Se il  coraggio è resistenza alla paura e dominio della paura, ma non assenza di paura. Ogni giorno mi devo abituare a fare  qualcosa che non mi piace: questa è la regola d'oro per abituarmi a fare il mio dovere senza fatica.

 

Tedesco e marco

Se gli abitanti dell'Italia sono gli italiano, quelli della Francia sono i francesi. Perché gli abitanti della Germania sono invece "i tedeschi"? La lingua tedesca, così come è parlata oggi, ha molte radici: si forma a partire da diversi secoli avanti Cristo dai dialetti germanici, anglosassoni e scandinavi, influenze che si sentono oggi soprattutto nel vocabolario. Più tardi, attraverso i romani, arrivano molte influenze dal latino che si sentono ancora, oltre che nel vocabolario, soprattutto nella grammatica del tedesco moderno. Guardando bene, la parola tedesco assomiglia un po' alla parola deutsch e non è un caso: infatti, le due parole hanno la stessa radice. Nel medioevo, nel territorio della Germania, che non esisteva ancora come stato, si parlava il latino, lingua della chiesa e dei saggi,  e una lingua popolare chiamata theodisce. Questa parola appare per la prima volta in un documenti dell'anno 786 dopo Cristo, proviene dai dialetti germanici e significava semplicemente "del popolo". Quindi, in origine "lingua tedesca" significava semplicemente "lingua del popolo" a differenza dal latino che era la lingua dei saggi, dei monaci, la lingua di chi sapeva leggere e scrivere. Da theodiscus si sviluppa la parola deutsch, e in Italia la parola tedesco. I tedeschi ovvero die Deutschen erano quindi semplicemente coloro che parlavano la lingua del popolo. La parola italiana Germania era usata già dai Romani che chiamavano così il territorio tra i fiumi Reno, Danubio e il mare baltico. I popoli che vivevano lì erano i Germani. Lo storico latino Tacito scrisse, nell'anno 98 dopo Cristo, il famoso trattato Germania - De origine, situ, moribus ac populis Germanorum dove vengono studiate da un punto di vista geografico ed etnografico le popolazioni germaniche. In Francia si usa ancora un'altra parola per la lingua tedesca: allemand, ma esistono anche, come concetti storici, le parole germanique e tudesque. La parola allemand risale agli Alemmannen, un popolo germanico che viveva tra Germania dell'sud-ovest, Svizzera e Francia dell'est, l’odierna Alsazia. Ancora oggi il dialetto tedesco parlato in quelle parti si chiama anche alemannisch. Ma pensate in origine la parola "marco" non aveva niente a che fare con la moneta. Nella lingua antica tedesca 'marcha' significa confine, delimitazione. Ancora oggi le parole "marcare", in tedesco: "markieren", testimoniano questa origine. "Markstein" è ancora oggi il nome della pietra che indica il limite di un territorio. "Mark" divenne poi il nome del territorio di confine, infatti da lì vengono nomi come "Danimarca", regione dei danesi, "Mark Brandenburg", nome tradizionale della regione tedesca di Brandeburgo, e anche "le Marche"! Le Marche erano infatti zona di confine con il Sacro Romano Impero. I feudi che gli imperatori davano ai nobili da condurre si chiamavano marchesati, da cui presero il nome la Marca di Fano, la Marca di Camerino, la Marca di Ancona. Ecco perché oggi, pur essendo una singola regione, la regione ha il nome al plurale. "Marchese" in tedesco è "Markgraf", cioè conte di una zona di confine.  Molte parole in uso corrente,  oltre a "markieren e "Markstein", testimoniano l'origine della parola. Nel rugby "Mark" significa "fuori", "markant" sta per marcato, pronunciato, "die Marke" è contrassegno, marchio e la marca, die Markung è la demarcazione e infine: die Briefmarke, (francobollo, indica un valore e si avvicina così già al "marco" come nome per la moneta.  A partire da secolo IX la parola "marco" assume un nuovo significato. La "delimitazione territoriale" diventa anche una misura per il peso, diventa qualcosa che "delimita, marca" il peso di una merce di scambio. E da qui non è più lontano alla moneta perché nel medioevo, e poi fino ai tempi moderni, il valore di una moneta viene misurato in base al suo peso! All'inizio del secolo X la parola "marca" indicava un peso di ca. 200 grammi. Il marco di Colonia che era molto diffusa, la "marca coloniensis ponderis et puritatis" pesò 233,28 grammi ed era suddiviso in 24 "Lot" Si trattava di un peso, ma anche la moneta d'argento di questo peso, fu chiamata "marca". Il sistema monetario del medioevo era piuttosto caotico e il peso delle monete cambiava continuamente. Oltre al marco esistevano molte altre monete, pesi, e solo nel 1504 la parola "marco" appariva per la prima volta come nome inciso su una moneta.  Questo succedeva ad Amburgo, ed era all'epoca d'oro della "Lega Anseatica", la potente associazione di commercianti di Amburgo e Lubecca. Loro dominarono il commercio nel Mar Baltico ed erano loro a portare il "marco" fino a San Pietroburgo in Russia e da lì in Finlandia.. Lì è rimasto e così, fino all'introduzione dell'Euro. Ma anche la valuta finlandese era il "marco finlandese"!
In italiano e francese il marco è maschile, ma in Germania è femminile: "die" Mark. Mentre all'estero era visto come un guerriero minaccioso, in Germania era piuttosto la madre protettrice, e molti tedeschi, quando si passava all'Euro, non volevano fare a meno di lei e adesso molti la rimpiangono.

Favria  29.05.2012      Giorgio Cortese

Certe persone dovrebbero rammentarsi sempre che la validità logica di un ragionamento non ne garantisce la verità

Trionfa sempre il gioco di squadra

Un sospetto l’avevo: non bastano undici campioni per fare una formazione invincibile, conta il gioco di squadra,  il “lavoro di gruppo”.

La vita assomiglia molto ad un gioco di squadra in cui certi ruoli non aderiscono al mio personale carattere, ma sono imposti per una serie di eventi casuali e causali tra di loro intrecciati. Sono convinto che ogni giorno siamo immersi nella  comunicazione un aspetto quotidiano che riguarda tutti e  penso che non esista la non-comunicazione. Esiste, però, ed è esperienza comune soprattutto in ambito lavorativo, la comunicazione inefficace, quella che non centra l'obiettivo o viceversa riesce a creare o a peggiorare conflitti preesistenti. la prima  considerazione  è che il modello comunicativo durante la giornata si può  distorcere portando spesso come conseguenza il deterioramento delle relazioni interpersonali in ambito lavorativo Da qui l'importanza rivestita dall'efficacia del processo comunicativo, indissolubilmente connessa con la scelta del linguaggio, delle modalità espressive e dell'atteggiamento più appropriato al contesto con cui si dialoga. Mi devo ricordare, ogni giorno, che il termine comunicare vuole dire  "trasmettere" e purtroppo se non trasmetto bene il messaggio o nono recepisco bene il messaggio di chi mi sta attorno, poi risultati  non sono quelli sperati. Nel lavoro come nelle Associazioni di volontariato o politiche il “colpo di genio” non basta più, ma per avere successo occorre fare gioco di squadra. Il  segreto è quello di mettere   insieme“fantasiosi non concreti e  concreti poco fantasiosi”. L’importante è avere un obbiettivo comune da condividere con entusiasmo ed aiutandosi a vicenda. Ogni giorno la vita quotidiana,  mi ricorda che devo giocare come se fosse quello il giorno più importante. Tutto si decide quotidianamente, ora, noi o lavoriamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro fino alla disfatta. Credetemi se  dico che  possiamo farci prenderci a schiaffi dalle delusioni oppure aprirci la strada lottando lealmente verso i traguardi prefissati. Se ci crediamo, ne sono convinto che possiamo scalare le pareti quotidiane un centimetro alla volta. Io, però, non posso farlo se non ci passiamo più informazioni possibili, se non riponiamo incondizionata fiducia gli uni agli altri. Sono consapevole che ogni giorno commetto degli umani errori e questo  purtroppo  si impara solo dopo averli commessi e   chiedo scusa  se paragono la magnifica avventura della vita quotidiana, al football, perché in entrambi questi giochi,  il margine di errore è ridottissimo: mezzo passo fatto un po’ in anticipo o in ritardo e noi non ce la facciamo, mezzo secondo troppo veloce o troppo lento e manchiamo l’obbiettivo prefissato. I centimetri che ci servono sono dappertutto intorno a noi e ce ne sono in ogni attimo della partita. Ce ne sono ad ogni minuto ad ogni secondo, in questa squadra si deve imparare a contende onestamente per questo centimetro. In questa squadra ci pestiamo di fatica e non lascio persa nessuna occasione di quelle persone che stanno  intorno a noi per un centimetro. Ci difendiamo con le unghie e coi denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta.  Ogni giorno devo essere consapevole e crederci che posso farcela, perché  la vita in certi frangenti è tutta lì,  è in quei dieci centimetro che ci stanno davanti alla faccia. Ma non posso obbligare nessuno a lottare, ma dobbiamo guardare negli occhi i miei colleghi  consapevole del fatto che quando sarà il momento ci aiuteremo  a vicenda. questo è essere una squadra: o noi siamo un buon collettivo o saremo annientati individualmente. Allora cosa si vuole fare? Ho dialoghiamo e facciamo gruppo oppure giochiamo individualmente e se perdiamo non ci sarà nessuno con cui dividere la sconfitta. Per questo siamo costretti a vincere giorno per giorno.

Favria , 30.05.2012           Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana pormi i un obiettivo è la più forte forza umana di auto motivazione. Ma è nel momento delle decisioni che si plasma il mio destino. E non mi  scoraggio perché ogni tentativo sbagliato è sempre  un altro passo avanti.