150 dalla fondazione delle Truppe Alpine , UNITRE CUORGNE’ – Armiamoci e partite! – Montgisard, 25 novembre – Una leggenda contadina. – Da solidum alla solidarietà ed i soldi. -Yankee…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

150 dalla fondazione delle Truppe AlpineDocente M. Barsimi mercoledì  23 novembre ore

15,30 -17,00 Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS.Trinità – Via Milite Ignoto.Le
Truppe Alpine dell’Esercito hanno compiuto oggi 150 anni di vita al servizio del Paese e della comunità, questo è il tema della conferenza che verrà illustrato dalla giornalista docente Margherita Barsimi. Corpo Alpino fondato a Napoli, destinato alla difesa delle Alpi, crebbero rapidamente in numero partecipando lungo un secolo e mezzo, sempre in prima linea a tutte le principali campagne militari, oltre che alle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali.  Oltre alla peculiare caratteristica di vivere, muovere e combattere in montagna e in climi artici,  quello che contraddistingue queste truppe è lo spirito di corpo che rimane dopo il servizio militare,  il forte spirito di solidarietà dove si ritrovano i reduci e si soci iscritti all’ANA dove ognuno, all’occorrenza, mette a disposizione di tutti il proprio tempo libero, la propria arte, il proprio lavoro, e quando servono anche le proprie disponibilità economiche. Sono una fucina di valori, di solidarietà, di amore per il bello, di convivenza civile.

Cuorgnè,  Favria,  23.11.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana coltivare la bellezza è allenamento della competenza emotiva e alla sensibilità. Il contrario di bellezza non è la bruttezza ma la rozzezza culturale e l’ignoranza emozionale. Felice mercoledì

Armiamoci e partite!

“Armiamoci e partite”, quante volte abbiamo sentito questa frase per
stigmatizzare il comportamento di chi, dopo aver perorato un’azione più o meno temeraria e esortato gli altri ad intraprenderla, evita poi di partecipare personalmente all’impresa, sottraendosi così alle conseguenze? Il primo ad usare tale espressione fu  Olindo Guerrini nella poesia “Agli Eroissimi”, composta contro la retorica militarista all’indomani della disfatta di Adua del 1.3. 1896.

Poesia che vi invito a leggere. La frase divenne popolare  allo scoppio della Grande Guerra, messa in bocca al giovane Benito Mussolini da parte dei “neutralisti”, allo scopo di deriderne la foga interventista (ed è riecheggiata da un omonimo film muto del 1915), dopo essere stato con altrettanta convinzione neutralista. Allo stesso modo, durante il Ventennio, servì a ironizzare sui gerarchi che, al sicuro delle loro posizioni nel Partito Nazionale Fascista, incitavano i giovani ad arruolarsi per prendere parte alle campagne del regime. La fortuna di questa espressione nel Dopoguerra è legata soprattutto ai film, in particolare a “Totò contro Maciste” (1962), in cui Totò-Totokamen arringa così, con voce stentorea, il popolo di Tebe: “Spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e i suoi fratelli
… Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo”.

Favria 24.11.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Qualsiasi dono è comunque anche un enigma. Felice giovedì

Montgisard, 25 novembre

Il regno di Gerusalemme, nato nel 1099 a seguito della Prima Crociata, il regno cristiano nella Terra Santa liberata dagli infedeli non riuscì mai a superare la dimensione dell’enclave assediata da nemici forti e numerosi, circostanza che lo condannò a due secoli di esistenza precaria e tumultuosa. Mentre sul fronte musulmano nella seconda metà del XII secolo andava imponendosi la stella del Saladino, straordinario condottiero curdo, quello cristiano vide salire al trono del Regno il tredicenne Baldovino IV, era nato a Gerusalemme nel 1161,  sul cui futuro nessuno avrebbe scommesso, tanto più che con l’approssimarsi dell’adolescenza la lebbra, diagnosticata già in tenera età, subì un’accelerazione, degenerando nella forma più devastante. Baldovino, invece, smentì ogni fosca previsione: ignorando la tregua concordata con il Saladino, nel 1175 il giovane re ruppe gli indugi e guidò personalmente l’esercito in alcune incursioni nei territori di Damasco e nella valle della Beqa’, lanciando la sua personale sfida al potente rivale. Il Saladino mosse dal Cairo alla testa di un esercito di 26mila soldati, presentandosi rapidamente, dopo gli assedi di Ramla, Lidda e Arsuf, davanti alle mura della città di Ascalona, dove Baldovino si era asserragliato con 1.400 soldati. Convinto di avere già la vittoria in tasca, Saladino peccò di presunzione e lasciò che il suo esercito si disperdesse in una vasta area per fare razzie. Baldovino si rese conto che la difesa del Regno necessitava di un’azione immediata. Raggiunto da un’ottantina di cavalieri templari, il re  lebbroso mosse decisamente contro il nemico, che raggiunse il 25 novembre del 1177 a Montgisard, nei pressi di una fortezza templare che sorgeva vicino alla città di Ramla. Saladino cercò in fretta e furia di ricompattare le fila del suo esercito che, nonostante la frammentazione dei reparti, rimaneva di gran lunga più numeroso, al punto che il suo apparire sul campo di battaglia lasciò i cavalieri cristiani atterriti per l’evidente disparità di forze. Fu in quel momento che Baldovino, già sofferente per la terribile malattia che lo tormentava, scese a fatica da cavallo e si piegò con la faccia fino a terra per pregare in lacrime di fronte alla Vera Croce, la reliquia normalmente conservata nella basilica della Resurrezione in Gerusalemme, ma in quel caso eccezionalmente portata sul campo dal vescovo di Betlemme. Rialzatosi, il giovane re ordinò ai suoi uomini la carica contro il soverchiante nemico. Commossi dalla devozione del sovrano e accecati dal desiderio di vendetta per i saccheggi subiti sulle proprie terre, 500 cavalieri cristiani si lanciarono in un disperato assalto frontale che nella sua follia riuscì a sorprendere il nemico, atterrito da tanta audacia. Lo scontro tra le due schiere fu un bagno di sangue: migliaia di musulmani persero la vita, lo stesso Saladino si salvò per miracolo, dandosi alla fuga protetto dalla sua guardia personale. La disordinata ritirata dei musulmani verso l’Egitto fu martoriata da insistenti piogge e si risolse in una drammatica rotta. A Montgisard il re lebbroso scrisse una pagina di rilievo nella storia delle Crociate cogliendo nel contempo una clamorosa rivalsa personale: giovanissimo e già minato dalla malattia, in evidente inferiorità numerica, aveva costretto alla resa con la sola forza della fede il terrore della Cristianità, il “feroce Saladino”. Una vittoria clamorosa che però non poteva da sola ribaltare i rapporti di forza sul campo e cambiare rotta al destino precario del Regno. Baldovino morì nel 1185 a soli 24 anni. Due anni dopo, al termine di un lungo assedio, Saladino avrebbe preso Gerusalemme.

Favria,  25.11.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita è più forte di tutto, perché la vita non ci appartiene ma ci attraversa. Felice venerdì

Una leggenda contadina.

La raccolta dei cachi cade proprio nel bel mezzo dell’autunno, da Ottobre a Dicembre circa, e il frutto è tipico di tutte le tavole italiane, almeno per quanti lo apprezzino. Il nome scientifico della pianta deriva dalla composizione di due parole greche e significa in modo letterale grano di Zeus. L’albero del Cachi (il cui frutto in italiano viene comunemente chiamato al singolare “caco” per l’antico errore di considerare il nome il plurale della parola) in Cina viene considerato un vegetale prodigioso, accreditato nella tradizione di ben sette virtù: una vita lunghissima della pianta, le foglie  donano grande ombra, questa pianta  non è attaccata dai parassiti, le foglie  giallo/rosse sono una vivace decorazione autunnale, l’albero consente agli uccelli di nidificare fra i rami, con il legno si fa un ottimo fuoco, il copioso fogliame offre un abbondante concime per le piante Chissà se nell’antica Cina avrebbero immaginato che, importato in Europa, il Cachi avrebbe guadagnato anche un’ottava virtù. Mi spiego meglio, i semi del Cachi, scientificamente noto come Diospyros kaki, sono dei piccoli chicchi di pochi centimetri di lunghezza, ma al loro interno nascondono un segreto interessante e curioso. Nonostante sia difficile oggi trovare il seme all’interno di un cachi è possibile tagliare in due quello di un cachi mela, che non è l’incrocio con una mela ma una varietà del cachi con i frutti simili a una mela, e osservarne l’interno. Secondo la tradizione contadina la presenza di ogni tipo di posata era un segno che consentiva di prevedere l’andamento dell’inverno: con il coltello ci sarà freddo pungente; con la forchetta si prevede un inverno mite; con un cucchiaio ci sarà tanta neve da spalare. Naturalmente le previsioni popolari basate sui semi di cachi erano tutto fuorché basate su un ragionamento scientifico, e l’unica funzione dell’apertura del germoglio è quello di divertirsi e ricordare un’antica e folkloristica tradizione delle campagne. Il gioco delle posate è divertentissimo da fare con i più piccoli perché si divertiranno a scoprire le tre diverse forme nascoste in ogni seme. Questo è solo uno dei tanti modi per appassionare i bambini alla natura e alla scienza che vi sta dietro, quindi può essere l’occasione ideale per coniugare un argomento biologico con un aspetto “magico” della tradizione contadina. La posata altri non è che il germoglio, e la sua forma varia in funzione al suo stato di preparazione per uscire ed emettere i cotiledoni, che altro non sono che le prime foglie della pianta. Il coltello, la forchetta o il cucchiaio non è che una pianta di cachi in miniatura, ancora allo stadio iniziale e protetta dall’esterno del tegumento del seme stesso. Il suo colore bianco è dovuto all’assenza di luce all’interno del seme, e una volta germogliato assumerà il tipico colore verde dei vegetali. Fra le altre interpretazioni della pianta del cachi vi è anche quella di “albero della pace”, perché proprio alcune piante di cachi sopravvissero alla bomba nucleare scagliata contro Nagasaki il 9 Agosto 1945. È proprio vero  che  gli alberi si conoscono dai loro frutti e noi esseri umani dalle nostre non opere.

Favria, 26.11.2022  Cortese Giorgio

Buona giornata. Nella vita quotidiana la strada più semplice per essere felici è fare del bene. Felice sabato

Da solidum alla solidarietà ed i soldi.

La parola solidarità deriva nientemeno che dal latino giuridico, per gli antichi romani pagare in solidum indicava l’obbligo contratto da una persona, appartenente a un gruppo di debitori, di pagare interamente il dovuto. La persona solidale era strettamente vincolata ad altri in un legame di interdipendenza. L’aggettivo solidus,  da cui deriva il sostantivo solidum,  aveva anche il significato di pieno, intero, oltre a quello di solido e robusto. Il pagamento “in solidum” era quindi un pagamento completo. Ma dalla parola solidum deriva anche il lemma di soldo. Nella tarda antichità, intorno al IV secolo, il solidum era una moneta, in origine d’oro, il cui valore avrebbe dovuto mantenersi stabile e inalterato nel tempo. In seguito, nel Medioevo, si formarono eserciti di combattenti professionisti, che prestavano servizio dietro un pagamento chiamato soldo e divennero quindi noti come soldati.

Ma allora quando è  nata la parola solidarietà nel significato che usiamo oggi?

Beh, dobbiamo arrivare alla Rivoluzione Francese, quando nel lontono 1789 la parola solidarité uscì dall’ambito giuridico ed economico in cui veniva usata e cominciò a indicare un atteggiamento di supporto, sostegno e vicinanza ai propri concittadini e connazionali. Con questo significato la parola solidarietà superò i confini francesi e si diffuse altrove, Italia compresa. Il significato di solidarietà si espanse ulteriormente fino ad abbracciare l’intero genere umano e tutte le persone in stato di bisogno senza distinzioni di nazionalità, sesso o religione.

Ma se ci pensiamo bene la solidarietà è una forma di sostegno reciproco che compatta il corpo sociale rendendolo più unito e resistente come le figure geometriche, dove ogni solido è costituito e sostenuto da tutte le sue componenti: nessun elemento è sospeso nel vuoto ma ogni faccia è collegata ad alle altre.

Oggi essere solidali vuole dire aiutare il prossimo, moralmente e materialmente, ed è sinonimo di fratellanza e amore verso gli altri; tutti questi sono ideali predicati dalla chiesa cristiana, ma che è bene diffondere anche tra chi non è credente o appartiene ad altre società ed etnie, poiché la solidarietà dovrebbe essere una presenza costante nel nostro carattere e nel nostro modo di fare.

Purtroppo nel mondo moderno la solidarietà è un valore che sta scomparendo, soppiantata da egoismo, competitività e altri atteggiamenti e sentimenti negativi, specialmente oggi dove dietro ad una tastiera di un computer ci sentiamo leoni, anzi meglio delle iene che sputano sentenze, e non capiscono che gli Amministratori pubblici di qualsiasi fede politica sono stati eletti  per il servizio della Comunità, ma se su di loro vengono tutte le responsabilità, di questo passo più nessuno  accetterà di ricoprire certi ruoli, forse questo è il primo passo verso la disgregazione della democrazia per arrivare alla tirannide? Mi auguro di no!

Favria, 27.11.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Siamo esseri umani fino dove arriva il nostro amore, che non ha confini se non quelli che gli diamo. Felice domenica.

Yankee

Per l’europeo, uno yankee è un americano. Per un americano, uno yankee è un nuovo Inghilterra. Per un New Englander, uno yankee è un Vermonter. Per un Vermonter, uno yankee è una persona che mangia la torta di mele a colazione. E a un Vermonter che mangia la torta di mele a colazione uno Yankee è qualcuno che lo mangia con un coltello.

Come puoi vedere dalla citazione sopra, il significato esatto di “Yankee” non è chiaro. Era usato per descrivere l’Unione durante la guerra civile americana ed era generalmente usato per descrivere tutti gli americani da persone al di fuori degli Stati Uniti. L’etimologia della parola è ugualmente confusa.

Daniel Webster (di fama da dizionario) dapprima fece un crack nel 1810, sostenendo che derivasse dal persiano janghe, che significa “un uomo bellicoso” o “un cavallo veloce”. Nel 1828, sosteneva che provenisse da Yengeese, una pronuncia nativa americana di “inglese”. Una teoria particolarmente popolare è che viene dall’olandese, una combinazione di “Jan” (un nome popolare) e Kees (che significa “formaggio”). Questa teoria è ben nota, ma sembra sollevare più domande di quante ne risponda. La US Navy crede che provenga da mercanti olandesi che chiamano capitani di mare americani Yankers, che significa “wrangler”. Altre teorie includono: una corruzione francese di “Anglais”, una parola derivata dalla parola scozzese “yank” (riferita a un duro colpo), e un’appropriazione britannica della parola Cherokee eankke, che significa “schiavo” o “codardo”.

Sebbene nessuna di queste teorie possa essere dimostrata, esistono prove che alla fine potrebbe avere un’origine nativa americana. Il Lenni-Lenape si riferiva all’inglese come Yankwis, anche se più spesso nella derivata Yankwako, o “Serpente inglese”. Altre fonti dicono che la parola Lenni-Lenape si riferiva specificamente a persone del New England, mentre gli inglesi erano indicati come Saggenash e i virginiani erano chiamati solo minacciosamente “lunghi coltelli”.

Favria, 28.11.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana  molte volte ai nostri desideri non corrisponde il potere  di farli avverare.  Felice  lunedì.