‘A Trizza. – Noto capitale del barocco siciliano. – Le teste di moro, una storia d’amore. – La danza nell’Ottocento e Novecento. – Tra monumenti che sanno di storia e cultura . – Il biscione visconteo, l’Inter! . – La Sicilia luogo dei miti…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

‘A Trizza ‘ a Trizza in siciliano, sperando di averlo scritto giusto è il piccolo borgo di Aci Trezza, a dispetto

‘a Trizza in siciliano, sperando di averlo scritto giusto è il  piccolo borgo di Aci Trezza, a dispetto delle sue dimensioni, rappresenta una piccola perla per la terra sicula. La storia del posto si lega a leggende risalenti all’antica Grecia ma anche alla ben più attuale letteratura italiana. Aci  Trezza è una frazione del comune di Aci Castello, nella città metropolitana di Catania. Centro peschereccio di antica e notevole tradizione, è famoso per il suo paesaggio. Si affaccia sul mar Ionio e dista circa 9 chilometri da Catania. Il panorama che si ammira dal borgo è dominato dai faraglioni dei Ciclopi, degli scogli basaltici, e dalla vicina isola di Lachea, che viene identificata con l’omerica isola delle Capre.  I Faraglioni dei Ciclopi sono degli scogli che si innalzano dal mare. Attorno a questi vi è una leggenda che narra dell’ira di Polifemo il quale cercò di colpire Ulisse durante la sua fuga proprio con questi scogli.

Favria, 12.09.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ritengo che per noi umani avere questo pianeta terra e non rovinarlo sia la più alta forma d’arte che possiamo desiderare. Felice lunedì

Noto capitale del barocco siciliano.

Tra il XVII ed il XVIII sec. si sviluppa il cosiddetto “barocco siciliano”, caratterizzato sì dall’opulenza delle decorazioni e dall’architettura scenografica, tipiche dello stile barocco, ma questa esuberanza decorativa e teatrale si adatta, in Sicilia, alla tradizione locale. Questo stile non può distaccarsi dalle diverse influenze che le dominazioni hanno lasciato sul nostro territorio e dalla situazione politica, sociale ed economica dell’epoca in cui si sviluppa il barocco in Sicilia; è infatti il periodo dei vicerè spagnoli, di carestie e di epidemie, ma soprattutto di grandi catastrofi naturali, quali la tremenda eruzione dell’Etna nel 1669 e il devastante terremoto che nel 1693 distrusse la Val di Noto. Fu proprio la ricostruzione post terremoto della Sicilia orientale a dare impulso a questo fenomeno artistico, che si sviluppa grazie alle ingenti somme investite da Chiesa, ordini religiosi e nobiltà per riedificare gli edifici. Ecco perché la massima espressione del barocco siciliano si ha nell’architettura, nelle facciate concave e convesse delle chiese e dei palazzi, nelle scalinate scenografiche, nelle fontane e nelle balconate, le cui mensole sono riccamente decorate.

Noto 13.09.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Certe persone sono simili alle vetrate. Scintillano e brillano quando c’è il sole, ma quando cala la notte solo quelle con la luce dentro rivelano la loro bellezza. Felice martedì.

Le teste di moro, una storia d’amore.

La ceramica siciliana di Caltagirone è un’antica arte artigiana dell’isola, che nasce nel neolitico e prosegue fino ai nostri giorni: infatti, le ceramiche di Caltagirone sono molto apprezzate in tutto il mondo, facendo della città il fulcro dell’artigianato siciliano. La ceramica di Caltagirone, conosciutissima in tutto il mondo, è un trionfo di bellezza e la realizzazione dell’arte si esprime con le “Teste di Moro”, che al riguardo come ci  narra una leggenda.  Secondo la leggenda, intorno all’anno 1000, nel pieno della dominazione dei Mori in Sicilia, nel quartiere arabo di Palermo “Al Hàlisah”, che significa la pura o l’eletta, oggi chiamato Kalsa, una bellissima fanciulla viveva le sue giornate in una dolce quanto solitaria quiete, dedicando le sue attenzioni all’amabile cura delle piante del suo balcone.

Dall’alto della sua balconata fiorita, ella venne un giorno notata da un giovane, un Moro. Sopraffatto da una violenta passione per essa, il giovane Moro non esitò un attimo a dichiararle il suo amore. La giovane, colpita dalla promessa d’amore ricevuta, accolse e ricambiò con passione il sentimento dell’ardito corteggiatore.

Eppure il giovane, che non si era fatto scrupolo alcuno nell’abbandonarsi alle più dolci profusioni amorose, in cuor suo celava un gravoso segreto: moglie e figli lo attendevano difatti in Oriente, in quella terra nella quale egli doveva fare ora ritorno. La fanciulla distrutta nell’apprendere una tale notizia ed amareggiata per quell’amore tradito che si accingeva ora ad abbandonarla, fu colta da un’ira funesta che la spinse inesorabilmente ad imboccare la strada della vendetta. Ella meditò di cogliere il momento di maggiore vulnerabilità dell’uomo per ricambiare l’impietosa slealtà precedentemente subita.

Così nella notte, mentre egli caduto in un sonno profondo e riposava ignaro della sua sorte, ella colse l’attimo propizio e lo colpì mortalmente. Il moro che l’aveva amata e che si accingeva a partire ora non l’avrebbe più abbandonata. Decise inoltre che il volto di quel giovane, a lei eppur caro, sarebbe dovuto rimanere al suo fianco per sempre, perciò senza esitazione alcuna tagliò la testa del giovane creando con essa un oggetto simile ad un vaso e vi pose all’interno un germoglio di basilico. La scelta di piantarvi del basilico fu sancita dal fatto che, come ella ben sapeva, questa odorosa pianta dal greco “Basilikos”, si accompagna da sempre ad un’aura di sacralità rappresentando difatti l’erba dei sovrani; in tal modo, nonostante il terribile atto compiuto, ella perseguiva il dissennato amorevole fine di continuare a prendersi cura del suo adorato.

Depose infine la testa sul suo balcone, dedicando ogni dì alla cura del basilico che in essa cresceva. Ogni giorno le lacrime della giovane bagnavano la pianta regale, che prospera cresceva divenendo sempre più florida e rigogliosa. I vicini, pervasi dal profumo del basilico e guardando con invidia la pianta che vigorosamente maturava in quel particolare vaso a forma di Testa di Moro, si fecero realizzare vasi in terracotta che riproponevano le stesse fattezze di quello amorevolmente custodito dalla fanciulla.

Secondo un’altra versione della leggenda, la fanciulla siciliana sarebbe stata invece di nobili origini, e visse un amore clandestino con un giovane arabo, ma questo amore impossibile venne ben presto scoperto ed il disonorevole atto punito con la decapitazione di entrambi i giovani innamorati. La vergogna di questo amore sarebbe stata inoltre proclamata dall’affissione di entrambe le teste, tramutate per l’occasione in vasi, su di una balconata. Lo scempio, esaltato da queste teste poste alla mercé dei passanti, sarebbe stato in tal modo un monito fattivo contro ogni altra possibile sconveniente passione. Per tale motivo le teste di Turco verrebbero realizzate in coppia, in ricordo ed in onore dei due innamorati assassinati.

La leggenda che spiega l’origine delle preziose Teste di Moro, anche dette Teste di Turco, in siciliano la parola “Turchi” è usata in genere per indicare le persone di colore, indipendentemente dalla regione di origine e venne usata per indicare le origini orientali del giovane Moro, ha nutrito negli anni la creatività degli artigiani palermitani diffondendosi in seguito tra le creazioni dei maestri artigiani del resto dell’isola le cui magistrali opere adornano oggi molte delle balconate siciliane.

In particolare sono rinomate le Teste di Moro di Caltagirone, luogo principe per la produzione di ceramiche di altissima qualità. Una produzione divenuta nei secoli fiore all’occhiello della città, anche per via del suo ricco passato di dominazioni greche, bizantine, arabe, genovesi e normanne, che hanno portato, in particolare durante la presenza greca e araba, allo sviluppo della preziosa arte dei ceramisti siciliani.

Favria, 14.09.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana le piccole gioie non quelle grandi ci servono per darci sollievo e da conforto al quotidiano. Felice mercoledì.

La danza nell’Ottocento e Novecento.

Il nostro essere, la nostra mente, il nostro animo si esprimono attraverso il corpo, che è la nostra porta verso il mondo esterno, è la nostra parte materiale, il mezzo con il quale manifestiamo le nostre passioni, soddisfiamo i nostri desideri, i nostri bisogni, percepiamo noi stessi e gli altri, attraverso il quale ci realizziamo. La nostra esistenza sulla terra è imprescindibile dal nostro corpo. In questo contesto il ballo con la sua gestualità diventa linguaggio con il quale possiamo esprimere le nostre emozioni, senza utilizzare la parola, ma attraverso la musica, diventando sempre più spesso terapeutico e liberatorio. Nell’arco della storia il ballo è diventato pian piano un’arte, una vera e propria disciplina, dove le evoluzioni dei ballerini si trasformano in vere e proprie performance. Il ballo è quindi un’arte, un’espressione del corpo e l’espressione della cultura di un popolo.

Con la civiltà industriale del XIX secolo,  si verificò una profonda trasformazione delle danze, sia popolari che di corte. L’Ottocento fu il secolo del valzer, della mazurka e della polka. Fu anche il secolo delle grandi scuole di ballo, e soprattutto delle sale da ballo, sempre più belle e sempre più affollate. Il valzer portò una vera e propria rivoluzione, nelle abitudini, nei costumi, nelle cultura dei popoli: esso attraversò tutti gli strati sociali e tutte le nazioni; e, dovunque, conquistò con la stessa forza i ceti più umili e le classi aristocratiche. Le ultime resistenze attorno alla contraddanza, che aveva animato le corti del Settecento, furono spazzate senza grossi conflitti. L’ondata del valzer era il segno dei tempi: sulle piste s’imponeva la coppia, come protagonista definitiva del ballo, dell’amore e della vita del XIX secolo. Il continente europeo rimaneva ancora il centro del pianeta danza.  Questo breve spettacolo del regista Enzo Morozzo spiega attraverso lo spettacolo “Io ballo, tu balli …Riflessioni, più o meno serie, sul ballo”, sabato sera ad Ozegna  17 settembre ore 21 presso l’area cortilizia del Comune di Ozegna, dove l’Associazione Teatrale di Ozegna celebra i suoi 30 anni.

I balli, dal valzer,  mazurka,  fox trot, tango,  charleston, rumba, la frenetica samba, oppureancheggiando al ritmo di swing e di boogie – woogie, poi il mambo e il cha – cha – cha, ed infine il rock, si passa la storia italiana e mondiale negli ultimi duecento anni.

Quello che è certo che la danza fa ormai parte delle nostre vite.  Una prova? Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha ballato da solo, nella sua cameretta, muovendosi “senza freni”. La mano è alzata? Nulla di strano, lo facevano già i nostri avi qualche millennio fa.

Favria, 15.09.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo. Felice giovedì.

Tra monumenti che sanno di storia e cultura .

Agrigento è una città nella costa meridionale della Sicilia, quasi sul Mediterraneo. La città è costruita sulla parte alta di una collina e la cosa più caratteristica e più visitata è La Valle dei Templi che scendono soavemente verso il Mare. Alcuni templi stanno ancora in piedi, risalgono all’epoca romana di Agrigento, posto privilegiato per i navigatori del Mediterraneo ma soprattutto strategico. I templi, alcuni in piedi ed altri in rovina sono fatti di una pietra calcarea propria della zona…. Sono costruiti tra oliveti vecchissimi, alcuni di più di 800 anni. Attorno una campagna completamente coltivata al fondo, quello celeste che si confonde col cielo, il Mediterraneo. Luogo magico e da brivido da dove è possibile vedere il mare attraverso colonne e strutture di dimensioni impressionanti; molte delle quali sono in piedi e altre già crollate ma in modo significativo danno un tocco al paesaggio lasciandoci riflettere sulla vanità e l’eternità dell’azione umana. Esperienza meravigliosa, tra le rovine che sanno di storia e cultura.

Favria, 16.09.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Mai confondere una singola sconfitta con una sconfitta definitiva. Felice venerdì.

Donnafugata

Chi visita Donnafugata respira un’atmosfera che sa di autentico: il profumo della terra, la sagoma dei carrubi all’orizzonte, il luccichio dei lampadari, le carrozze, i viali del passeggio. 

Donnafugata è innanzitutto un Castello, o meglio una masseria divenuta castello: punto di riferimento per la famiglia che vi trascorreva la villeggiatura estiva e per il folto gruppo di persone per cui era casa, lavoro, vita.

Donnafugata è anche un Parco, un immenso giardino storico che riesce ancora a incantare con le storie evocate dai suoi viali, sentieri e fabriques nascoste fra le fronde placide di alberi secolari.

Favria, 17.09.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana l’amore per gli altri e per se stessi ci permette di mettere le ali per raggiungere la felicità. Felice sabato.

Il biscione visconteo, l’Inter!

La squadra dell’Inter nacque nel 1908 da una scissione dal “Milan Cricket and Football Club” perchè un gruppo di soci era in aperto dissenso con gli orientamenti della dirigenza del Milan. La  divergenza  di opinioni derivava dalla volontà dei soci dissidenti di accettare anche giocatori stranieri residenti a Milano, appunto “internazionali”. Nella denominazione della società, “Milano” avrebbe dovuto essere l’appellativo principale, ma poi l’’dea dovette essere accantonata perché la  compresenza  della squadra “Milano” e della rivale “Milan” avrebbe potuto dar adito a confusione e fu stabilito che la squadra dovesse chiamarsi con il nome programmatico per il quale fu creata e cioè “Internazionale”. Il primo marchio del 1908 fu disegnato dal pittore Giorgio Muggiani, tra i fondatori del sodalizio, un monogramma, ispirato ai club inglesi, dal gusto liberty. Per le magliette,  trasse ispirazione al colore della notte, nero e  al colore blu, in contrapposizione al rosso del Milan, ed era tra l’altro il colore delle matite rosso/blu, usate all’epoca per il bozzetto. Il celebre biscione, simbolo del club nerazzurro, invece, è un elemento che sarebbe stato aggiunto più avanti, circa 20 anni dopo la fondazione dell’Inter, nel 1928, questo simbolo deriva dall’emblema della famiglia Visconti che fondò il Ducato di Milano, e la sua adozione fu dettata dalle imposizioni del regime fascista.  Il biscione, in dialetto meneghino el bissun, simbolo di Milano, un enorme serpente intento ad inghiottire un uomo ha una origine poco chiara, di sicuro era lo stemma della famiglia Visconti. Secondo una prima leggenda fu Azzone Visconti a proporre come simbolo il biscione nel 1323 quando accampatosi con le sue truppe nei pressi di Pisa, non si rese conto che una vipera si era infilata nel suo elmo. Quando lo mise sul capo, la fortuna gli sorrise, la bestia velenosa sgusciò via senza morderlo. Per altri, il biscione fu creato da Ottone Visconti, nato a Milano nel 1207. Ottone riuscì a essere nominato arcivescovo nonostante la presenza di un temibile rivale, Martino della Torre. Così, per ringraziare il papa Gregorio X del suo sostegno, l’arcivescovo volle dedicargli “il moro vomitato da un serpente” in riferimento alla Nona Crociata. Infine, una leggenda più antica narra che Desiderio, re dei Longobardi, si fosse addormentato sotto un albero risvegliandosi con un serpente intorno alla testa,  come corona.  Visto che la vipera non lo morse, volle l’animale quale suo simbolo. Bisogna ricordare che nonostante i capi longobardi,  fossero cristiani di eresia ariana il popolo in segreto adora ancora idoli pagani tra i quali una vipera d’oro detta Vipera Anfisbena. Tornando all’Inter il marchio circolare recava le lettere “FCIM” intrecciate tra loro, in bianco su fondo oro, il tutto circondato da due cerchi concentrici neroazzurri. Per le imposizioni del regime fascista, nel 1925 il nome “Internazionale” diventò “Ambrosiana”; così anche lo stemma e la maglietta subirono delle modificazioni radicali. Lo stemma, ancora di forma tondeggiante, riportava al centro il fascio littorio in campo blu, a sinistra, lo scudo con l’immagine del biscione visconteo e, a destra, lo scudo rossocrociato di Milano. Anche la divisa ufficiale divenne bianca rossocrociata e segnata dal fascio littorio. Questo stemma resistette solo una stagione, sostituito nel 1929 da uno totalmente diverso che era ancora tondeggiante con al centro un rombo a strisce nerazzurre ai cui lati, in campo bianco, comparivano le lettere A ed S mentre in basso, a tutta larghezza, una banda nera con il nome “Ambrosiana” in oro. Nel 1932, grazie alla volontà dei tifosi che sugli spalti non smettevano di urlare “Inter”, diventerà “Ambrosiana-Inter”; anche lo stemma cambiò con un rombo a strisce nerazzurre, al centro un pallone dell’epoca e tutt’intorno una cornice blu con le scritte “Associaz. Sportiva Ambrosiana Inter”. Con la fine della guerra, nel 1945 la società torna ad essere solo “Inter” e il marchio tornò verso la tradizione con la forma tondeggiante e le lettere intrecciate, adesso in campo bianco. Poi nel 1960 un nuovo cambio radicale, del tutto fuori dalla tradizione, lo scudetto diviso a metà con strisce nerazzurre a sinistra mentre a destra il biscione e un pallone sormontato dall’anno di fondazione. Nella parte superiore dello scudo c’era un piccolo triangolo con le quattro lettere della denominazione. Nel 1962 altro cambio di stemma, un ovale a strisce nerazzurre recante al centro il biscione dorato e, in alto, una banda nera con la scritta “Inter“, sormontata dalle lettere “FC“ dorate in campo blu. Nel 1963 si ritornò allo stemma originario con la sola aggiunta di un cerchio dorato tra quello nero e quello azzurro. Nel 1979 fece la comparsa uno scudetto con due strisce nerazzurre trasversali su cui viveva un biscione bianco non più nella classica posizione attorcigliata con l’omino in bocca ma dai lineamenti più simpatici e  in alto a sinistra c’era la stella che simboleggiava la conquista di 10 scudetti. Questo stemma cominciò a comparire anche sulle divise di gara. Nel 1991 si ritornò allo stemma del 1963, più piccolo e sormontato da una grossa stella. Nel 1998, in occasione del centenario, fu proposto un nuovo stemma con altri centri concentrici al cui interno vivevano la scritta “Inter” e la data di fondazione; la stella non era più posizionata in alto ma accanto alle lettere. Nel 2007 un altro restyling con la stella che fuoriesce dallo stemma e la denominazione ufficiale in corsivo calligrafico. Nel 2014 un ulteriore restyling dello stemma, affidato all’agenzia Leftloft: una semplificazione compositiva con una rivisitazione delle quattro lettere ed una riduzione dei cerchi concentrici; ma soprattutto sembra che tutte le proporzioni siano state riequilibrate per migliorarne la leggibilità e la riproduzione su diversi supporti. La denominazione della società non sarà più scritta con corsivi calligrafici ma con un font appositamente disegnato. Quello che spicca sicuramente di più è la sparizione dallo stemma della stella che, tuttavia, comparirà solo sulle magliette. Insomma una storia centenaria con il biscione visconteo come insegna.

Favria, 18.09.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Che meraviglia la felicità, più  ne diamo agli altri e più aumenta in noi. Felice  domenica.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

La Sicilia luogo dei miti

Oltre Atene e il Partenone, la Sicilia fu il luogo dei miti. E lo è ancora, la Grecia non è solo il Partenone, o Atene. Terra arida e inospitale, la Grecia ha sempre costretto i suoi figli a viaggiare, disperdendoli in tutto il Mediterraneo, sviluppando colonie fiorenti, e città meravigliose. Soprattutto in Italia meridionale, la Magna Grecia: Taranto, Reggio, Crotone,  e ancora di più in Sicilia. I primi a saperlo erano proprio gli Ateniesi, quando nella città si era diffuso il “mal di Sicilia”, come scriveva lo storico Tucidide, quando nel  415 a.C., il desiderio per quella terra lontana, si era diffuso come un morbo tra le strade di Atene. Sognavano quelle lande misteriose, s’immaginavano come i padroni del mondo, una volta che anche la Sicilia fosse stata loro. La spedizione che organizzarono contro Siracusa si risolse in una catastrofe. I soldati superstiti furono rinchiusi e fatti morire di fame nelle latomie, grotte ancora oggi visibili nel parco archeologico della città, non lontano dall’isola di Ortigia. In Sicialia, in estate si allestono le tragedie e commedie, di Eschilo, Sofocle, o Euripide. La  Sicilia lontana e misteriosa faceva parte a pieno titolo del mondo greco. Era lungo le sue coste che Ulisse aveva dovuto superare le sue prove più difficili: Scilla e Cariddi, che inghiottono ogni nave; le mandrie del dio Sole che non andavano toccate e che i suoi marinai mangiarono, e pagarono tutti con la morte; o ancora Polifemo. Il viaggio di Ulisse in Sicilia entra in un mondo di giganti, ninfe e divinità mostruose.

Ed è sempre in Sicilia che è ambientato il mito forse più bello. Il viaggiatore che avesse la pazienza di lasciare le coste assolate, inerpicandosi per le alture che incombono da lontano, si sarebbe imbattuto in un lago inquietante, dalle acque calme e scure, senza fiumi in entrata o uscita. E’ il lago di Pergusa, dove si aggirava Persefone, quando Ade, il signore degli Inferi, l’aveva rapita. Demetra, la madre, era quasi impazzita cercandola. Non pensava ad altro, e i campi avevano smesso di offrire le loro messi. Era dovuto intervenire Zeus in persona, per renderla alla madre, e rimettere tutto a posto. Solo per metà dell’anno, però, perché Persefone, assaggiando un chicco di melograno, si era legata per sempre al regno degli Inferi. È il ciclo della vita e della morte che sempre si ripete, e non è cosa di poco conto lo spettacolo raro delle onde del lago che s’increspano.  Più a nord ancora, risalendo verso la costa settentrionale, e poi in mare verso le isole del sole, le Eolie appunto, era il regno del fuoco. Perché la Sicilia è terra di contrasti, tutta l’Italia lo è, come avrebbe spiegato Platone nel mito che chiude il Fedone. Sembra un prodotto della sua fervida fantasia la descrizione di corsi d’acqua e laghi che scorrono accanto a fiumi di fuoco e di lava rovente. È una descrizione accurata della Sicilia e dell’Italia meridionale, Vulcano, e l’Etna,  la terra dei fuochi. Del resto, non aveva imparato a sue spese anche Proserpina che sotto quelle lande così belle si celava il regno degli Inferi? E Platone sapeva di quello che parlava, visto che in quell’isola, a Siracusa, era stato ben tre volte, su invito del sovrano Dionisio. Ci era andato nella speranza di fondare la sua città perfetta. Un’idea ridicola, con una conclusione prevedibile. I rapporti si erano presto deteriorati mentre il sovrano cercava di spiegare a Platone il suo pensiero. Nel corso di una delle interminabili cene che scandivano le notti a corte, seccato da alcuni commenti del filosofo sulla giustizia, il sovrano lo aveva apostrofato, dicendo che le sue parole sapevano di rimbambimento senile.”E le tue invece sanno di tirannide”, il filosofo aveva prontamente risposto. Era stato venduto come schiavo, e si salvò solo perché sulla piazza del mercato lo aveva poi riconosciuto un amico, riscattandolo e rispedendolo ad Atene. Una sorte diversa da quella di Eracle, che non lontano da lì aveva compiuto una delle sue imprese mirabolanti, rubando la mandria di Gerione. Una mandria composta di buoi dal pelo rosso, perché è tutto rosso in Sicilia, l’isola dove tramonta il sole. E ancora: Taormina, Selinunte, la Grecia che si confonde con Cartagine nella zona più occidentale… non mi  resta che andare e iniziare a cercare. I secoli passano, ma i Greci sono ancora lì

Favria, 19.09.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana le grandi cose sono spesso più facili di quanto si pensi. Felice lunedì.