Buoni propositi 2022 – 1709 brrr che freddo! – Alba invernale. – Praecurrit fatum. – Fragilità – L’Epifania. – Papè, papier, carta! – Lo stomaco! – Zerbino! – Garyowen…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Buoni propositi 2022
Il 2022 è iniziato da poco e,  scrivo questa lettera perché l’anno nuovo è simile ad un

libro di pagine bianche da riempire. Il nuovo anno ha in sé il bello dell’intonso, del nuovo, delle mille possibilità che ci si dispiegano davanti quando abbiamo la sensazione di avere tempo. Quella percezione che ci pervade tutta la vita. Ogni volta che termina un anno e ne inizia uno nuovo sento nell’animo una briciola di nostalgia per tutte quelle cose che avrei voluto fare, e che non ho fatto. Capita anche a voi? Ma poi c’è il buon proposito di “fare di più” o “fare meglio” e tutto sembra possibile. In realtà più che un proposito, mi piace che sia un progetto. E nei miei c’è sempre dei progetti al primo posto con la voglia di vivere ogni istante del mio anno avendone piena consapevolezza. Non sono perfetto, ho molti difetti e limiti e ne sono consapevole dei miei umani limiti. Tuttavia amo il bello, la lentezza, la concretezza delle cose fatte per viverle davvero, e non semplicemente per dire che le ho fatte, guardandole in una fotografia. Certo voglio migliorarmi prendendo atto del cambiamento migliore che voglio essere, agendo con calma senza farmi prendere dalla frenesia di rincorrere l’onda perfetta che distoglie dal piacere del vivere il presente. Non pensiate che io l’abbia capito subito, nella vita. Ho passato molti anni a rincorrere l’onda perfetta, ma con gli anni ho capito che la calma, riflessione e consapevolezza dei miei limiti, unito alla fede mi genere una grande forza interiore. Aristotele ha scritto: “Noi siamo ciò che facciamo ripetutamente”, perciò l’eccellenza non è un atto ma un’abitudine!. Allora se corro sempre la vita scivola via con superficialità nelle azioni che compio, ma con passo lento, ammiro la bellezza del paesaggio, consapevole dove voglio arrivare. Per il 2022 il mio proposito è avere ogni giorno dell’anno colmo di buone abitudini, che facciano di ogni giorno, una giornata vissuta nel segno dell’eccellenza. Per questo mi riprometto di ascoltare ed osservare di più le persone che incontro, senza aspettare gli eventi ma di agire con calma e buon senso per giungere con il risultato delle mie scelte all’obiettivo che mi sono ripromesso. Questi sono i miei semplici pensieri che mi rendono bella la vita.
Festeggiamo e sorridiamo al nuovo anno!

Favria, 1.1.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Non conta la destinazione, ma il viaggio. Vi auguro di goderVi ogni giorno di questa avventura chiamata vita. Felice anno nuovo! Felice sabato e buon 2022.

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 12 GENNAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

1709 brrr che freddo!

Tra gennaio e aprile 1709 il continente europeo fu investito da un’anomala ondata di freddo che paralizzò l’intera regione, causando un elevato numero di vittime tra la popolazione. Il grande inverno, ricordato come il più gelido e disastroso degli ultimi cinque secoli, cominciò alla vigilia dell’Epifania del 1709.Il giorno seguente, l’Europa occidentale e parte del bacino del Mediterraneo si svegliarono sotto una coltre di ghiaccio che si mantenne per diversi mesi. Restarono escluse dall’ondata di gelo la Scandinavia e parte della Turchia. Le ragioni di questo freddo polare inatteso e straordinario nella maggior parte di queste regioni è da ricercarsi in alcuni mutamenti climatici del nostro pianeta. Oltre all’eruzione negli anni precedenti di diversi vulcani, tra cui quello di Santorini, in Grecia, il Vesuvio, il Fuji in Giappone e il Teide di Tenerife, si verificarono due fenomeni che, combinati assieme, strinsero nella morsa del gelo il pianeta: il culmine della cosiddetta “piccola glaciazione” e il prevalere dell’anticiclone termico russo.Con il primo termine si suole indicare il raffreddamento generale e radicale che si verificò nel Vecchio Continente a partire dal Medioevo e che, dalla metà dell’Ottocento, ha lasciato il posto al fenomeno opposto. Alcuni sostengono che tali glaciazioni siano la conseguenza di periodiche variazioni dell’intensità solare: ogni 250-300 anni il Sole diminuisce la sua attività, così come accadde nel 1709, quando si registrò il cosiddetto Minimo di Maunder e l’emissione di energia solare diminuì significativamente. Il secondo fattore, l’anticiclone russo, chiamato dagli esperti anche “orso”,riguarda una vasta area di alta pressione e basse temperature: si tratta di un fenomeno che si verifica sempre nell’atmosfera nelle regioni asiatiche occidentali, di solito contrastato dalle correnti provenienti dall’Atlantico.Se queste però non riescono a prevalere, le temperature crollano. Nel 1709 l’anticiclone, che durante l’inverno precedente aveva pesantemente interessato la Russia, si dilatò andando ad investire anche l’Europa. I termometri di Parigi registrarono, secondo i resoconti che ci sono pervenuti, in Italia, per una ventina di giorni la Pianura Padana fu bloccata in una morsa di gelo insolito con temperature che raggiunsero anche i -40°C.Secondo un racconto dell’epoca: “Cadde tanta neve che non si poteva uscir di casa e i tetti, per l’ingente peso ebbero incredibile rovina,  dopodiché alcuni si aprirono ed altri caddero”. L’unico osservatorio meteorologico esistente era quello di Berlino che registrò una temperatura media del mese di -8,7°C e una minima di -29,4°C.I fiumi, la rete di canali e anche i porti marittimi rimasero bloccati dal ghiaccio. Gelarono la Vistola, il Reno, il Danubio, la Mosa, la Garonna, l’Ebro, la Senna, e perfino la foce del Tago a Lisbona, così come il Lago di Costanza e quello di Zurigo, e, parzialmente, quello di Ginevra. Anche i porti  mediterranei di Genova, Marsiglia e Livorno subirono la stessa sorte.La neve coprì completamente le strade. Non si riuscivano più a trovare beni di prima necessità e, poiché scarseggiava la legna da ardere, gli abitanti bruciavano i propri mobili per scaldarsi.Il grande freddo non risparmiò nessuno, nemmeno le abitazioni signorili, dotate di ampie finestre che non offrivano alcun isolamento termico. A Versailles, Elisabetta Carlotta del Palatinato, duchessa d’Orléans, cognata del re Luigi XIV, scrisse a un suo parente a Hannover: “Sono qui seduta davanti a un grosso fuoco, ho un paravento davanti alla porta, sono barricata in casa, con una pelliccia di ermellino attorno al collo e una d’orso sui piedi.Sono così infreddolita che a malapena riesco a tenere in mano la penna per scriverti. Non ho mai visto in vita mia un inverno come questo”. Il brusco calo termico fece gelare nelle botti il vino nelle cantine di Versailles.Le conseguenze su animali e piante furono drammatiche: i pesci congelarono nei fiumi, morirono migliaia di uccelli e, soprattutto nel nostro Paese, in Liguria e in Emilia Romagna, perirono sotto la morsa del gelo tutte le piante da frutto, quali meli, ciliegi, noci che solitamente resistono a temperature bassissime. A Venezia i contadini portavano i generi alimentari a piedi sui canali ghiacciati. Gelarono molti fiumi, tra cui il Po, che fu coperto da uno strato di ghiaccio di circa 70 centimetri, sul quale passavano uomini, carri e cavalli. Roma e Firenze rimasero isolate per le intense nevicate. Nelle campagne le coltivazioni di ulivo, vite e agrumi furono seriamente compromesse o distrutte.In molti casi i terreni coltivati prima del 1709 non poterono più essere recuperati. Anche nell’Adriatico, come in molti altri porti d’Europa, le gelate bloccarono le imbarcazioni, i cui equipaggi morirono di freddo e di fame.Nel resto d’Europa la situazione era perfino peggiore. Il Tamigi si congelò, così come i canali e il porto di Amsterdam, mentre il Mar Baltico rimase ghiacciato per quattro mesi.Racconta un anonimo cronista dell’epoca che nella Valle della Loira, in Francia, “tutto quello che era stato seminato andò completamente distrutto.La maggior parte delle galline morì di freddo, e così pure il bestiame nelle stalle. Al poco pollame sopravvissuto si vide congelare e cadere la cresta. Molti uccelli, anatre, pernici, beccacce e merli, morirono e furono trovati stecchiti sulle strade e sugli spessi strati di ghiaccio e di neve. Querce, frassini e altri alberi di pianura si spaccarono per il gelo: due terzi dei noci morirono”. Anche due terzi delle viti perirono, e con leggere oscillazioni, le temperature si mantennero basse fino a primavera. Ma il freddo non fu l’unica piaga da affrontare: al gelo seguirono fame, inondazioni ed epidemie.La neve che si era accumulata nei mesi invernali provocò intense inondazioni al suo scioglimento e le epidemie non si fecero attendere. Aumentarono e si diffusero malattie bronco-polmonari. Il freddo e la fame favorirono il diffondersi dell’influenza, che era scoppiata a Roma l’anno precedente, fino a renderla una pandemia che si sarebbe estesa per quasi tutta l’Europa tra il 1709 e il 1710. Inoltre, dall’impero ottomano giunse la peste.La carestia che seguì fu drammatica. Le terribili ondate di freddo avevano lasciato un panorama desolato nelle campagne, distruggendo la maggior parte dei raccolti. Nelle città scarseggiava il cibo, perché dalle campagne non arrivavano più generi alimentari. Questa crisi portò di conseguenza ad un aumento del prezzo del grano e dei beni di prima necessità.La difficile situazione di sopravvivenza generò anche episodi di violenza. I contadini si riunirono in bande per assaltare le panetterie e attaccare i convogli di grano diretti in città.Le autorità in alcuni stati cercarono di reagire alla drammatica situazione.In Francia, Luigi XIV predispose la distribuzione gratuita di pane e obbligò l’aristocrazia ad aprire delle mense di beneficenza. Fece abbassare il prezzo del pane e ordinò che si dichiarasse la quantità di grano posseduto. A Londra, la regina Anna Stuart ordinò l’acquisto di carbone che poi fece distribuire alla popolazione.Cominciò un periodo di elevata mortalità e bassa natalità. È difficile misurare con esattezza il numero dei decessi. Nel solo mese di gennaio Parigi registrò 24.000 morti. Si è concordi nel ritenere che il freddo eccezionale e la carestia di quell’anno abbia causato un numero di vittime senza precedenti: si stima che morì circa un milione di persone su un totale di 22 milioni di abitanti.

Favria, 2.01.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ora guardiamo verso nuovi orizzonti, nuovi sogni da realizzare, nuove scelte da eseguire, consapevolezze, gioie e amore. Felice domenica e buon 2022 a tutti.

Alba invernale.

Dopo la gelida e opprimente notte, ecco la radiosa alba sempre carica di vita, ripiena ogni giorno di promesse a volte mantenute a volte volate via nel gelido cielo invernale, tra le bianche nuvole trasportate lontano dal vento.

L’alba ha una sua misteriosa grandezza che si compone d’un residuo di sogno e d’un principio di pensiero quando appena alzato la contemplo dalla finestra e vedo in lontananza le cime innevate dei monti che svettano con alte imponenti verso il cielo, e nella campagna i campi si conservano ancora tracce della candida neve.

Ecco l’alba si sta spogliando del vestito rosa e il sole tondo dal colore ancora rosso irraggia il mondo.

Nella mia ignoranza ritengo che mi fa bene il godimento di guardare l’alba e di riflettere anche  su di una foto che  ha fermato quell’attimo di godimento interiore, un momento semplice nello stare a contatto con la natura, migliora il buon umore e mi accresce l’ottimismo verso la giornata che deve iniziare.

Per me è un medicamento senza alcuna contro indicazione che anzi migliora la mia salute mentale e anche  fisica.

E si cara Alba, permettimi se ti chiamo come una persona, Ti sono ogni giorno grato per ciò che mi dai, perché mi basta uno sguardo oltre il confine fra gli alberi all’orizzonte ed il cielo dove troneggia il sole nascente per ricordami sempre quanto sei bella vita e assaporarne tutta la sua bellezza di esistere. Davanti all’alba rifletto che il rieri ormai passato è un sogno, il domani una visione di speranza, ma il vivere bene oggi rende ogni giorno una serena felicità!

Favria, 3.01.2022  Giorgio Cortese  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare sempre avanti. Felice lunedì.

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 12 GENNAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Praecurrit fatum.

La frase sopra in latino significa: “arrivare prima del destino”, ma come è possibile anticipare il destino arrivando prima? I saggi dicono che il nostro destino non è scritto e allora cambiarlo diventa un ambizioso progetto per contribuire a modificarlo altrimenti rischiamo tutti di finire cambiati da un destino già prefissato, pronto a finire nel peggiore dei modi se non si corre subito ai ripari. Il problema di fondo, è  l’estensione  e la varietà degli interventi, il numero eccessivo dei settori da considerare e dunque l’impossibilità di concentrarsi su alcuni in particolare. Una missione apparentemente impossibile che guarda a tutte le grandi sfide del futuro, evitando la pars destruens, con uno spirito costruttivo e finalmente ottimista. La gravosità dei compiti fa tuttavia tremare i polsi solo se si pensa ai cambiamenti climatici, alle disuguaglianze, ai problemi dell’occupazione. Sull’ambiente l’urgenza è massima. Basterà che Joe Biden riannodi il filo degli accordi di Parigi sul clima? Nel campo del lavoro l’incognita si chiama AI, l’intelligenza artificiale che, ancora più della smaterializzazione, decimerà gli impieghi, costringendo milioni di persone a cercare altre fonti di reddito. Si riproduce lo sconvolgimento della rivoluzione industriale, quando l’introduzione delle macchine nei processi produttivi generò un mutamento epocale. Ma è anche vero che, dopo una fase di assestamento, la situazione occupazionale si andò normalizzando, generando nuovi equilibri, e anche un decisivo miglioramento delle condizioni di vita. Il destino dell’umanità dipende dai noi e da come ci comportiamo da adesso ogni giorno. Il destino non è scritto nelle stelle, nelle parole o nella terra ma è seminato, annaffiato, curato e raccolto solo da noi stessi con azioni virtuose.

Favria,  4.01.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non tutte le nubi portano tempesta. Felice martedì.

Fragilità

Leggendo un libro sono rimasto  colpito da una famosa frase  Blaise Pascal: “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura, ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quando l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe anche allora più nobile di ciò che lo uccide, perché egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui. L’universo non ne sa nulla”. Di cosa parlo, della  fragilità che negli slogan del pensiero dominante è la immagine di una esperienza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso, estranea allo spirito del tempo, e invece nella fragilità si adombrano valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza e di dignità, di comunione con il destino di sofferenza di chi sta male. Se ci pensiamo bene tutti siamo fragili, ma la vera forza matura dalla debolezza. Purché, la fragilità non si trasformi in rassegnazione o accidia. La fragilità, che sembra quasi una moneta fuori corso, una lingua scomparsa, un inutile termometro di debolezza, in realtà è attualissima oggi in tempi nei quali abbiamo bisogno non solo di condividere, ma anche di mostrare la gentilezza, la responsabilità nei confronti degli altri. Fragile  è il contrario di forte, ma se ci pensiamo bene, nella storia umana  non è il fragile a perdere sempre! Invece la fragilità della sua condizione umana ha dato grandezza all’ispirazione di un poeta  come Leopardi, con la fragilità si eleva una forza creativa e rivoluzionaria. Tutto della nostra umana natura ci dice che siamo fragili, e l’arroganza e la supponenza si scolorano in fretta con l’usura del tempo. La mia opinione è il sapere di essere fragile mi dona speranza, carburante della vita senza la quale mi mancherebbe la voglia di sognare e di andare avanti nonostante tutto. Se non avessi la consapevolezza di essere fragile le mie umane certezze cadrebbero come un castello di carte. Quando le amarezze della vita mi schiaffeggiano l’animo senza preavviso, ecco che la consapevolezza che tutto nella mia vita è fragile diviene la mia forza, insomma per dirla come scriveva il filosofo e scrittore americano Ralph Waldo Emerson, ogni giorno maturiamo dalla debolezza. Riprendo la frase iniziale di B.Pascal:  “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutte in natura, ma è una canna pensante”.  Già, pensante? Personalmente non so se i miei personali pensieri, siano sempre ispirati all’idea di crescere, di maturare,  ma di sicuro mi aiutano nel cercare di essere davvero me stesso, provando a  liberarmi  dall’odiosa necessità dell’apparire, ovviamente non fragile. Beh,  questo cerco di provarci ogni giorno.

Favria, 5.01.22 Giorgio Cortese

Buona giornata. Anche se la bellezza non le si addice, la Befana mostra con vanto la sua audacia nel far sognare a tutti i bambini di ricevere quella bella calza piena di regali e di leccornie. Felice mercoledì.

L’Epifania.

L’Epifania è la festa con cui ogni 6 gennaio la Chiesa cattolica celebra la prima volta in cui, secondo i Vangeli, Gesù Cristo si mostrò in pubblico, il termine viene dal verbo greco mostrarsi. La data fu stabilita al 6 gennaio soltanto diversi secoli dopo la morte di Gesù: cioè più o meno nel Quarto secolo, quando la sua nascita venne fissata al 25 dicembre.

La data del 6 gennaio venne fuori contando 12 giorni dalla nascita alla prima volta in cui Gesù venne mostrato in pubblico secondo i Vangeli: cioè quando fu visitato dai Magi che vennero ad adorarlo a Betlemme, il 12 è un numero dalla forte connotazione simbolica per la tradizione pagana. Dal punto di vista teologico, la venuta dei Magi rappresenta allegoricamente il riconoscimento della natura divina di Gesù da parte dei popoli non-ebrei, a cui più avanti sarebbe stata destinata la sua predicazione.

Nei paesi cattolici, l’Epifania viene celebrata anche donando regali ai bambini: in Italia la tradizione associa i doni alla figura folcloristica e profana della Befana (il cui nome deriva proprio da Epifania), una donna anziana che vola su una scopa logora e che consegna regali a chi si è comportato bene e carbone agli altri, inserendoli dentro una calza. In altri paesi, come la Spagna, a consegnare i regali sono invece i re magi.

L’Epifania viene festeggiata da tutta la cristianità, e in Italia è anche una festa civile, anche se smise di esserlo per un breve periodo dal 1978 al 1985. Le chiese orientali, che seguono il calendario giuliano e non quello gregoriano, celebrano l’Epifania il 19 gennaio, dato che il Natale viene festeggiato il 7 gennaio.

Favria, 6.01.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Volevo solo ringraziare tutti voi, per il bel regalo che mi fate trovare tutti i giorni nella calza del mio cuore. Siete la poesia meravigliosa che mai scriverò, la mia più bella epifania. Auguri e felice giovedì.

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 12 GENNAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Papè, papier, carta!

In piemontese la parola papè indica un foglio di carta, meglio un documento.  Il produttore di carta viene chiamato paprè, ela papèira o paperèra la cartiera. Il lema piemontese deriva dal francese papier, carta a sua volta dal latino medievale paperium, papieo o carta fatta con il papiro. Quanto all’italiano carta, completamente diverso, è giunto fino a noi dal latino charta, dal greco chártes. foglio, che forse è a sua volta di origine egiziana e denotava il foglio da scrivere che gli Egizî preparavano dal papiro. Questa pianta ha invece dato origine al nome della carta nelle altre lingue d’Europa. La parola carta non è rimasta però limitata ad indicare la materia su cui si scrive o si stampa, ma per un facile trapasso di significato, ha designato i più varî documenti scritti e stampati e i prodotti delle arti grafiche e del disegno. Così si parla di carte da giuoco, di carte geografiche, la cartografia, carte topografiche, di carte idrografiche o nautiche, carte del cielo o celesti, di carta da parati per arredamento  e  tappezzeria,  e infine di carta moneta. Tornmando alla parola piemontese papè per la crta si trova lo stesso termine non solo nel francese papier ma anche nello spagnolo papel, tedesco papier ed inglese paper. La carta, papè, ha anche dato il sopprannome, strasinom agli abitanti di Rivara, comune Alto Canavesano, in dialetto  Rüvèra che ha come origine toponomastica da  da riva o ripa di torrente o fiume, od anche da rialti. Il blasone stesso del comune offre allo sguardo 13 monticelli con un’aquila.  Infatti, Rivara è posta sulla destra riva del Viana, che una volta doveva scorrere ancor più vicino.  Gli abitanti venivano chiamati ij strasapapé, stracciacarte, derivazione di una leggenda secondo cui nel ‘500, durante la stesura di un atto notarile, in cui il notaio scriveva cifre maggiorate in favore dei conti rispetto a ciò che veniva detto al popolo, un coraggioso cittadino, dopo aver sbirciato il documento, lo prese dalle mani del notaio e lo strappò davanti alla folla radunatasi. Mi fermo per evitare paprà, la quantità contenuto in un involucro di carta e perché non definite il tutto solo papprass, cartaccia e che la usiate come papijòta, carta utilizzata per avvolgere i capelli, inanellarli insomma per ampapijòtè, mettere i bigodini.

Favria, 7.01.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Per vivere bisogna amare la vita… ma per amare la vita bisogna vivere. Felice venerdì.

Lo stomaco!

Parlando dello stomaco mi viene da pensare al celebre apologo, sempre attuale, del senatore Menenio Agrippa, discorso pronunciato da quest’ultimo nel 494 a.C. ai plebei in rivolta che, per protesta, avevano abbandonato la città e occupato il colle Aventino, per ottenere la parificazione dei diritti con i patrizi. ‘apologo ci è pervenuto grazie allo storico Tito Livio, ecco cosa disse Agrippa: “Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso, ad attendere cibo, ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce i cibi per tutte le membra. E quindi tornarono in amicizia con lui. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute.” Agrippa spiegò l’ordinamento sociale romano metaforicamente, paragonandolo ad un corpo umano nel quale, come in tutti gli insiemi costituiti da parti connesse tra loro, gli organi sopravvivono solo se collaborano e, diversamente, periscono; conseguentemente, se le braccia, il popolo, si rifiutassero di lavorare, lo stomaco, il senato, non riceverebbe cibo ma, in tal caso, ben presto tutto il corpo, braccia comprese, deperirebbe per mancanza di nutrimento.  Il compito di questo organo è quello di avviare la digestione secernendo succhi acidi ed enzimi, trasformando il cibo in una sostanza semifluida e opaca detta chimo. Ma questo luogo di trasformazione è presente in molti miti dove l’eroe viene inghiottito da un mostro e lì rimane fino a quando viene restituito, più maturo, al mondo, nelle Bibbia troviamo Giona e poi Pinocchio il famoso burattino. E si lo stomaco è da sempre sulla bocca di tutti e, non solo perché ogni nostro mangiare e bere passa di lì, ma anche perché attorno allo stomaco si è sviluppata una ricchissima espressività linguistica, diciamo infatti stomachevole, voltastomaco, pelo sullo stomaco, peso sullo stomaco, buco nello stomaco, stare sullo stomaco, stomaco di ferro, pugno nello stomaco, farfalle nello stomaco, per non parlare dei rospi da ingoiare e dei bocconi amari. Questo sacco allungato di muscolo e mucosa, capace di movimento e sosta alimentare obbligata tra esofago e intestino, era definito anticamente un laboratorio alchemico dal medico e filosofo rinascimentale Paracelso. Alzi la mano che proprio nello stomaco gli pare di sentire l’ansia e la paura. Lo stomaco mi duole se mangio troppo, sento delle fitte se mi metto in testa di fare dieta e non magio affatto, tanto da farmi i morsi della fame. Noi esseri umani ne abbiamo uno solo, ma i ruminanti ne hanno un paio ha origianto inh iatliano tanti modi di dire dall’avere uno stomaco di ferro, nel sopportare situazioni difficili con coraggio oppure avere lo stomaco in fondo alle scarpe, nel senso di avere un grande appetito, nel senso di sentirsi in grado di mangiare abbastanza da riempire uno stomaco allungatosi fino ai piedi. Per mangiare tanto però bisogna avere uno stomaco da struzzo.  Allo struzzosi attribuisce la capacità d’inghiottire gli oggetti più vari senza riportare alcun danno. In effetti quest’uccello è in grado d’immagazzinare in una parte dello stomaco tutto quello che inghiotte e che non risulta digeribile, come sassi, chiodi, pezzi di legno e così via.  Ma se mangiamo troppo possiamo dar di stomaco, dando fuori tutto quello che abbiamo mangiato. E si possiamo essere delicati di stomaco, possiamo avere problemi digestivi, ma anche essere essere schizzinosi, incontentabili, ipercritici, non trovare mai niente di abbastanza buono. A volte dobbiamo fare qualcosa controvoglia, molto malvolentieri quasi con disgusto e allora si dice fare qualcosa contro stomaco.  E allora sentiamo rivoltare lo stomaco, provando nausea, schifo, ribrezzo o altre sensazioni sgradevoli. Mi fermo di qui nel parlare sullo stomaco per non stare, scusate il gioco di parole, sullo stomaco, modo di dire per indicare le azioni che possono suscitare una forte avversione come adesso se continuo a scrive su questo organo dell’apparato digerente inivitandoVi a non dare troppo peso a quanto scritto che magari non riuscite digerire e che Vi sono rimaste impresse nella bocca leggendole adesso.

Favria, 8.01.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Non devo mai temere i momenti difficili. Il meglio viene da lì. Felice sabato.

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 12 GENNAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Zerbino!

Lo zerbino oggi significa un piccolo tappeto che si mette davanti all’ingresso per pulirsi le suole ed in senso negativo delle persone servili a volte neglette che sono simili allo zerbino tappeto che serve per strusciare sopra le suole, insomma che si fa mettere i piedi in testa. Ma originariamente lo zerbino era un personaggio o letterario dell’Orlando furioso di Lodovico Ariosto, giovane principe di Scozia che si innamora della saracena Isabella, e spira tra le sue braccia, ferito a morte da Mandricardo al quale aveva cercato di impedire che di impossessarsi della spada di Orlando impazzito. Nel poema epico-cavalleresco il personaggio di Zerbino è il modello del perfetto cavaliere, e come tale viene risparmiato dall’ironia con cui il poeta pervade gran parte dei suoi versi. La figura di questo eroe verrà ripresa da Giovanni Dolfin nella sua tragedia Medoro. Successivamente Massimo d’Azeglio, politico, patriota, pittore e scrittore, eseguì nel 1838 Morte di Zerbino, uno dei suoi dipinti più noti. La parola zerbino deriva dall’arabo zirbiy, tappeto, cuscino. Ma perché in italiano oggi nonostante il ritratto estremamente positivo che ne fa Ariosto, il nome del personaggio è diventato in italiano sinonimo di persona galante, elegante ma ostentato con scarsa  signorilità e mancanza di buongusto e poi persona che si fa mettere i piedi in testa? Beh lo zerbino, anche se bello all’ingresso della casa è prima di tutto funzionale, perché serve essenzialmente a grattarci sopra le suole delle scarpe per pulirle prima di entrare in casa, in ufficio e via dicendo. Un oggetto importante ma molto umile, ed è difficile pensare ad altri oggetti più umili dello zerbino. Ma qui la sua umiltà diventa servile per lo strofinio sopra delle suole porta a pensare ad una persona asservita e vanesia con buona pace dello Zerbino letterario, nobile cavaliere

Favria, 9.01.202  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno imparo ad allenare la fiducia. Felice domenica.

Garyowen.

Se avete visto dei film western  con il 7 cavalleria degli Sati Uniti avrete sentito questa musica sicuramente. Garyowen, è un vecchio passo veloce irlandese che può essere fatto risalire ai primi anni del 1860. Il Regimental Song “Garyowen” è entrato informalmente nell’esercito tra il 1861 e il 1866 come un rapido passo, ma il suo uso è stato documentato per la prima volta nel 1867 quando “Garyowen” è stato adottato dal 7th US Cavalry Regiment come  melodia ufficiale del reggimento, e lo storico soprannome dato al 7° reggimento di cavalleria e truppe.  Pare  che già prima soldati di origine irlandese  la cantavano nella milizia di New York. L’area geografica che ha fornito l’ispirazione e il nome di una delle più popolari e allegre canzoni popolari d’Irlanda è situata sul pendio ascendente di una collina nella contea di Limerick, vicino alla città di Limerick. Le tradizioni locali e il folklore hanno preservato il significato storico della zona e l’origine del suo nome “Garyowen”, una parola composta composta da due parole irlandesi, che significa “Giardino di Owen”. Le caratteristiche del terreno di Garryowen offrivano ai fedeli frequentatori del giardino un’ampia e maestosa vista sulla campagna circostante riccamente coltivata, sulla vecchia città di Limerick e sulla valle del fiume Shannon che bagna dolcemente le vetuste torri fortificate del castello di Re Giovanni che fu costruito alla fine del 1180 per controllare il traffico lungo il fiume.  Pare che  “il giardino di Owen era un appuntamento generale per coloro che cercavano il semplice piacere e il divertimento. Gli anziani bevevano insieme all’ombra degli alberi e i giovani giocavano sul prato. Il giardino di Owen sarebbe presto diventato famoso per le scene di conflitto quanto lo era per l’allegria e l’umorismo. Ecco la prima strofa:  “Non siano delusi i figli di Bacco,ma si unisca a me, ogni lama gioviale. Vieni, bevi e canta e porgi il tuo aiuto per  sostenere con me il coro :invece che acqua termale, berremo birra scura e  pagheremo il conto sull’unghia,  nessuno andrà in galera per debiti, da  Garyowen in gloria.” I giovani amanti dell’arguzia, si divertivano a fare feste notturne per strappare la testa a tutte le oche e strappare i battenti alle porte del quartiere. A volte lasciavano che il loro genio si librasse fino alla rottura di un lampione stradale, e ricorrendo persino alla violenza fisica di una sentinella. Ma questo tipo di scherzo è stato trovato un po’ troppo serio per essere ripetuto molto frequentemente, poiché negli archivi sono stati documentati pochi risultati di una violenza così audace. Dovevano accontentarsi della meno ambiziosa distinzione di distruggere i battenti e le serrature dei negozi, infastidire la quiete del vicinato, con lunghi e continui assalti alle porte d’ingresso, terrorizzare i quieti astanti con ogni specie di insulto e provocazione, e indulgere le loro propensioni fratricide contro tutte le oche di Garyowen. “La fama dei ‘Garyowen Boys’ si è presto diffusa in lungo e in largo. Le loro gesta furono celebrate da qualche inglorioso menestrello del giorno in quella melodia che da allora è risuonata per il mondo; e persino simbolicamente gareggiato per la popolarità nazionale con  il il giorno di S. Patrizio. Alla melodia fu aggiunta una serie di versi che presto ebbe pari notorietà. Il nome di Garryowen era noto quanto quello della stessa città di Limerick, e il giardino di Owen divenne quasi un sinonimo dell’Irlanda”. Poi Garyowen divenne noto per essere stato usato dai reggimenti irlandesi come una canzone da bere. Secondo la storia, uno dei soldati  con tanta birra in corpo  stava cantando la canzone. Per caso Custer ha sentito la melodia, gli è piaciuta la cadenza e presto ha iniziato a canticchiare lui stesso la melodia. La melodia ha un ritmo vivace, che accentua la cadenza dei cavalli in marcia, e per questo motivo è stata adottata come canzone del reggimento subito dopo l’arrivo di Custer a Ft. Riley, Kansas, per assumere il comando del 7° reggimento di cavalleria. Fu l’ultima canzone suonata per gli uomini di Custer quando lasciarono la colonna del generale Terry al fiume Powder e cavalcarono verso il loro destino nella  storia.

Favria,  10.01.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno nella vita ci vuole fiducia e coraggio, altrimenti si rischia di cadere e non riuscire a rialzarsi. Felice lunedì.

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