4 novembre 1918, quando nacque il concetto di pronunciare la parola Patria!

4 novembre 1918, quando nacque il concetto di pronunciare la parola Patria!
Il 4 novembre 1918: fu firmato l’armistizio tra il Comando dell’esercito italiano e quello austriaco. Da allora sono passati 96 anni, ma quella vittoria è entrata non soltanto nella storia e nel ricordo degli italiani. Essa ha ancora il potere di evocare il sentimento della Patria, sia pure in forme sbiadite e come circondate da uno strano pudore. Oggi quasi nessuno usa la parola Patria. Molti dicono, Nazione, oppure Paese o Italia. Ritengo che la ragione principale è che durante il fascismon si è parlato troppo e male della Patria, quando si riteneva gloriosa la conquista di Patrie altrui, e si usava la parola Patria per indicare continuamente di guerra e di conquista, come fossero necessità fatali. Ma, dopo novantasei anni, queste deviazioni del passato si potrebbero dimenticare. Personalmente sono orgoglioso di parlare di Patria e ritengo che questa parola esprima un insieme di valori. Con la vittoria nella prima guerra mondiale, o quarta guerra d’Indipendenza, fu raggiunta la completezza geografica dello Stato, con il territorio di Trieste, il Trentino e l’Istria. Soprattutto cominciò a nascere negli italiani, fino al 1861 divisi in piccoli regni, ducati, arciducati, e così via, la coscienza di far parte di un unico Stato e un’unica Nazione. Si realizzò un sogno di poeti e di spiriti eletti che era nato molti secoli prima. Però per la vittoria, che indichiamo col 4 novembre I918, l’Italia neonata aveva dovuto pagare un prezzo altissimo. Seicentomila furono i morti, un milione i feriti, moltissimi dei quali rimasero mutilati. Ormai conosciamo infiniti particolari di quella guerra, vittoriosa alla fine, ma dolorosissima sul piano umano. Oggi gli storici più recenti rivedono la prima guerra mondiale, detta anche la Grande Guerra, per l’immenso massacro di persone, con occhio imparziale, senza più alcuna retorica, o illusione, o mitizzazione. Nei loro libri il conflitto è visto sempre dalla parte del povero fante, costretto a stare nelle trincee pantanose, affamato, impaurito, sempre in attesa che arrivasse l’ordine di uscire all’assalto per conquistare qualche centinaio di metri, una trincea nemica, o una collina insignificante sul versante strategico. Conquistarla significava lasciare sul terreno migliaia di morti; pochi giorni dopo, non di rado, veniva di nuovo perduta. I soldati erano spesso giovani ventenni, strappati ai loro campi, agli affetti, al lavoro quotidiano, ai loro veri interessi, per andare a morire in luoghi sconosciuti, per combattere altri soldati che non avevano alcuna ragione di odiare. Nelle trincee popolani di tutte le regioni, i quali spesso conoscevano soltanto il loro dialetto, non riuscivano quasi a capirsi, se non sul piano dei sentimenti e dei fatti. Dopo il 1917, l’anno di Caporetto, delle grandi sconfitte dell’Intesa, s’erano verificati grandi fatti che avevano cambiato radicalmente la situazione militare. Il crollo della Bulgaria, sotto la pressione della spedizione interalleata di Salonicco. Poi quello della Turchia, che si piegò all’armistizio di Mudros. Però le cose cambiarono soprattutto perché l’intervento degli Stati Uniti ormai si faceva sentire in modi massicci. Tre milioni di uomini, mezzi militari e vettovaglie a non finire. Ma anche il contributo italiano fu determinante. Lo riconobbe persino il maresciallo Eudendorf in una lettera famosa. Dalla battaglia del solstizio fino all’ingresso a Trieste e a Trento fu un’avanzata lenta ma continua ed esaltante. Il Piave, Vittorio Veneto diventarono subito leggendari. Il presagio della vittoria galvanizzava persino i poveri soldati contadini. Anch’essi cominciavano a rendersi conto che la Patria, nonostante tutto, era una cosa importante, grandiosa, e che i loro tremendi sacrifici avevano avuto un significato
Favria, 5.11.2014 Giorgio Cortese

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Res gestae favriesi da Thomain a Tomaino.
Tomaino è tipicamente calabrese, del catanzarese, di San Pietro Apostolo, Decollatura, Lamezia Terme, Catanzaro, Amato e Carlopoli. Dovrebbe derivare dal nome medievale Thomainus, o dal nome franconormanno Thomain, entrambi forme ipocoristiche del nome di origini ebraiche Thomas , l’italiano Tommaso. In linguistica, un ipocoristico è la modifica fonetica, solitamente un raccorciamento, in questo caso anche come Maso, Masino, Misino, Mino. Come si vede tale modifica può originare un diminutivo, un vezzeggiativo, oppure una commistione delle due forme. Il termine ipocoristico deriva dalla lingua greca, derivato a sua volta dal verbo: “chiamare con voce carezzevole o con diminutivi”. In Italia ci sono circa 409 persone con il cognome Tomaino. Il comune dove il cognome è più diffuso è Torino. Il nome Tomaino deriva dal greco a sua volta dal nome aramaico che voleva dire “gemello”, a quindi il significato danalogo di Didimo e Gemino. Si tratta di un nome di tradizione biblica, portato nel Nuovo Testamento dall’Aposto Tommaso, grazie al quale si diffuse tra i cristiani. La curiosità è che questo nome è arrivato in Calabria attraverso i Normanni. Pensate che in Inghilterra prima della conquista da parte dei Normanni era usato solo come nome sacerdotale, importato dai Normanni divenne ben presto uno dei nomi più comuni, anche grazie alla figura di Tommaso Becket
Favria 8.11.2014 Giorgio Cortese