Leggende della Val Soana
a cura di  Riccarda Viglino

LA VECCHIA     lu chiapei d’la refiuria

Il pomeriggio scivolava lento, scandito dal ronzio insistente delle api sui fiori di campo.
Il sole batteva quasi a picco sulle pietre del muro della baita e scaldava la sua povera schiena. Vecchia, troppo vecchia ormai anche per seguire le mucche nei prati verso il torrente, condannata ad aspettare il ritorno degli altri dal pascolo. Sorvegliava le galline, il loro razzolare pigro, teneva lontane le capre dal recinto dell’orto. Lavori da bambini, o da vecchi. Era sola nel piccolo alpeggio costituito da qualche baita per il pascolo estivo degli animali , una fontana e il lavatoio, di fronte le montagne azzurre e vive contro l’azzurro del cielo.
C’era tempo per sonnecchiare e per pensare, solo i ricordi la tenevano viva, riempivano le sue giornate e i pomeriggi solitari ed assolati come questo. L’alpeggio e la sua mente si popolavano allora di volti e presenze che molti dei suoi neanche avevano mai conosciuto o non ricordavano più. Prendevano vita fatti e storie d’altri tempi, suoni antichi, melodie della sua infanzia e giovinezza, odori e sapori mai scordati. Tutto accadeva in una sorta di dormiveglia dove le sensazioni si alternavano vivide e reali con un’intensità che la lasciava spossata ed esausta, come trasognata.
Un’ombra si allunga davanti a lei che solleva la testa appena e non mette subito a fuoco la figura che le sta di fronte , abbagliata dal riverbero del sole sulle pietre. Poi riesce a vederlo: è un uomo ancora giovane, vigoroso, con la barba ben curata e gli abiti dimessi, un po’ logori. La posizione curva sotto il peso di un grande macigno squadrato irregolarmente, una grossa pietra banale, come se ne trovano tante sulle montagne.
Sosta davanti a lei spostando il peso del corpo da una gamba all’altra e le rivolge un saluto a cui lei risponde con un cenno del capo socchiudendo gli occhi dubbiosa e diffidente. Sceglie per parlargli, l’italiano che conosce poco ma che giudica certamente più adatto allo sconosciuto della loro parlata chiusa ed asciutta incomprensibile ai maret quelli cioè che non sono della valle. E quell’uomo è sicuramente un forestiero. Appena riscossa dal sonno e dai suoi sogni, ancora non completamente in grado di distinguere tra quelli e la realtà, non si pone e non pone domande sulla condizione incredibile del viandante, in cammino con quell’enorme peso sulle spalle, verso chissà dove. Solo lo invita, ovviamente, a riposare un poco; si sieda per un attimo accanto a lei, posi a terra il macigno per scambiare due parole, bere magari un sorso di quell’acqua di fontana così fresca!
Lo sguardo del forestiero si addolcisce per un attimo ma poi subito si offusca e torna lontano, imperscrutabile mentre l’uomo afferma di non poter proprio sostare più a lungo e men che mai posare a terra il suo peso. Il suo tono si fa persino, ad un certo punto, vagamente minaccioso quando afferma che se davvero posasse a terra la pietra, peggio sarebbe per lei, davvero!
E’ meglio quindi per lui non prestare ascolto agli inviti della vecchia e riprendere al più presto il cammino brevemente interrotto. Ma la donna prende gusto ora alla questione, rinvigorita ed interessata dalla determinata ostinazione dell’altro: si alza in piedi un po’ a fatica e, ricacciando sotto i lembi del fazzoletto nero che porta in capo, le ciocche bianche sottili che vi sfuggono con gesto veloce e sicuro, ribatte quasi con stizza. Che sarà dunque mai quella pietra da non poter essere posata in terra, e che potrà mai succedere se egli si riposasse un poco dal peso? L’uomo sorride ora, brevemente......

I suoi ritornati dal pascolo all’ora solita guardarono muti e sgomenti l’alpeggio scomparso, ascoltarono in quel silenzio attonito, muti anche gli uccelli, salire dai massi dell’enorme pietraia che lo aveva ricoperto, il gorgoglio dell’acqua della fontana. Poi chiamarono a lungo ed inutilmente cercarono la vecchia nei prati e nei boschi lì intorno dove speravano avesse trovato rifugio.


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