Alla ricerca del fresco. – Goccia dopo goccia, continuiamo a donare – Tradire. – Il simbolo dell’estate. – Il pesto. – Il piemontese vitello tonnato…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Alla ricerca del fresco
Oggi se entriamo nelle banche, auto, uffici, case private, sono ormai quasi tutti questi

luoghi al chiuso  provvisti di un sistema di aria condizionata indispensabile quando il termometro comincia a salire come in questo periodo particolarmente torrido, l’aria condizionata è stata inventata dall’ingegnere statunitense Willis Haviland Carrier che il 17 luglio 1902 presentò il primo moderno sistema di air conditioning. Quello da lui messo a punto era un apparecchio ingombrante, pieno zeppo di congegni che gestivano il passaggio di gas “refrigeranti” dallo stato liquido a quello aeriforme, azione che portava a un abbassamento della loro temperatura e, di riflesso, a una refrigerazione dell’ambiente circostante e alla deumidificazione. Il primo utilizzo di questa invenzione avvenne in una tipografia di Brooklyn per proteggere la carta dagli sbalzi di umidità. Ma prima come si comportavano gli esseri umani per rinfrescare gli ambienti. Nell’Antico Egitto, per mantenere al fresco le case cercavano di sfruttare al meglio le correnti d’aria, posizionando nel punto giusto finestre e aperture nei muri e, si appendevano alle finestre delle canne umide, affinché l’acqua, evaporando, raffreddasse l’aria e poi furono gli egiziani allora ad inventare i primi ventagli, realizzati con foglie di palma, e diffusi poi anche in Grecia, e  da lì nel mondo romano. Fu invece in Cina che nacque il primo prototipo di ventilatore, ideato nel II secolo d.C. dall’inventore Ding Huan e consistente in una ventola azionata da sette ruote, da far girare manualmente. Il sistema fu perfezionato in epoca medievale, ricorrendo alla forza motrice dell’acqua, come in un mulino, mentre in epoca moderna lo scienziato britannico di origini francesi John Theophilus Desaguliers realizzò un ventilatore da comodino simile a un asciugacapelli  nel 1734. Questo piccolo ventilatore  consisteva in una ruota metallica inserita in verticale in una struttura di legno dotata di un “becco”, da cui veniva aspirata e rigettata l’aria. Nel 1849 lo scozzese William Brunton progettò un super ventola, con un raggio di circa sei metri, sfruttanto l’energia del vapore, per migliorare l’aria nelle miniere e negli ospedali. Nel 1882 con l’energia elettrica, l’americano Schuyler Wheeler depositò il brevetto del primo ventilatore elettrico, progettato in origine con due e poi con sei pale, e realizzato anche in versione “da soffitto”. All’inizio del Novecento ecco il primo vero condizionatore, progettato da Willis Carrier che utiloizzava delle invenzioni precedenti. Tra queste, un apparecchio refrigerante, progenitore del frigorifero, ideato nel 1756 dal medico scozzese William Cullen e basato sul principio che un liquido, evaporando, sottrae calore all’ambiente con cui è a contatto, abbassandone la temperatura. Applicando questo principio, Carrier presentò nel 1902 il suo condizionatore, alimentato elettricamente e definito “apparatus for treating air”.  Il condizionatore  venne brevettato nel 1906, e si diffuse nel lessico l’espressione air conditioning. Questo condizionatore conobbe numerose migliorie, per arrivare ad ottenere l’esatta temperatura in un dato ambiente. Da allora i condizionatori cominciarono quindi a essere usati in ambito industriale nonché in teatri, cinema e in qualche ufficio, ma erano ancora ingombranti e poco affidabili per via del gas refrigerante che erano tossici, usavano infatti ammoniaca al clorometano. Nel 1931 questo gas venne sostituito da un nuovo composto chimico noto come “freon”, innocui per per gli esseri umani ma non per l’ambiente, nocivi per l’ozono ed oggi sono vietati e sostituito con altri a basso impatto ambientale. Nel 1931 gli ingegneri H.H. Schultz e J.Q. Sherman idearono un condizionatore di dimensioni contenute, da collocare sui davanzali delle finestre. In seguito l’aria condizionata fu inserita nelle automobili in Usa dal lontano 1939 con l’azienda Packard. Nel 1945 l’americano Robert Sherman realizzò il primo modello “portatile” ed oggi sono sempre più piccoli e tecnologici, azionabili da smartphone e programmabili, per limitare i consumi elettrici, punto critico di questa comodità con i gas refrigeranti ultima generazione, ecologici,  dannosi  per lo strato di ozono che protegge il Pianeta blu. E si ne fatta  di strada dal tempo degli antichi faraoni che per avere fresco avevano sempre due servitori che muniti di flabello, il ventaglio cerimoniale, continuavano a muoverlo per fare aria al dio in terra dell’Antico Egitto.
Favria, 26.07.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Come sono meschine quelle persone che pensano di diventare felici procurando l’infelicità altrui. Felice martedì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 5 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Goccia dopo goccia, continuiamo a donare

Chi dona sangue dedica alla comunità il regalo più bello. La vita, la possibilità di continuare a viverla. Ecco perché chi dona sangue è un amico per la vita!

Una goccia di sangue è il regalo più prezioso che c’è.

Goccia dopo goccia, grazie ai tantissimi donatori in tutta Italia, riempiamo un sacco di sacche e ci sentiamo felici come Babbo Natale. Anzi, di più.

Ogni volta è un momento speciale per dire quanto ci tieni agli altri.

Donare il sangue è un gesto nobile e di grande altruismo verso gli altri che soffrono patologie gravi ritagliati un poco del tuo tempo per farlo non ti costerà nulla i centri per i prelievi ti metteranno a tuo agio.

Donare il sangue è uno dei gesti più alti di solidarietà tra esseri umani perché vuol dire salvare la vita di qualcuno che nemmeno conosciamo.

Grazie a chi oggi, ieri e domani ha deciso di donare il proprio sangue.

Vi aspettiamo a Favria a donare:

VENERDI 5 AGOSTO – GIOVEDI’ 18 AGOSTO

VENERDI’ 2 SETTEMBRE

ORE 8 -11,20 Prenotate e chiedete informazioni al numero 3331714827.

Grazie

Favria, 27.07.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata.  Forse la vita è tutta un sogno, se anche così fosse mi piace e voglio continuare a sognare. Felice mercoledì

Tradire.

Oggi  parlo della parola tradire, che significa  violare e venire meno a un patto. La parola deriva dal lemma latino tradere,  composto di tra oltre e dare consegnare, insomma consegnare al nemico. E’ una parola  grave che ci riporta alla mente un’antica epoca in cui il tradire era qualcosa di molto fisico: una consegna al nemico, vuoi del proprio generale rapito nel sonno, di un ponte di importanza capitale che si era chiamati a difendere strenuamente, di una città aprendone nottetempo le porte, o di Giuda che consegna Cristo. Il  tradimento oggi vuole dire venire meno ad un obbligo, anche se in particolare il termine continua a riferirsi alla fedeltà, o meglio, di fiducia. Nel tempo il termine  ha molto giocato con questa parola: sono vive le espressioni del tradire come svelare, uno sguardo tradisce il desiderio,  o del tradire come perdere colpi, la memoria mi tradisce. Ma anche qui ne resta cifra fondamentale il fare fallace affidamento, che ti consegna al buio e all’incertezza. Nella storia umana i traditori riempiono da sempre le pagine dei libri di storia per aver cospirato contro la Patria e si suoi cittadini, rinnegato la propria comunità o voltato le spalle alla famiglia.

Ho trovato leggendo nei libri alcuni traditori più detestato, nomi che sono diventati anche sinonimo di tradimento.

Inizierei con Bruto e Cassio che nel I secolo a.C.,  furono tra i principali animatori della congiura che portò nel 44 a.c. alla sua uccisione. Sconfitti in seguito da Ottaviano e Marco Antonio nella battaglia di Filippi, entrambi i “cesaricidi” si suicidarono nel 42 a.c.

Efialte  di Trachis nel V secolo a.C. aiutò i Persiani ad aggirare il passo delle Termopili nel 480 a.C., condannando così al massacro i celebri 300 guerrieri Spartani di Leonida I durante la battaglia. Lo storico Erodoto racconta che Efialte, dopo il tradimento, fuggì, venendo poi ucciso da un suo concittadino.

Famoso Giuda Iscariota nel I secolo d.C.,  dopo essere entrato a far parte dei discepoli scelti da Gesù, “vendette” il suo maestro al sinedrio per 30 denari d’argento, segnalandone l’identità alle guardie con il celebre bacio. Pentito, poco dopo si impiccò a un albero. Questo suo gesto viene ricordato nei modi di dire in italiano : “bacio di Giuda”, “ fare la parte del Giuda”, o “essere un Giuda”. Famoso e ricordato nella Divina Commedia da Dante Ugolino della Gherardesca , 1220-1289, nobile Ghibellino pisano passò alla fazione avversa dei Guelfi e venne in seguito accusato di favorire le città rivali di Pisa. Fu quindi imprigionato e condannato a morte. La Malinche, che forse a noi italiani non dice nulla, ma IN America Latina,  malinchista significa venduta allo straniero. Malinche nata nel XVI in Messico, venne venduta come schiava dopo la morte del padre e divenne poi un’interprete al servizio degli spagnoli, nonché l’amante del loro leader Hernán Cortés, approdato in Messico nel 1519. La Malinche aiutò gli invasori a sottomettere la civiltà azteca.

Singolare è la figura di Mir Jafar nato in Bengala, l’attuale  Bangladesh, dopo aver fatto carriera alla  corte del Bengala,  passò dalla parte degli inglesi e durante la battaglia di Plassey, nel 1757, ricevette da questi il titolo di nababbo, facilitando la loro conquista dell’India. Dopo alterne vicende, morì di vecchiaia, odiatissimo dai suoi compatrioti.

Da eroe a traditore la figura di Benedict Arnold nato nel 1741, carismatico generale durante la guerra d’Indipendenza americana,  fu uno dei principali responsabili della vittoria dei coloni contro i britannici a Saratoga, nel 1777, ma negli anni seguenti indossò la “giubba rossa” voltando le spalle alla causa indipendentista. Protetto ma disprezzato dai nuovi padroni, riuscì a salvarsi fuggendo in Inghilterra.

Charles Maurice De Talleyrand 1754-1838, aristocratico francese, assunse incarichi politici di primo piano durante la Rivoluzione e il Regime napoleonico, tradendo continuamente perfino lo stesso Napoleone. Rimasto in sella anche dopo la caduta di quest’ultimo, divenne protagonista del successivo congresso di Vienna del 1815, rappresentando la restaurata monarchia borbonica.

Emblema del collaborazionismo con il nazismo è la figura di Vidkun Quisling, 1887- 1945, già leader di una formazione di estrema destra norvegese, nel 1940 appoggiò l’invasione tedesca del proprio Paese e divenne capo del regime fantoccio installato dai nazisti in Norvegia. Processato per alto tradimento, fu condannato a morte nel 1945. Infine i cinque di Cambridge, brillanti accademici dell’università inglese di Cambridge ma traditori della Patria, a partire dagli anni ’30 e per buona parte della Guerra fredda, Anthony Blunt, Donald Maclean, Kim Philby, Guy Burgess e John Cairncross furono spie e fornirono informazioni top secret ai sovietici, e riuscirono anche tutti a salvarsi. Le loro “soffiate” furono tra le operazioni più riuscite di sempre dello spionaggio russo.

Infine ecco i novelli traditori e questi, ne vediamo tantissimi ogni giorno.

Favria,  28.07.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Per vivere bene non trasformiamo i nostri pensieri nelle nostre prigioni. Felice giovedì.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 5 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Il simbolo dell’estate.

Come potremmo immaginare una pizza verace o un piatto di spaghetti col pomodoro fresco, senza quelle verdi e inconfondibili foglioline profumate che fanno capolino dal piatto?

E si, siamo così “drogati” da questa spezia, insostituibile ingrediente della nostra cucina, noi, patrioti del pesto alla genovese e del sugo alla napoletana, forse rimaniamo anche un po’ male nell’apprendere che la sua origine non è neppure italiana.

Nella cucina mediterranea è il simbolo dell’estate e le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Fragrante e delicato con il suo verde, riesce a stuzzicare i palati più esigenti: è il basilico. Il basilico (Ocimum Basilicus) è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, ed è facilmente riconoscibile per la forma delle sue foglie lanceolate che variano dal verde chiaro al verde intenso e al viola di alcune varietà.

Pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Labiate, con foglie lanceolate che variano dal color verde pallido, al verde intenso, sino al viola o al porpora di alcune varietà, è originaria probabilmente dell’Asia tropicale o dell’India.

Si diffuse dal Medio Oriente in Antica Grecia e in Italia dai tempi di Alessandro Magno,  intorno al 350 a.C.. Solo dal XVI secolo iniziò a essere coltivato in Inghilterra, inoltre data la proprietà medicinale della pianta, accompagnava sempre i viaggiatori che con le prime spedizioni migratorie, la portarono anche nelle Americhe.

Attraverso il Medio Oriente giunse in Europa, particolarmente in Italia e nel sud della Francia, attorno al XV secolo. Successivamente, nel XVII secolo, iniziò a essere coltivata anche in Inghilterra e, con le prime spedizioni migratorie, nelle Americhe. Tuttora, è un ingrediente molto usato in diverse cucine asiatiche, per esempio in quella thailandese.

Il nome attuale deriva dal latino medievale “Basilicum” che a sua volta ha origine dal greco antico basilikos che significa “erba degna di re, regale”, come ricordato da Teofrasto nel III secolo a.C. Altri sostengono derivi invece dal greco “Okimon” che vuol dire “svelto, agile”; lo stesso aggettivo usato da Omero per definire  nell’Iliade il “pie veloce” Achille.Anche in latino “basilicum” equivale allo stesso aggettivo, questa pianta perciò era già considerata nell’antichità la regina delle erbe e da sempre associata alla sacralità.

Le prime notizie storiche del basilico risalgono all’Antico Egitto dove era usato durante le operazioni chirurgiche per prevenire e curare le infezioni e, bruciato, in sostituzione dell’incenso nella purificazione degli ambienti e, forse, per l’imbalsamazione dei defunti.

I Greci lo utilizzavano per le offerte sacrificali, ritenendolo di buon auspicio per l’aldilà. Presso i Romani era considerata pianta sacra a Marte, dio della guerra, e i soldati prima delle battaglie ne facevano grande uso in quanto si riteneva aumentasse le carica combattiva e fosse capace di guarire le ferite. Il famoso naturalista romano, Plinio il Vecchio, lo decantava per la sua presunta capacità di generare stati di torpore e pazzia e per il forte potere afrodisiaco; anche per questo divenne il simbolo degli innamorati, contrariamente alla mitologia medievale che lo riteneva il simbolo dell’odio e di satana.

Anche i Galli sembra lo ritenessero una pianta sacra e si narra che per raccoglierlo dovessero sottoporsi a rigidi rituali di purificazione, come lavarsi la mano con cui lo si raccoglieva nell’acqua di tre sorgenti diverse, rivestirsi di abiti puliti, tenersi a distanza dalle persone impure e non utilizzare attrezzi in metallo per tagliare i fusti.

I crociati riempivano le navi di basilico per cacciare insetti e cattivi odori

Nel Rinascimento godette di molta fama: “giova alle passioni e alla malinconia e genera allegrezza”, scriveva nel 1500 il medico e botanico Castore Durante. Qualche secolo più tardi, in un testo di medicina naturale del 1886, sul basilico veniva scritto: “Questa pianta ha goduto, da tempi remoti, di grande reputazione in molte specie di malattie, come nella pazzia incoerente, puerperale e nelle demenze senili”.

Su questa pianta erbacea annuale, sono nate diverse leggende, si dice infatti che sia nata ai piedi della croce di Cristo e raccolta dall’imperatrice Elena che la diffuse in tutto il mondo. Secondo un’altra leggenda il basilico era l’antidoto contro il veleno del basilisco, il mostro a forma di serpente della mitologia greca. La profumata piantina diventa protagonista anche nel Decamerone del Boccaccio, dove l’eroina Elisabetta da Messina seppellì la testa del suo amante in un vaso di basilico, annaffiandolo con le sue lacrime. In Italia invece era segno di amore e un coccio di basilico appoggiato sul balcone stava a indicare che la donna era pronta a ricevere il suo amato.

Al riguardo a Palermo ci sono dei vasi in ceramica caratteristici detti a teste di Moro. Vi chiederete  che nesso ci sia tra il basilico e le teste di Moro  di Palermo, emblema della regione siciliana. Di bellissima fattura, questi vasi, piccoli o grandi, sono lavorati da straordinari artigiani che per millenni hanno “trattato” sapientemente la terracotta. La leggenda vuole che attorno all’anno mille, durante la dominazione dei Mori, nel popolare quartiere di Al Khalisa, adesso Kalsa, vivesse, chiusa in casa per la gelosia del padre, una bellissima fanciulla. L’unico suo svago era la cura quotidiana delle piante poste nel balcone, dove passava molte ore del pomeriggio. Un giovane e bellissimo soldato Moro era solito passare da quella strada e nel vedere la fanciulla, se ne invaghì perdutamente. Tra i due nacque un grande amore nonostante il bel Moro le avesse taciuto di essere sposato, padre e che presto sarebbe dovuto rientrare in patria. Scoperta la verità, la fanciulla, dopo una notte passione, lo fece addormentare per decapitarlo. La testa, poi, fu imbalsamata e tramutata in vaso per contenere una pianta di basilico. Pianta che, la giovane, curava e bagnava personalmente con le sue lacrime d’amore, tanto da farla crescere forte e rigogliosa. Questo provocò l’invidia di tutto il vicinato che immediatamente si fece confezionare dagli artigiani più bravi, vasi raffiguranti la testa del Moro. Questi vasi, ora simbolo della Sicilia, sono prodotti  e venduti “in” coppia …ovviamente senza basilico.

Anticamente esistevano storie curiose sulla sua coltivazione e raccolto. Gli antichi Greci, i quali pensavano che per un buon raccolto della pianta occorresse pronunciare ad alta voce, una serie di imprecazioni nel momento in cui si seminava.

Secondo lo scrittore romano Lucio Giunio Moderato Columella, scrive che il basilico sia  una pianta da seminare in abbondanza “dopo le idi di maggio fino al solstizio d’estate”. Tra i romani veniva considerata una pianta magica e sacra a Venere, come molte altre erbe aromatiche, e doveva essere raccolto  dopo precisi rituali. Il famoso naturalista romano Plinio era convinto che i semi del basilico, e non le foglie, fossero potenti afrodisiaci. E oggi in alcune zome del Patrio stivale,  gli agricoltori  lo fanno mangiare ad asini e cavalli durante il periodo riproduttivo per aumentare la loro forza sessuale. Per questo che il basilico era ritenuto, gazie a queste caratteristiche afrodisiache, il vero simbolo degli innamorati. Anche i Galli ritenevano il basilico una pianta sacra, tanto che le sue foglie venivano raccolte solo da coloro che avevano seguito un complesso rituale di purificazione. I Galli coltivavano il basilico in luglio / agosto fino a quando era in fiore. I mietitori di questa pianta sacra dovevano sottoporsi a rigorosi rituali di purificazione: dovevano lavare  la mano con cui raccogliere le piante nell’ acqua di tre diverse sorgenti,  dovevano indossare  abiti puliti, mantenersi a distanza dalle persone impure, per esempio, le donne durante le mestruazioni, e non utilizzare strumenti di metallo per tagliare i gambi.  Questa credenza ha un fondo di verità, in effetti, se proviamo a tagliare le foglie di basilico con un coltello, a causa dell’ossidazione, diventano immediatamente nere, quindi, dovrebbe essere tagliato solo a mano. Nel Medioevo, al fine di raccogliere il basilico, si doveva purificare la mano destra  in tre diverse sorgenti, poi si doveva  utilizzare un ramo di quercia e indossare vestiti di lino bianco. Nel Decamerone di Boccaccio troviamo una delle più strane storie d’amore che ha come protagonista la pianta del basilico. Boccaccio nella V Novella, giornata IV, racconta la storia di Elisabetta da Messina che ha seppellito la testa del suo amato Lorenzo, barbaramente assassinato dai suoi fratelli gelosi, in un grande vaso di basilico, che ha innaffiato tutti i giorni con le lacrime. Nel Medioevo, inoltre, il basilico è stato utilizzato anche per gli  esorcismi e quindi per scacciare  i demoni dal posseduto, e si credeva che esso potesse compiere  miracoli in caso di peste e che potesse curare  la debolezza fisica dell’uomo. Nel Rinascimento le proprietà culinarie e terapeutiche del basilico sono state definitivamente riconosciute quando Cosimo de’ Medici lo ha  incluso  tra i profumi del ‘Giardino dei Semplici'(1545). Ma in tutto il mondo il basilico è noto soprattutto per il suo utilizzo nella preparazione della salsa più cotta sulla terra … il  pesto!

La suite au prochain épisode

Favria, 29.07.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Soltanto una vissuta per fare del bene al prossimo è una vita che vale la pena di vivere. Felice  venerdì

Il pesto.

Leggende e superstizioni hanno sempre accompagnato la storia delle spezie e delle erbe aromatiche. Una di queste leggende, dice che alcuni inglesi che vivevano in India si aggiravano regolarmente con una collana di legno e   basilico per neutralizzare gli impulsi elettrici, tenere lontano il fulmine, come sostiene la religione indù. Nello stesso periodo, ma solo nelle eclissi, il basilico è stato mangiato e messo in riserve idriche per evitare la contaminazione. A Taiwan  si usa frequentemente nelle zuppe. Le foglie intere accompagnano il pollo fritto o vengono usate per insaporire latte e creme. Storicamente il basilico è arrivato in Liguria tra la  seconda metà dell’XI e l’inizio del XII secolo e, in particolare, a Genova seguendo le imprese del comandante genovese Guglielmo Embriaco, noto come Willielmus Caputmallei, detto Testadimaglio, nato  in data imprecisata nella seconda metà dell’XI secolo, probabilmente nell’ultimo trentennio. L’appellativo testadimaglio, caputmallei, gli derivò dalla fama di guerriero indomito e per la sua probabile forza fisica nel lanciarsi all’assalto di Gerusalemme ed in altre città conquistate dai crociati. Durante la sua permanenza in Medio Oriente Testadimaglio coltivava il basilico  in  una delle sue galee  e ha  affidato  questo suo segreto al capitano Bartolomeo Decotto. Il capitano aveva già  sperimentato  le caratteristiche terapeutiche del basilico, quando era in Palestina durante le crociate e al suo  ritorno a Genova portò con sè alcuni sacchi di semi.E così è nata una vera e propria  leggenda sul basilico. In un primo momento, le foglie di basilico sono state utilizzate solo come medicina, ma poi lavorando con il pestello per ottenere unguenti, è accaduto che qualcuno ha pensato bene di aggiungere l’olio d’oliva da utilizzare come crema per le irritazioni della pelle. Si dice che accidentalmente la crema sia caduta sul pane e così è nato … il pesto! L’uso delle erbe aromatiche per i liguri è una tradizione che ha origini nel Medioevo, con abitudini differenti, in base alle categorie sociali: i ricchi condivano i loro banchetti con spezie ricercate, mentre i poveri la usavano insaporire minestre non troppo saporite. Questa antica tradizione sembra abbia dato origine al pesto, condimento freddo ottenuto dal basilico, in dialetto Baxaicò e Baxeicò, dal latino basilicum.

Torniamo al pesto, Ma torniamo al pesto: la ricetta che viene utilizzata oggi, risale alla seconda metà del XIX secolo; il primo a citarla pare sia un noto gastronomo dell’epoca,  Giovanni Battista Ratto nella sua opera, La Cuciniera genovese. La ricetta è la seguente:

“Prendete uno spicchio d’aglio, basilico (baxaicö) o in mancanza di questo maggiorana e prezzemolo, formaggio olandese e parmigiano grattugiati e mescolati insieme e dei pignoli e pestate il tutto in mortaio con poco burro finchè sia ridotto in pasta. Scioglietelo quindi con olio fine in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne e i gnocchi (troffie), unendovi un po’ di acqua calda senza sale per renderlo più liquido”.

Nonostante sia recente, questa ricetta sembra risalire all’evoluzione di una ricetta molto più antica: l’aggiada, agliata, una salsa da mortaio a base d’aglio del XIII secolo e che veniva utilizzata per la conservazione di cibi cotti. Parlando del basilico e del pesto non possiamo certo  tralasciare una famosa leggenda che narra di un convento sulle alture di Prà (Genova) intitolato a San Basilio, nel quale un frate che viveva in quella dimora raccolse l’erba aromatica che cresceva su quelle alture (chiamata appunto basilium, in onore di san Basilio), la unì ai pochi ingredienti portatigli in offerta dai fedeli e, pestando il tutto, ottenne il primo pesto che man mano venne perfezionato. Il pesto alla genovese  ha molto aglio, questo perché l’influenza arabo-persiana che ha  influenzato le salse genovesi dal Medioevo all’Ottocento, ma anche la predilezione e la “necessità” degli uomini di mare liguri per l’aglio, ritenuto quas una medicina per i lunghi periodi a bordo delle navi. Il pesto è rinomato non solo dai liguri e dai suoi marinai ma anche da noi che adesso vado a mangiare con la pasta.

E allora, bun autit.

Favria  30.07.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non dobbiamo imparare ad essere invincibili, ma essere consapevoli della nostra umana fragilità. Felice sabato

Il piemontese vitello tonnato

Il vitello tonnato chiamato in ossequio all’esterofilia vitel tonné, a sottolineare origini francesi che sono però una pura e semplice invenzione. Anche perché “vitello” Oltralpe si dice veau. Come sempre la vittoria ha molti padri e madri, la sconfitta nessuno. Così è avvenuto anche per il vitello tonnato, sempre più vincente sulle tavole degli italiani. Hanno rivendicato l’invenzione di questo piatto i lombardi, i veneti, gli emiliani. Addirittura, gli argentini, dato che laggiù il vitello tonnato è uno dei piatti tradizionali che vengono preparati a Natale. Invece è Cuneo la patria del vitello tonnato, dove veniva preparata in estate già nel XVIII secolo anche se in maniera abbastanza diversa da oggi. Il tonno, per esempio, nella preparazione originale neppure c’era, con ogni probabilità. Tonnato oppure “tonné” sono termini che fanno pensare immediatamente al tonno. Per molti esperti, però, la parola in questione potrebbe derivare dal francese tanné, che significa “conciato” o, nel gergo gastronomico, pasticciato, ovvero preparato con l’aggiunta di una salsa. Dati i continui contatti, anche linguistici, tra Piemonte e Francia, niente di più semplice che tanné sia entrato, in maniera storpiata, nel linguaggio culinario piemontese in modo da dare nobiltà e ricercatezza a un piatto che veniva preparato con gli avanzi della carne di vitello, marinata e lessata a lungo, in modo da renderla bella morbida. Non mancano chi sostiene che la parola “tonnato” stia a significare che la carne veniva sì cotta a lungo, ma come si faceva per il tonno, prima di metterlo sott’olio. Il rapporto con il mare,  fa parte della tradizione culinaria piemontese, grazie ai continui contatti tra Piemonte e i vicini porti della Liguria. Il tonno ci mette però del tempo a entrare a fare parte della salsa che rende saporita la nostra ricetta e lo fa probabilmente di contrabbando, seguendo la scia delle acciughe. Uno dei prodotti che fin dal Medioevo percorrevano incessantemente le strade del sale che collegavano le città liguri con il Cuneese.  Le alici sotto sale. Lo testimonia la presenza di questo pesce in uno dei piatti più legati alla tradizione del Piemonte, la bagna càuda, che vuol dire “salsa calda”. Il problema era che le acciughe costavano pochissimo mentre il sale era carissimo. Per aumentare i profitti gli acciugai piemontesi presero, nel secondo Ottocento, a importare di contrabbando tonno sottolio che nascondevano nei carri, sotto i barili di acciughe, e che rivendevano di nascosto. Così il tonno divenne compagno del vitello nella nostra ricetta, all’alba del XX secolo. Il tonno è anche il protagonista della prima ricetta del vitello tonnato giunta fino a noi, quella redatta da Pellegrino Artusi nel 1891 nel suo fondamentale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Il grande gastronomo considerava il vitello tonnato un piatto da consumare freddo, tipicamente estivo. In Piemonte si preparava, non a caso, per la festa di Ferragosto. Esisteva anche una versione invernale in cui la carne veniva arrostita, affettata e servita calda, coprendola con la salsa, a sua volta riscaldata e addensata con farina e limone, personalmente preferisco la versione estiva. A favorire una prima diffusione del vitello tonnato in Italia già alla fine dell’Ottocento furono soldati e funzionari piemontesi che sciamarono un po’ ovunque nella Penisola dopo l’Unità d’Italia. Sicuramente, però, non furono loro a diffondere l’uso della maionese, oggi diventata quasi onnipresente. Molti grandi cuochi la aborriscono, altri la esaltano. Ma ormai il vitello tonnato è patrimonio di tutti.

Favria,   31.07.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata.  Agosto è il periodo dell’anno in cui tutto rallenta. Felice domenica