Senza parole

Mi lascia senza parole il pensiero delle famiglie della studentessa.Colpire una scuola e dei ragazzi è quanto di più incivile ci possa essere.   Gesto vile e infame. L’infamia di aver colpito una scuola, il luogo simbolo in cui ciascun genitore affida con tranquillità e certezza di sicurezza ogni nostro figlio. Non è pensabile, non è minimamente pensabile che ci si rechi a scuola per imparare e che non si faccia più ritorno a casa, non si riabbraccino i propri cari e si resti uccisi dalla follia di qualche squilibrato o, peggio ancora, di qualche criminale. Mi   sembravano episodi lontani dalle nostre vite quelli in cui, soprattutto in paesi stranieri, si assiste all’azione malvagia di chi entra in una scuola e fa strage di giovani ragazzi. E invece, nella nostra cara Patria accade questo, è possibile morire a scuola prima ancora che suoni la campanella, prima ancora che abbia inizio l’ultimo giorno di studi della settimana, quello in cui non si vede l’ora dell’uscita per godersi il meritato riposo.

 Per molte persone il loro vero spreco non è nelle cose ma della loro vita che sciupano ogni giorno

 Nella vita quotidiana è meglio avere dei veri amici che molti soldi nelle banche. Le banche il sabato e la domenica chiudono, i veri amici hanno la porta del loro animo sempre aperta.

 In memoria di Giovanni Falcone,  1992

"La mafia è diventata invisibile, si è inabissata come un fiume carsico, in fondo ha vinto la sua battaglia contro lo Stato, più che su un piano militare da un punto di vista culturale. La sua cultura impera proprio là dove talvolta i cosiddetti giudici della nuova antimafia vanno a fare conferenze sulla legalità. La gente ama il quieto vivere, si è assuefatta, tutto è diventato normale. Nessuno più si indigna. Si, lo puoi scrivere, la mafia ha veramente vinto perché sa di poter contare su una classe politica quasi totalmente al suo servizio e per dirla con Sciascia si è accagliata e si è consolidata intorno alla burocrazia dei vari enti locali. Il suo potere è enorme, sta dilagando senza ostacoli, esercitando un potere assoluto attraverso gli uomini che vengono eletti. Se solo si va a leggere la storia d'Italia si potrà capire che gli uomini politici, anche se non sono dentro la struttura mafiosa, continuano non solo a proteggerla ma spesso sono compartecipi dei profitti". Ma  non Vi è mai capitato di leggere il libro-testamento del giudice Falcone "Cose di Cosa nostra"? da questo libro traggo questo breve aneddoto dove si parla del rispetto che i membri di Cosa nostra esigono e che contraccambiano nei confronti di chi fa altrettanto:”Uno dei miei colleghi romani nel 1980 va a trovare Frank Coppola appena arrestato e lo provoca: "Signor Coppola, che cosa è la mafia?". Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: "Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica: Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell'appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…”. Certo non è facile capire i segni, i messaggi e i messaggeri della mafia. Il giudice Falcone, che siciliano di Palermo era, amava ricordare che "è un esercizio affascinante, che esige una attenzione sempre vigile". Falcone non aveva mai considerato Cosa nostra un anti-Stato, la vedeva piuttosto come un'organizzazione parallela che approfitta delle storture economiche e sa abbassare la schiena quando si sente attaccata. "Calati iuncu, ca passa la china", recita infatti un vecchio proverbio meridionale. Ma Falcone andava oltre, leggeva dentro i fenomeni sociali con la sua intelligente lungimiranza e ammoniva schiettamente: "Se vogliamo combattere la mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia". La mafia nasce in primis, intorno al concetto di famiglia, sempre caro alla vecchia Società Onorata, che ha costruito un'organizzazione impermeabile legata al concetto di sangue che resisterà a lungo. Solo se imploderà tale valore, che sta già succedendo nella società cosiddetta civile, l'organizzazione inizierà a perdere colpi. Credo che le donne, che all'origine sono state l'elemento forte della 'ndrangheta, determineranno, sotto i colpi affascinanti della modernità e del danaro non sudato, lo scricchiolarsi del concetto tradizionale di famiglia.  A venti anni di distanza dalla morte di Falcone (23 maggio 1992) e di Paolo Borsellino (19 luglio dello stesso anno) assistiamo in realtà ad un radicamento della cultura mafiosa nella società e anche in gangli vitali dello Stato. Non bastano i proclami roboanti o l'arresto di un boss a convincermi che si è intrapresa la strada giusta. Contano le azioni, bisogna intaccare seriamente i patrimoni immensi, ripeteva ossessivamente Falcone, non bastano le parole, certo la mafia è subdola, sa camminare in gruppo, associarsi al punto da far diventare "spacciatrici o criminali come i padri e i mariti" anche le donne? Per questo è amaro constatare quanto la collusione e la contiguità tra società, mafia e politica resero difficile la vita e l'azione penale al giudice Falcone, sempre più costretto ad una vita triste e blindata e con la sensazione, più volte avvertita e denunciata, di sentirsi un corpo estraneo nel difficile contesto siciliano.  Vorrei  infine citare una frase della  sorella di come il fratello conduceva la sua dura battaglia: "La gente è abituata all'idea del supergiudice, onnipotente, forse un po' arrogante. Che ne sa, la gente, delle piccole frustrazioni quotidiane, delle delusioni, degli smarrimenti di un uomo che inspiegabilmente è stato osteggiato proprio da chi avrebbe dovuto amarlo di più? Che ne sa, la gente, della vita triste di Giovanni?". Certo, oggi le indagini sulla mafia sono diventate più difficili perché se da un lato essa appare inabissata, quasi mimetizzata nella attuale società, dall'altro appare più sfrontata per la ricchezza smisurata di cui dispone e in grado di bloccare anche indagini pericolose per la sua vita. Prospera una politica affaristica e la criminalità appare sempre più implicata nell'economia: Tutto ciò rende difficili le indagini , spesso ostacolate da interessi sotterranei di alleanze trasversali impensabili.

Favria, 19.05.2012                   Giorgio Cortese

 Mantenere sempre la calma…sorridere

In queste ultime settimane ho riflettuto che esiste una   tendenza molto pericolosa, quella nell’accettare tutto ciò che si dice, tutto ciò che si legge, ad accettare senza mettere in discussione.

Sono fermamente convinto che bisogna mettersi in continua in discussione con me stesso,  pensare autonomamente, per trovare la soluzione migliore. Diceva un sapiente indiano , Nisargadatta Maharaj, “ la verità è come conoscere le  correnti del fiume, bisogna entrare nell'acqua.”

In questi giorni leggendo attentamente dei quotidiani mi sono rendo sempre più conto di come qualche volta l’informazione sia stata fabbricata a uso di finalità non sempre confessabili, con dati offerti  dai giornali approssimativi e talora palesemente falsificati.

Questa è una pericolosa deriva dell’informazione che avvolge la mente  in una rete di luoghi comuni, di convinzioni, di decisioni che vengono acriticamente assorbite.

Ecco, allora, che bisogna esercitare con vigore la ragione e il giudizio. Ma a me piace soprattutto l'immagine dell'immergersi nella verità, come una ricerca personale, faticosa come quando ci si deve opporre alle correnti nuotando in senso opposto.

Perché la verità non è una pietra preziosa da mettere in uno scrigno o in tasca, è un mare sconfinato in cui mi devo gettare.

Devo sforzarmi ogni giorno di  ritrovare il gusto della ricerca e dell'interrogazione. Ascoltare e comprendere sono due azioni che devono procedere insieme. Forse è un utopia ma penso che dovremmo essere come una porta, chiusi all’invidia e all’avidità, aperti al dialogo e all’incontro e   soprattutto, sorridere.

Favria, 20.05.2012                      Giorgio Cortese.

 Ralph Waldo Emerson affermò: “La benevolenza abbonda, ma noi desideriamo la giustizia con un cuore di acciaio, per combattere gli orgogliosi.” Se le persone sono soltanto benevolenti, chi è arrogante e dispotico avrà campo libero. Solo coloro che lottano con cuore di acciaio sono paladini della giustizia.

 Ma abbiamo veramente bisogno di un governo dei migliori?

Leggendo di quanto succede in Grecia e non solo li ma in tutta la terra dell’Eurozona mi viene in mente quanto accadde ad Atene dopo l’età d’oro di Pericle. La democrazia ateniese era entrata in una fase di degenerazione, caratterizzata da diversi fattori: la decadenza della classe politica, la crescita smisurata dei costi del sistema, la difficoltà di far funzionare correttamente assemblee manipolate dai demagoghi, l’abuso della giustizia nei tribunali, la crescente disistima verso la capacità di governo del popolo, di cui venivano sottolineate l’incompetenza, l’arroganza e la tendenza a obbedire più alle ragioni dell’emotività che a quelle della razionalità. Dopo il fallimento dei due colpi di stato del 411 e del 404, che avevano portato al potere intollerabili oligarchie ristrette, i critici del sistema optarono per una via riformista, che trova espressione nei pensatori del IV secolo, in particolare in Isocrate. Celebre maestro di retorica, di idee conservatrici e con l’ambizione di orientare l’opinione pubblica contemporanea con i suoi discorsi destinati alla lettura, come i saggi di un commentatore politico contemporaneo, Isocrate cercò di promuovere l’avvento di una “democrazia diversa2, che prendeva le distanze dall’ideologia radicale che voleva la partecipazione aperta a tutti i cittadini di pieno diritto indipendentemente da ogni discriminazione di nascita o di censo: una democrazia moderata, cioè aperta alla sola classe media, cui era riservato il diritto di voto e l’esercizio dell’attività giudiziaria, e in cui le funzioni magistratuali fossero rivestite esclusivamente da «competenti» e la vita dello stato fosse controllata, in merito all’osservanza delle leggi e al comportamento dei cittadini, dal Consiglio dell’Areopago, un collegio vitalizio di ex-arconti che fosse espressione della “parte migliore” della popolazione, con esclusione di quei “poveri” che, essendo tali, erano anche “cattivi”, in greco poneros , uno dei termini della propaganda antidemocratica, significa appunto sia povero che cattivo. Un governo di questo genere corrispondeva certamente alle esigenze di competenza e all’insofferenza per la democrazia assembleare e la deriva demagogica affermatesi nel corso del IV secolo.   Ma mi viene il dubbio se  questa “democrazia”, che Isocrate presenta come espressione della più antica tradizione ateniese, fosse poi effettivamente un “governo di tutti”, come vuole il termine demos, che designa “tutto il popolo” senza alcuna distinzione. Pericle avrebbe risposto in senso negativo e sicuramente   avrebbero risposto invece positivamente i rivoluzionari oligarchici del 411, che si presentavano come intenzionati a sospendere le tradizionali forme della democrazia per salvaguardarne la sostanza.  In conclusione non è che ci stiamo avviando verso lo stesso ripetersi della storia?

Favria 21.05.2012                  Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana il pericolo non lo si vince mai senza pericolo. Insomma non si cresce come essere umano se si nasconde sempre dietro un dito.