Carnaria. – W la Repubblica, w tutti noi. – W il tricolore – Al ciuchè e l’arloge. – Se non mi salutate e mi evitate: pazienza! – La ricchezza del grano…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Carnaria.

Giugno, denominato anche Mese del Sole o Mese della Libertà, è il primo mese dell’estate. Il suo

nome deriva da Giunone, moglie di Giove. Nell’antica Roma il  mese di Giugno si apriva con una festa in onore di Carna. Questa festività era anche nota col nome di Carnaria. Carna era un’antica divinità romana il cui nome deriva probabilmente dal termine caro, carnis , carne. Era ritenuta una divinità protettrice degli organi interni da demoni maligni dalle sembianze di uccelli chiamati Strigi. La dea salvaguardava la salute di ogni singolo individuo e dell’intero corpo civico. Secondo il rito, alla dea si sacrificava un preparato chiamato Puls fabata o fabacea. Ovidio e Macrobio raccontano che veniva realizzata una purea con fave, grano e lardo da dedicarle. Era un composto sostanzioso col quale si manifestava la volontà di combattere la consunzione e l’indebolimento della salute, soprattutto dell’intestino. I Pontefici rendevano onore alla dea portando offerte sacrificali nella foresta di Alerno, in prossimità del fiume Tevere, nell’area dove la tradizione raccontava fosse nata la divinità. Ovidio infatti, racconta che in origine la dea fosse una ninfa che, dopo essersi unita a Giano, divenne una divinità associata ai cardini delle porte.  Di fatto, l’autore identifica la ninfa Crane/Carna con Cardea, la divinità che tutelava le soglie delle abitazioni e la vita domestica. Probabilmente questo sottolinea il legame tra il mese di Junius e il momento di svolta del ciclo calendariale  tale per cui questo era l’ultimo mese a portare un “nome proprio”. Infatti, prima di essere dedicato a Giulio Cesare, Luglio/Iulius era chiamato Quintilis perché era il quinto mese del calendario. Questa dea detta dea della cerniera, altrove conosciuta come Cardea, e Ovidio specifica che:  “Per mezzo della sua presenza divina apre le cose che sono state chiuse e chiude le cose che sono state aperte “.  La fonte dei suoi poteri è oscurata dal tempo, ma Ovidio li svelerà. E’ chiaro che si tratta di un’antica Dea Madre. A Roma Cardea era anche Dea della salute, chiamata anche Carnea, che proteggeva la salute dei bambini come aveva protetto, nel mito, in qualità di maga, il bimbo Proco dalle Arpie. Era anche Dea dei cardini, delle soglie, delle porte e delle maniglie. Per lei si appendevano maschere, palline e figurine agli usci o agli alberi, per favorire la crescita del grano, il che la designa pure come Dea delle messi. Quindi Dea triforme. Suoi aiutanti erano altri due Dei: Forculus e Limentinus o Limentinum. Forculus proteggeva l’integrità delle porte per la parte lignea e Limentium proteggeva la soglia della casa. Poichè la dea poteva aprire ciò che era chiuso, poteva anche chiudere ciò ch  era aperto. Apriva l’anno nuovo e chiudeva l’anno vecchio, ed era la Dea del principio e della fine, della nascita e della morte. Le era sacra la pianta del biancospino e del corbezzolo, ambedue con fiori candidi. Secondo altre fonti, tra cui Servio Onorato, Cardea era la Dea del cardine, Forculus del battente e Portunus della chiave. Per altri ancora Forculus custodiva le imposte; Limentinus la soglia e l’architrave e Cardea i cardini. Le due cerimonie principali che si sono tramandate per le feste carnee doriche ci confermano il carattere originario del culto; una è la festa di corsa di giovani, che, sorreggendo grappoli d’uva, si lanciavano all’inseguimento di un corridore, partito per primo, tutto incoronato di bende; l’altra cerimonia era quella delle tende: si drizzavano nella campagna nove tende, o pergole, entro ciascuna delle quali prendevano posto nove cittadini che banchettavano in onore del dio.
Favria,  1.06.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Se le notti di giugno potessero parlare, probabilmente si vanterebbe di aver inventato il romanticismo. Felice mercoledì.

W la Repubblica, w tutti noi.

Il 2 giugno del 1946, l’Italia, appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, iniziava a scrivere una nuova pagina della sua storia. Il 2 giugno è una giornata che porta con sé un immenso significato simbolico, dato dalla valorizzazione della democrazia, della libertà, della pace e della solidarietà che un tempo segnarono un nuovo inizio per la storia dell’Italia e che oggi sentiamo vicine più che mai. La giornata dedicata a festeggiare la Repubblica Italiana assume tanti significati diversi: il ricordo della lungimiranza dei nostri padri e dei nostri nonni, che ci hanno permesso di vivere in un Paese senza guerre; l’apertura al diritto di voto per le donne; la creazione di una democrazia. Poi, ha segnato un nuovo inizio, con l’opera di ricostruzione materiale e morale del Paese. Con impegno e duro lavoro, donne e uomini hanno trasformato l’Italia nel paese che tutti conosciamo.  Oggi, ci troviamo ad affrontare una battaglia diversa, che ci ha visti cambiare abitudini, perdere affetti, ricercare speranza nella semplicità e, a volte, ci ha fatto scoprire di essere molto più fragili di quanto credessimo. Oggi, con la stessa passione e amore per la Repubblica, la mia speranza è che anche oggi si viva una sorta di ricostruzione. Dopo mesi di chiusura forzata, le attività sono finalmente aperte e, lentamente, ci apprestiamo a tornare ad una nuova normalità, fatta di regole e attenzioni che, se seguite, ci possono garantire una nuova rinascita, in sicurezza e tutti insieme. Stiamo affrontando un momento di feroce crisi, sanitaria ed economica, che sta portando molti di noi alla sofferenza, con la guerra che divampa in Europa. Il mio pensiero oggi è per i medici, operatori sanitari e  gli addetti alle pulizie che si sono trovati in prima linea a combattere l’emergenza e che, ancora oggi, sono tra le corsie degli ospedali, pronti a fare di tutto per salvare una vita umana. Non vogliono essere definiti “eroi”, ma lo sono a tutti gli effetti. Penso ai malati, alle vittime, alle loro famiglie; penso a chi ha perso il lavoro. Al profondo stato di angoscia che hanno attraversato in questi mesi, alle sofferenze fisiche e psicologiche che si porteranno dentro a lungo. Penso poi ai volontari della Protezione Civile Comunale, a tutte le  associazioni favriesi laiche  e religiose come la Caritas che sono impegnate ogni giorno per dare sostegno e aiuto a chi è in difficoltà, con coraggio e competenza, senza mai tirarsi indietro. A tutti loro va il mio sentito appoggio, perché possano vivere una rinascita e trovare nel futuro serenità e sollievo. Nessuno poteva immaginare a quanta sofferenza, psicologica ed economica, avrebbe portato il virus. Ci troviamo davanti ad un momento storico che ci mette duramente alla prova, come società e come esseri umani. Guardando ai nostri padri e nonni, oggi come mai prima d’ora, mi sento di dire che sia importante apprendere da loro la capacità di guardare al futuro con lungimiranza, speranza e amore per il nostro Paese. Ricostruire non è un’opera facile: richiede tempo, sacrificio, pazienza. Ed è proprio sul concetto di “pazienza” che mi vorrei soffermare un istante. Vedo ancora il distacco su alcuni volti incontrati per strada, anche senza mascherine. Questi mesi difficili ci hanno portati a scontrarci con una situazione di chiusura e paura che non ci appartenevano prima dell’emergenza. Le fragilità umane sono affiorate con insistenza e molti di noi si trovano tuttora ad attraversare un momento molto impegnativo dal punto di vista psicologico. Servirà pazienza per avere il tempo di metabolizzare lo stato di angoscia che ci siamo trovati a vivere. Ma servirà ancora di più pazienza, tolleranza e gentilezza da parte di tutti, nel sopportare e aiutare chi, più fragile, sta vivendo questi giorni con maggior difficoltà. Che si sia entrati a contatto diretto con il Covid o meno, molti di noi sono profondamente cambiati e necessitano di più tempo per una ripresa che ci possa riportare a condurre una vita simile a quella di prima. Il mio appello è quindi quello della tolleranza e del rispetto, verso chi ha subito gli effetti di questa “guerra”. Questa difficile fase storica ci sfida a dare prova della nostra capacità di affrontare le avversità e gestire i cambiamenti. Dobbiamo accettare questa sfida, così come, hanno fatto le nostre madri e i nostri padri, ritrovandosi tra le mani le macerie di un Paese da ricostruire. I cambiamenti sono difficili da accettare, certo, ma spesso portano a un miglioramento. E la mia speranza è che, questo, sia proprio l’inizio di un futuro più sereno per tutti, con nuove consapevolezze e più attenzioni verso gli altri. Il mio augurio è che questa celebrazione sia un’opportunità per condividere tutti quei valori che sono e saranno sempre l’anima del Paese. Con il 2 giugno riaffermiamo ancora una volta i valori fondanti della nostra Repubblica. Libertà, democrazia, pari dignità e tanta, tanta speranza nel domani. Viva la Repubblica! Viva l’Italia, W Favria!

Ps. Invito per un minuto di silenzio in ricordo dei concittadini, amici, parenti e conoscenti che abbiamo perso a causa del virus. Grazie

Favria, 2. 6.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. LaCostituzione è il fondamento della Repubblica, se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà. Felice giovedì.

W il tricolore

La nostra bandiera tricolore nasce grazie a due ragazzi bolognesi, Giovanni Battista de Rolandis e Luigi Zamboni, ed è ispirata a quella francese: i colori infatti sono gli stessi ad eccezione del blu, sostituito dal verde. Tutto cominciò il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia, quando il tricolore fu usato per la prima volta come bandiera della Repubblica Cispadana, una delle prime repubbliche sorelle della Francia rivoluzionaria, con capitale Bologna. Diffuso, ma con lo stemma dei Savoia, come vessillo nazionale dopo la nascita del Regno d’Italia dal 1861, nel 1947 passò ufficialmente, senza stemma, alla neonata Repubblica italiana, come stabilisce l’articolo 12 della Costituzione.

Ma perché proprio questi tre colori? Tutte le repubbliche sorte in Italia dopo la Rivoluzione francese avevano tre fasce colorate: quella cispadana adottò il bianco e il rosso derivati dai colori dello stemma di Milano, mentre il verde si rifà alle uniformi della guardia civica milanese durante la rivoluzione. Ma ci sono anche altre simbologie: il verde indica la speranza, il bianco la fede e il rosso la carità. E non è finita. Secondo una leggenda le fasce della bandiera italiana esprimono la bellezza e i valori del Paese: il verde rappresenterebbe i prati della Penisola, il bianco le nevi perenni, il rosso il sangue dei soldati caduti in guerra.

Favria 3.06.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti, smarrire la voglia di sognare ancora. Felice venerdì

Al ciuchè e l’arloge.

Il campanile di Favria è a base quadrata con i lati esterni di 6,25 m circa, la muratura ha uno spessore di 1,30m  circa. Ed è  stato realizzato con ciottoli arrotondati legati con malta, alternati a fasce di mattoni, e con perimetro esterno di mattoni a vista. L’accesso avviene tramite un’apertura nel lato nord, collegata all’ingresso su strada, ad ovest, con uno stretto passaggio collocato tra il campanile e la chiesa. lati ovest e sud confinano direttamente con la via pubblica, mentre sul lato est è addossata la costruzione che ospitava il teatrino parrocchiale. La sua costruzione è a sei ordini fuori terra, nel 1688, inizia la costruzione del campanile, terminata nel 1717. Una lapide murata nel basamento ne attribuisce la costruzione alla Comunità di Favria: “Communitas Inchoavit 1688, Perfecit 1717 » la torre Campanaria è articolata in sei ordini fuori terra di diverse altezze, sostenuti da un basamento di m. 6,25 per lato, che insieme si elevano per circa 50 metri. Presenta una prerogativa e una ricchezza unica  tra tutte le torri campanarie del Canavese, questa torre campanaria  è equipaggiata  con un carillon di sei campane intonate in re maggiore. Il Comune di Favria ha terminato il suo restauro nel maggio 1999,  l’illuminazione  interna ed esterna è stata realizzata dalla A.E.M. di Torino. Nel medioevo le campane fungevano da avviso per la popolazione nel seguente modo: sepoltura dei bambini: suono a distesa, rintocchi, della quinta campana;  esequie nei funerali,  rintocchi, suono a distesa della terza e quinta campana; tocchi prima della messa, Rosario, ect: rintocchi, colla quinta campana; segnale d’incendio: tocchi accelerati colla seconda campana; Le campane servivano anche per indicare l’avviso di raccolta dei cittadini utenti della roggia per la ripulitura annuale, infatti, o ogni anno, nel giorno scelto, al segnale delle campane avveniva la raccolta dei concittadini utilizzatori del canale che si raccoglievano nel capoluogo con gli attrezzi adatti e quindi ridistribuiti lungo il canale per eseguire i lavori necessari. A tali prestazioni collettive d’opera nei tempi andati i Comuni ricorrevano assai spesso. La singolarità del campanile di Favria è data dal concerto di campane in Re grave. Le campane sono sei e corrispondono alle seguenti note musicali Re, Mi, Fa diesis, Sol, La, Si. Nel 1927 viene sostituito il castello di sostegno da legno in ferro.  Le campane sono state benedette da Monsignor Milone, Vescovo d’Alessandria, domenica 21 agosto 1927. la ditta Roberto Mazzola di Valduggia ha fuso le campane il 14 giugno c.a. L’orologio che segna il tempo a tutti noi favriesi di nascita o di adozione come il sottoscritto è stato installato all’inizio di agosto del 1880, molto tempo dopo la costruzione del campanile. Nel gennaio del 1879 la ditta P. Granaglia & C. DI Torino fornì un preventivo per l’orologio da campanile che “suonerà l’ora, la ripeterà alcuni minuti dopo e sulla mezz’ora batterà un colpo e durerà in carica otto giorni, colla discesa per pesi di m 12”, col preventivo di spesa di Lire 1.222, facendo presente nel preventivo che se la carica fosse stata di soli due giorni, si sarebbero risparmiate Lire 200. Il periodo storico in cui avvenne la posa dell’orologio del campanile era poco dopo la presa di Roma, tempi in cui il vento anticlericale soffiava forte tra i liberali e pertanto i rapporti tra la classe politica del tempo e le gerarchie ecclesiastiche era a dire poco tesi e gelidi. Ma tutto questo non impedì al Comune di Favria di sopportare una così forte spesa, allora non esisteva il patto di satbilità, e poi anche le autorità religiose diedero il loro tacito assenso. L’orologio del campanile era un’utilità pubblica che metteva almeno li tutti d’accordo. Ed ecco che nell’agosto del 1880 l’orologio era in funzione con carica settimanale e veniva completamente pagato dal Comune nel marzo del 1881. Dai registri consultati si conserva la memoria di due fulmini che, alla distanza di settantanni, si abbatterono sull’antica chiesa parrocchiale di S.Michele. dai documenti si legge:

“il 17 luglio 1733, ore 12, impartita la  Benedizione, mentre davanti al Santissimo si recitavano le preghiere “ad repellendas tempestates”, in mezzo ad un forte fragore di tuono, cadde il fulmine sul campanile, uccidendo due persone, Costantino Giovanni Battista di Giuseppe e Lumbrisone Domenico di Giovanni Battista, e lasciandone semimorte altre due”. Viene inoltre segnalato quanto segue:“In seguito il fulmine penetrò presso l’altare della “Madonna della Cintura”, gettò a terra molti dei presenti, ne ustionò non pochi, riempì di grande spavento tutti. Per grazia di Dio nessuno riportò ferite gravi”.Nella chiesa di S.Michele una piccola lapide ricorda il fatto. Lo stesso giorno il fulmine cadde nella Cappella della Madonna della Neve ed in parecchie altre località del paese.  In un secondo documento si legge quanto segue: “ oggi 10 agosto 1803, circa le sette del mattino, mentre il signor don Marco Tarizzo celebrava la S.Messa all’altare maggiore della chiesa parrocchiale di San Michele, cadde il fulmine sul campanile, rompendo una parte del cornicione superiore e facendo diversi guasti dentro il medesimo campanile, e percotendo leggermente il campanaro, indi penetrò nella chiesa, passando per il finestrone del coro, gettò per terra tramortito il suddetto sacerdote senza grave offesa, rovesciando il calice, che fu trasportato lungi dall’altare più di sei piedi,” L’incidente avvenne dopo la Consacrazione: “ non potendo il medesimo proseguire, dovette compiere il sacrificio il Teologo G. Domenico Cardino, vicecurato; poscia il fulmine passò nella sacrestia e uscì dalla medesima, facendo due buchi nelle pareti laterali, ed ivi incendiando alcune cose esistenti sopra il guardaroba”Un’ altro fulmine, e questo molto più recente, si abbatté nel  giugno 1916 sul cupolone della attuale chiesa parrocchiale da lato verso mezzodì. Nessun danno produsse né alle persone né al fabbricato. Le tracce rimaste dell’incidente, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze, sono un buco nella volta e l’annerimento dell’indoratura circostante.

Favria, 4.06.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita di ogni giorno per essere felici bisogna fare sempre pensieri dolci e meravigliosi, perché saranno loro a sollevarci l’animo. Felice  sabato

Se non mi salutate e mi evitate: pazienza!

Il saluto è un cenno basilare della buona educazione, della civiltà e del rispetto, il punto di partenza per ogni essere umano per instaurare nuove conoscenze e mantenere intatte quelle già consacrate. Buongiorno, Buonasera oppure il più classico Ciao sono da sempre più che sufficienti ad avviare l’intricato meccanismo dei rapporti interpersonali. Dice un proverbio: il saluto non si nega mai a nessuno. Purtroppo non è vero per una certa categoria di persone  che definisco ineducati, mai stati educati, da non confondere con i maleducati che, poverini sono stati si educati ma poi hanno dimentico le basilare regole del vivere civile e procedono su un sentiero storto. Gli ineducati, non hanno rispetto della persona, la salutano solo quando ne traggono un momentaneo vantaggio, alcuni di loro, miseri e meschini mi hanno tolto “l’amicizia” sui social, pazienza. Contenti loro. Pazienza domani è  un altro giorno che rincorre un altro sogno che arriverà. Io vado avanti ogni giorno trascorrendolo in piena normalità.  Continuo la mia vita normale, sempre seguendo la verità, che forse ferisce, ma cosa volete farci sono nato originale e non voglio morire fotocopia. Con la mia penna scrivo quello che mi và, non offendo mai nessuno e se le persone mi scartano pazienza, la figura la fanno loro. Anni addietro sono stato offeso con commenti non proprio lusinghieri, in modo gratuito, ma a queste persone non ho tolto il saluto, anzi loro lo avevano tolto a me, io non discendo a quegli infimi livelli ne ho risposto alle loro provocazioni.  Mi domando come fanno delle persone ad arrivare al punto di non salutare. Quando si arriva al punto di non salutare più qualcuno, vuol dire necessariamente che la persona non più omaggiata di saluto è stata protagonista di azioni ed assunto comportamenti al limite dello stomachevole, spesso e volentieri è stata la causa sofferenza oppure più semplicemente si arriva a ritenerla riprovevole e di conseguenza, di riflesso, inesistente. E’ anche vero che ogni azione genera sempre una reazione. La reazione è direttamente proporzionale alla gravità, alla quantità ed alla qualità di malessere generata dall’azione. Queste persone dovrebbero avere il coraggio di parlarmi a quattro occhi,  per dirmi il perché di questo gesto di mancanza di rispetto. Mi dispiace per loro io accetto il loro atteggiamento con il silenzio e  l’accettazione. Perché questo vuole dire saper vivere senza rodersi dentro di astio e rancore, la vita è breve, perchè si deve sprecare con queste miserie umane! Gli errori li commettiamo tutti, questo è fuori dubbio. Siamo esseri umani, siamo imperfetti. Ma è davanti alle conseguenze di certi errori, davanti alla comprensione ed alla percezione degli stessi ed attraverso il comportamento successivamente assunto che ci viene offerta la facoltà di scegliere se essere meno imperfetti rispetto a prima oppure trasformarci in totali imbecilli. Nel saluto c’è rispetto, anzi  il saluto è l’abc del rispetto. Non può esserci rispetto laddove questo sia malamente mancato. Non può più esserci il saluto.

Favria, 5.06.2022 Giorgio Cortese

Buona serata. nella vita quotidiana è più semplice spezzare una dura roccia che un pregiudizio. Felice domenica

La ricchezza del grano.

La coltivazione del grano ha origini antichissime ed è iniziata con la selezione e la propagazione di sementi ricavate da varietà selvatiche particolarmente resistenti. Ma solo nel 1900 dopo gli esperimenti condotti dal biologo ceco Gregor Johann Mendel, 1822-1884, gli scienziati hanno iniziato al miglioramento genetico anche di questo prezioso frumento per noi esseri umani. Il grano ha avuto un’importanza fondamentale nello sviluppo degli esseri umani e ha avuto nei millenni un rilevante valore culturale ed economico. I nostri progenitori hanno iniziato la coltivazione del frumento circa diecimila anni fa, quando i gruppi imani da cacciatore erranti, diventano stanziali, con la necessità di procurarsi il cibo costantemente “in loco”; il grano si sviluppò naturalmente in una zona detta “mezzaluna fertile”, l’attuale medioriente, situato lungo il fiume Nilo e tra i fiumi Tigri ed Eufrate. In questa zona, naturalmente prodiga nei confronti del frumento, si sono sviluppati questi cereali che prendono il nome dalla dea Cerere che ne avrebbe fatto dono divino agli uomini. Si fa presto dire grano, questo cereale viene distinto in tenero e duro  a seconda della facilità con la quale viene sbriciolato. Dal grano tenero si ricavano le farine, dal duro le semole. Sono due tipi di grano e il grano tenero viene coltivato  nelle zone temperate fredde, mentre il grano duro si produce nelle zone temperate calde, e non cresce nella fascia tropicale. Ho parlato del grano per arrivare alla guerra in Ucraina, uno dei maggiori produttori di questo frumento nel mondo, con campi minati e il porto di Odessa bloccato per l’export dei questo prezioso frumento. La guerra in Ucraina non solo è drammaticamente vicina per l’Italia, ma ha una ripercussione diretta sull’aumento degli alimenti. Dall’inizio dell’invasione russa i prezzi del grano, il mais e altri prodotti agroalimentari sono schizzati nella Borsa di Chicago e le quotazioni del Matif di Parigi, borsa di riferimento per le materie prime agricole in Europa. Pensate che l’Ucraina e la Russia insieme rappresentano più di un quarto del commercio mondiale di grano, nonché un quinto delle vendite di mais. La chiusura di porti e ferrovie in Ucraina, soprannominata il granaio d’Europa, ha già iniziato a gettare nel caos le esportazioni di merci della nazione. Ma il problema non sono solo le spedizioni. La Russia è anche un importante esportatore a basso costo di quasi ogni tipo di fertilizzante, allora se pensiamo alla catena alimentare del frumento, ogni piatto di cibo che tocchiamo è arrivato lì con i fertilizzanti di aiuto. Se il commercio globale viene interrotto, comporterà costi più elevati per gli agricoltori di tutto il mondo e, a sua volta, una maggiore inflazione alimentare. La crisi del grano e dei prodotti derivati sarà un grande problema per il settore molitorio e per tutto l’agroalimentare in Italia. Molto probabilmente le imprese italiane del settore dovranno rifornirsi di grano in altri mercati, come Canada, negli Stati Uniti o Australia, molto più lontani, con un conseguente aumento dei prezzi per i consumatori. Ma, la guerra Russia-Ucraina rischia di mettere nei guai anche l’Africa dal punto di vista alimentare. L’ Eritrea  dipende per il 100% dal grano prodotto nei 2 Paesi in guerra, o della Somalia il cui rapporto di dipendenza supera il 90%, o ancora come l’Egitto che dipende per l’80% dalla produzione di queste zone, purtroppo non sono casi isolati, pare che siano almeno cinquanta i Paesi in via di sviluppo dipendenti per oltre il 30% dalle importazioni di cereali dalle zone di guerra e venticinque lo sono per oltre il 50%. Sono stati fragili dove i governi si basano per buona parte dei propri consensi sulla somministrazione di cibo a condizioni accessibili, uno stabilizzatore che in questo caso potrebbe venir meno in breve tempo. Per loro vare sempre il detto latino “panem et circenses”, pane e giochi per tenere buono il popolo riempiendo la pancia e poi lo sport per distrarli. Adesso tutto questo rischia di saltare, alcuni di questi paesi hanno uno stock di cereali per non oltre due settimane. La vera fame per molti territori, in altre parole, sarebbe dietro l’angolo a causa di qualcosa che accade a migliaia di chilometri. Anche la Cina, principale importatore mondiale di prodotti agricoli, è preoccupata. D’altra parte la questione delle scorte alimentari non è solo dei nostri tempi. Da sempre l’umanità ha dovuto conservare parte della produzione per la semina dell’anno successivo e per far fronte a momenti di difficoltà. Anche nella Bibbia si trova una riflessione su questo argomento, al punto che una delle vicende più affascinanti del libro della Genesi, la storia di Giuseppe in Egitto, è costruita proprio a partire dall’uso e dalla gestione delle scorte, cioè dei granai. Oggi stiamo rischiando di “mangiare il grano in erba”, ipotechiamo il nostro futuro senza capire i reali effetti della guerra in Europa ed i vari contendenti tirano l’acqua al loro mulino senza rendersi conto di quanto grano che c’è in mezzo. Tornando alla guerra è sempre attuale la frase di una canzone di Andrè, Guerra di Piero: “…E mentre il grano ti stava a sentire dentro le mani stringevi il fucile, dentro alla bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole….”

Favria, 6.06.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Credo che la speranza sia proprio lì quando guardo qualcosa di meraviglioso, mentre il cuore mi suggerisce “ce la farai”. Felice  lunedì.