Avèj nen un pich da fé balé un givo! – Il peperoncino rosso piccante, povronin! – Il tempo, un valore sconosciuto ma apprezzato. – Rafataja, rafè, rafiere, e rafi! – Il telo rosso!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Avèj nen un pich da fé balé un givo!
Avèj nen un pich da fé balé un givo, è un modo di dire che significa essere completamente al

verde, senza un centesimo. Letteralmente: non avere un picchio per fare ballare un maggiolino. Questo curioso modo di dire è nato nell’osservare il pich, il picco tamburellare con il becco le piante nel cercare insetti da mangiare. Il picchio si nutre del maggiolino insetto, nome scientifico Melolontha melolontha, un coleottero polifago, cioè capace di nutrirsi di sostanze diverse; considerato un parassita è diffuso particolarmente nell’Italia settentrionale. Il maggiolino è diffuso specialmente in primavera e maggio, da qui il nome. Le larve di questo insetto si annidano nel terriccio e si nutrono di radici, specialmente dalla consistenza tenera. Il maggiolino insetto adulto si nutre di foglie e per questo nei periodi di grandi infestazioni il danno per le colture é notevole. Le larve nutrendosi di radici sono altrettanto dannose e bloccano la crescita delle piante. Dal momento del picchio che fa saltellare il maggiolino sulla pianta, la parola pich è stata assunta nel significato di soldo ed allora non avere un soldo, picchio, da fare ballare un maggiolino.
Favria, 10.08.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Non ci si sente mai figli delle stelle come la notte del 10 agosto.  Mi auguro che ne vediate tantissime stelle cadenti e che ogni Vostro desiderio si avveri! Felice martedì.

Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 25 AGOSTO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Donate il sangue, donate la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portate sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio.

Il peperoncino rosso piccante, povronin!

Il peperoncino viene da lontano ed ha una storia antichissima ed è arrivato in Europa, meglio in Spagna con le caravelle di Colombo. Testimonianze della sua esistenza ci sono nel Messico ed in Perù dai reperti archeologici che testimoniano il la sua coltivazione e uso già 9.000 anni fa. Questo ortaggio è protagonista in tutte le civiltà precolombiane, infatti presso gli Aztechi, i Maya e Inca il peperoncino era una pianta ritenuta sacra e usata anche come moneta di scambio. In tutti questi millenni, il peperoncino è stato utilizzato come frutto sacro, come medicina, come afrodisiaco, come strumento di magia e di tortura e come grande insaporitore. Abbinato ai fagioli, ma anche al cioccolato e all’epoca della scoperta da parte degli spagnoli il peperoncino si era già differenziato in circa una dozzina di varietà che venivano coltivate dagli Atzechi per usi alimentari, medicamentosi e rituali.  Come già detto in Europa il peperoncino è arrivato in Europa con Cristoforo Colombo, dopo la scoperta del nuovo continente chiamato poi America. La corte di Spagna era convinta di aver messo le mani su un grosso business. Il peperoncino però tradì ogni aspettativa di facili guadagni. Business non ce ne fu per tre motivi. Perché non fu gradito ai ricchi e ai nobili, che non ne apprezzarono il sapore piccante. Perché la facilità di coltivazione della pianta, che attecchisce anche in un vaso, eliminò la necessità dei viaggi e del commercio con la terra di origine. Ed infine il giudizio negativo della Chiesa che lo bollò con il gesuita Josè de Acosta come suscitatore di insani propositi. Gli indigeni amerindi lo chiamavano axi, in Europa venne chiamato pepe d’India, pepe cornuto e in Italia viene chiamato per la prima volta peperone. Un termine derivato dal piemontese. Il termine peperoncino è assai recente, compare le prime volte sulla fine del 1900 come diminutivo di peperone, pevrun, povrun, peperone e peperoncino, povronin che deriva dal greco peperini, nome del colore rossastro dei fiori e per analogia povron, il naso che diviene rosso per il freddo o dopo aver bevuto tanto vino. In Italia il peperoncino è diffuso solo presso i ceti popolari meno abbienti, i contadini del sud che lo utilizzano per insaporire i loro piatti poveri, guadagnandosi così l’appellativo di “spezia dei poveri”. Con la cucina povera fu amore a prima vista. Il peperoncino dava sapore a cibi che non ne avevano, conservava la carne quando i frigoriferi non c’erano, con le sue proprietà disinfettanti era di aiuto alle popolazioni dei paesi caldi. Così in poco tempo si diffonde tra le popolazioni povere con regimi alimentari monotoni e carenti di vitamine. Col peperoncino i Messicani insaporivano le tortillas, gli Africani la manioca, gli Asiatici, le regioni meridionali e in special modo la Calabria hanno reso vivace la loro cucina povera e vegetariana. Con la loro fantasia hanno creato autentici “gioielli gastronomici”.  Per registrare le presenze del peperoncino ai livelli più alti ci vorrà la nascita del Futurismo. Il peperoncino compare infatti nel primo pranzo futurista dell’otto marzo 1931 conFilippo Tommaso Marinetti, che inaugura la Taverna Santo palato con un antipasto intuitivo fatto con dei peperoncini verdi all’interno dei quali sono nascosti biglietti con frasi di propaganda futurista. Oggi il peperoncino è diffuso in tutto il mondo e dopo il sale marino è l’alimento più utilizzato. In Europa la nazione che ne consuma di più è l’Ungheria dove prevale una polvere fatta con una varietà dolce chiamata Paprika. Seguono la Francia e la Spagna dove ci sono gli unici peperoncini con marchio europeo di qualità con marchio europeo di qualità. Da noi nel Belpaese il peperoncino è molto utilizzato nelle regioni meridionali e soprattutto in Calabria. Il peperoncino rosso è associato al corno, ritenuto simbolo di buono auspicio nel neolitico, per la sua forma fallica, emblema di fertilità e forza fisica. Anche nel mondo animale le corna rappresentano forza e autodifesa. C’è anche un mito su questo amuleto, che ricorda la figura mitologica  di Amaltea, colei che allevò il  Zeus.  Si narra che questa fosse una capra,che allattò Zeus neonato, in una grotta sul monte Ida situata nell ‘isola di Creta. Alla sua morte il dio per venerarlala pose tra gli astri del cielo, con la sua pelle si creò uno scudo, egida, e con le sue corna una cornucopia,  simbolo di abbondanza.

Favria,  11.08.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Las vita è un treno sui binari dell’eternità.  Felice mercoledì.

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Il tempo, un valore sconosciuto ma apprezzato.

Alzi la mano chi non ha mai detto al collega, familiare o amico di dargli del tempo. Se ci pensiamo bene il solo scopo si chiedere o concedere del tempo è legato allo scopo del momento perché nessuno  ha il tempo con se, lo si chiede come fosse niente, lo si dà come fosse niente. Il tempo nella nostra vita umana è forse una delle cose più preziose e non si riflette mai abbastanza forse perché è immateriale, perché non cade sotto gli occhi, e perciò è valutato pochissimo, anzi niente. Riceviamo lo stipendio per il nostro lavoro o la pensione ed hanno valore, ma  nessuno dà valore al tempo e lo usiamo, ops ne sprechiamo parecchio,  senza risparmio, come fosse gratis. Come non dare ragione a Seneca “Nessuno dà valore al tempo”.  ed è vero, nessuno ci  renderà gli anni, nessuno ci restituirà il tempo, il tempo della vita non tornerà indietro né arresterà il suo corso; non farà rumore, non darà segno della sua velocità, scorrerà in silenzio e, non si allungherà per una legge o per un favore elettorale ma correrà come è partito dal primo giorno, non farà mai fermate, mai soste! Nel pensare al tempo che scorre inesorabile mi viene da pensare ad un passo delle Confessioni di  Agostino d’Ippona, vissuto tra il IV e il V secolo, recente letto,  a chi gli chiedeva cosa fosse il tempo, rispondeva: “Il tempo? Se non me lo chiedi so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più”. E si la nostra più grande sfida quotidiana è capire ciò che noi usiamo chiamare con il termine di “tempo” e la sfida ancora più grande è decidere come trascorrere il nostro tempo. Per me il tempo è misterioso e sfuggente ed è simile ad una grande forza impalpabile che scorre inarrestabile che   inesorabilmente mi accompagna in ogni secondo della mia vita umana. Sicuramente devo cercare di non farmi ossessionare dal tempo e del suo lento ma inesorabile scorrere. Il tempo a volte cerca di ingannarmi tenendomi ormeggiato al passato, a volte cerca di scaraventarmi nel futuro dandomi la fugace illusione di gestire ogni attimo e per questo siamo tutti dotati di agende, promemoria, sveglie, calendari, orologi, ed in certi momenti della vita un solo secondo non previsto ha il potere di mandarmi potenzialmente in affanno. A volte ci credo così tanto che ho la percezione di non essere mai “in tempo’ o di non avere abbastanza tempo” per quello che c’è da fare, rischiando di perdermi il godimento del momento presente. Mi viene da pensare che ho forse abbandonato quel grande potere che avevo da bambino, quello di godermi il presente. I bambini si godono gli abbracci, i giochi, le risate e se riesco anche solo per un istante ad entrare in sintonia con quel bambino che custodisco dentro di me, allora mi pare che il tempo si fermi e lascia  spazio al cuore, che mi indica da se il ritmo del mio personale tempo. E si caro tempo ho scoperto il Tuo segreto, non sei solo una serie infinita di numeri che si rincorrono, di lancette che fanno il giro e pagine di un calendario da strappare. Caro tempo sei il luogo delle mie esperienze, delle emozioni, dei miei sogni che hanno il loro fluire, il loro momento che danno un senso al trascorrere dei giorni. E allora forse il dire non ho tempo è come dire non ho voglia. In conclusione è tempo di lasciare andare la convinzione che non ci sia abbastanza tempo per aiutarci, per condividere nuove opportunità, di regalarsi del tempo per camminare tra gli alberi, sotto le stelle, di respirare armonia, di nutrirsi di bellezza e semplicità.

Favria, 12.08.2021  Giorgio Cortese

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guadarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per guardare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.

Elli Michler

Buona giornata. Soltanto una cosa rende impossibile un sogno: la paura di fallire. Felice giovedì.

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Rafataja, rafè, rafiere, e rafi!

In piemontese rafatailho, la parola rafataja indica marmaglia o anche chincaglieria. La parola deriva dall’occitano con il significato di spazzatura. Ma l’origine si deve ricercare dall’antico germanico  fatt, con il significato di abito e il lemma latino fartfalia a sua volta dal verbo latino farcire. Qui interviene un lemma di origine ligure rufa, nel dialetto ligure abbiamo la parola rafatagiu, scarto do ritaglio di carne o cianfrusaglia. Dalle stessa parola deriva anche rafatail , mingherlino, graxile  e anche rafagn, avido, mingherlino.  Simile ma non uguale abbiamo la parola  rafè, arraffare, rafa, rapimento o tiro delle bocce a raso terra  e il modo di dire  o di rif o di raf, in un modo o nell’altro. Curiosa infine è l’origine della parola rafeire, arraffaone, avaro e rafador, arraffone nel gioco.  In piemontese la parola deriva sempre dal germanico raffon, afferrare con violenza o strappare. Simile  è la parola longobarda  biroufan, dove deriva la parola italiana baruffa,  o zuffa, zuffa confusa di persone che litigano e vengono alle mani; per estens., litigio più o meno violento, anche di sole parole. Infine da raffon abbiamo in piemontese il lemma rafi, abbrustolito o bruciato. la parola raffon significava anche fare le pieghe da li deriva il lemma rafi, rugoso, seccato diffuso ancora oggi in alcuni dialetti francesi dell’Alvernia.

Favria, 13.08.2021  Giorgio Cortese

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Buona giornata. Nella  vita quotidiana la paura è una reazione, il coraggio è una decisione. Felice venerdì.

Il telo rosso!

Tanto tento fa nel paese Quivicino esisteva una compagnia di persone che si dilettavano a recitare per divertire le persone e si allietavano anche loro nel proporre spettacoli su passati  avvenimenti  del territorio, trasmettendo la cultura passata con la magnifica arte del teatro dove, recitazion, ballo e canto si legavano in maniera indissolubile. Purtroppo un giorno il telo rosso che avvolgeva il loro palco di legno venne a mancare. Subito si diedero da fare dove era finito e chi era stato l’ultimo a vederlo, ma niente, il telo rosso era scomparso.  Gli attori, il regista e tutti gli aderenti e vicini a questo gruppo si rammaricarono molto, ma il telo era scomparso. La rappresentazione che dovevavo fare incombeva e non avevano in tempo di andare in calesse fino a Torino a comprane un altro. Si presentarono allo spettacolo con il palco spoglio e questo li crucciava ancora di più, ma ecco la sopresa, intorno al palco un bel telo rosso dalle infinte sfumature che ha questo bel colore. Durante la notte gli abitanti che assistevano allo spettacolo nel paese Quianturn avevano portato ognuno un pezzo di stoffa rosso e avenvano cucito questo grande telo, perche  dove e c’è unità c’è sempre la vittoria!

Favria,  14.08.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata.  A chi è in vacanza, a chi è rimasto in città. A chi è solo, a chi è in compagnia. A chi non sa dove andare, a chi si rilassa in campagna oppure al mare. A chi vuole solo serenità e a chi desidera una giornata ricca di istanti da ricordare. Che sia per tutti un Buon Ferragosto! Felice sabato.

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