sempre di più consumato e sterile il terreno. A questo si devono aggiungere gli  scarti del letame, dell’ammoniaca o del metano prodotti dagli allevamenti. Come si vede di animali ne vengono uccisi sia per la produzione di alimenti di origine  vegetale che per la nutrizione di noi esseri umani. Ma a difesa dei vegetariani bisogna dire che se tutti i terreni coltivabili della terra venissero usati esclusivamente per produrre alimenti vegetali, si potrebbe sfamare una popolazione 5 volte superiore a quella attuale, e si risolverebbe,  idealmente persino il problema della fame nel mondo. Ma forse il vero problema in questo bellissimo mondo è l’uomo, animale tra gli animali, animale strano un  miscuglio del nervosismo di un cavallo, della testardaggine di un mulo, della malizia di un cammello, della voglia di volare di un uccello.  La lista potrebbe essere allungata tenendo conto di altri vizi capitali coma la superbia, l'avarizia, la gola, l'invidia, l'accidia. Meno male che ogni tanto ci ricordiamo di pensare e di avere un animo e una morale! Infatti la grandezza di noi miseri mammiferi ominidi e quella di prendere coscienza dei nostri limiti, di saperci miserabili e siamo solo grandi onnivori o grandi vegetariani perché ne abbiamo preso coscienza. E per dirla tutta il metterci contro tra onnivori e vegetariani fa il gioco della grandi industrie farmaceutiche e di produzioni dei sementi modificati, che continuano a fare sempre solo i loro interessi e nono i nostri sia che siamo vegetariani che onnivori, beh dimenticavo anche loro sono bipedi ominidi ma hanno solo la malizia del cammello.

Favria  11.06.2014      Giorgio Cortese

 

Certo da solo cammino più velocemente ma insieme a gli altri vado  più lontano…

 

Antiquo di gran virtù

Un mio carissimo amico, persona di cui sono onorato di esserle amico, ama definirsi nei discorsi che è “antico”. Già antico che una volta, anticamente si scriveva  antiquo, dal latino  antiquus,  che deriva: “di ante”, prima, avanti. Ritengo, infatti che la vita vada vissuta in avanti   capendo il passato e conoscendo questo mio amico sono sinceramente orgoglioso di poterlo annoverare tra i miei veri amici, l’amicizia è il filo conduttore della mia vita che, senza di essa, rischierebbe di essere vuota e incolore. L’amicizia cammina in punta di piedi eppure mi sento addosso il suo profumo. Chi mi è amico capisce la mia tristezza e la mia gioia e non se la prende se io, qualche volta, chiudo la porta. L’amicizia è  viaggiare nella stessa direzione anche se per strade diverse. L’amicizia ha il passo lento di chi mi ascolta e quello spedito di chi sa che ho bisogno. L’amicizia non è come un neon, intermittente, ma neanche come un faro che mi abbaglia. È una lucetta piccola che non si spegne mai e illumina di gioia sempre il mio animo.  Non penso che sulla terra ci sia qualcuno che non abbia un amico, ci sono esseri umani che percorrono l’arduo sentiero che passa per la rischiosa palude delle passioni corrosive attraversano l’oceano dell’illusione, l’oscurità dell’ignoranza e vanno oltre. Queste persone hanno come sostegno l’esperienza accumulata negli anni, come aiuto la saggia contemplazione e come  rifugio la libertà del dubbio,  questi sono per me esseri grandi come Te., E Tuo amico mio che Ti definisci antico, non sei antiquato, quando Ti incontro mi sento un nano sulle spalle di un gigante, grazie della Tua sincera amicizia

Favria, 12.06.2014     Giorgio Cortese

 

Ogni giorno mi affretto con calma, senza fretta ma mai senza sosta