Caro Gesù Bambino.1 – Grazie a tutti e Auguri di Buone Feste! – Lo specchio. – Caro Gesù Bambino 2 – Oh issa Santiano… – Sua maestà Parmigiano Reggiano, il grana! – Bagonghi!..LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Caro Gesù Bambino.
Ti scrivo, anche se sono adulto, ma conservo nell’animo sempre lo

stupore dei bambini, Ti scrivo ugualmente perchè nella notte del S. Natale può succedere di tutto, perché è una notte speciale!

Caro Gesù Bambino, la mia salute è buona e non mi lamento, sono pensionato e non ho nessuna necessità per me.

Caro Gesù Bambino, Ti chiedo di portare tanta serenità a tutti i bambini del mondo che soffrono per malattia o per mancanza di famiglia e aiuta tutti noi adulti nel comprendonio e buon senso nell’affrontare questa pandemia, che mi pare oggi si sia smarrito.

Caro Gesù Bambino, mi rivolgo a Te e non a Babbo Natale, perché Tu i miracoli li puoi fare, manda via questo maligno virus perché ritorniamo a vivere tutti sereni.

Caro Gesù Bambino porta un pasto caldo ha chi ha fame e accendi nell’animo di tutti noi una luce di amore nel cuore che ci accompagni tutto l’anno!

Caro Gesù Bambino conserva sempre in tutti noi lo spirito Alpino che ci contraddistingue e ci porta ad essere sempre portatori di valori che oggi la società ha sempre più bisogno: l’umanità, l’amicizia, la solidarietà ed il sentimento di appartenenza.

Grazie Gesù Bambino

Favria, 21.12.2021  Giorgio Cortese

Buona È la vigilia di Natale. Se è passato il tempo in cui accadevano miracoli, ci è rimasto almeno un giorno magico in cui tutto può succedere. Felice martedì

Grazie a tutti e Auguri di Buone Feste!

Cari concittadini, e soci della varie associazioni favriesi,

Vi scrivo in questo clima di feste natalizie per augurarVi il meglio e per ringraziarVi.

Come Vostro concittadino e presidente di una Associazione di Favria Vi voglio ringraziare per l’impegno che tutti i giorni riponete per mettere in pratica i Vostri personali talenti, superando gli steccati ideologici perché per andare avanti dobbiamo essere uniti per rendere migliore Favria.

Buon Natale a tutti Voi, in primis  a diversamente giovani, gli anziani, custodi delle nostre radici e di una memoria storica che è insegnamento di vita, poi ai giovani che  sono la nostra più grande ricchezza, affinché abbiano occhi attenti e cuori aperti ad accogliere solo esempi positivi e costruttivi per il loro futuro.

Buona Natale a tutti l’augurio che le prossime festività possano accompagnarci lungo tutto il corso del nuovo anno rendendoci più forti e uniti per superare tutte le difficoltà anche economiche legate a questa pandemia, che non ci deve fare chiudere in noi stessi ma aprire i nostri cuori per farci riscoprire il valore umano della socialità e di stare assieme.

Buona Natale, con l’auspicio che questo messaggio augurale sia  un’iniezione  di fiducia e di speranza. Perdurando la pandemia le festività natalizie giungono al termine di un periodo di tensione, preoccupazione e incertezza.

Attraverso gli auguri che ci si scambiano, speriamo sempre che qualcosa migliori per noi e per le persone a noi care.

Ed è proprio in quest’ottica di sguardo fiducioso al domani che mi auguro che il Santo Natale, con il suo significato più vero, possa dare a tutti la gioia di vivere, la gioia di guardare al futuro, il piacere e la serenità di incamminarsi verso il nuovo anno.

Buon Natale e rinnovo gli Auguri a tutte le persone che compongono la nostra comunità e che si adoperano per migliorarla, a coloro che sono in difficoltà, a quelli che vivono in solitudine.

I miei vogliono essere degli auguri diversi perché intrisi di riconoscenza e gratitudine a tutti Voi per quello che fate.

Tantissimi auguri a voi e ai vostri cari di un Natale gioioso e ricco di belle sorprese.

Buon Natale, con l’augurio che la luce del Salvatore illumini le vostre famiglie e risplenda nelle vostre case per tutto il 2022.

Buon Natale e Felice anno nuovo!

Favria, 22.12.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Le cose più belle della vita non si guardano con gli occhi, ma si sentono con il cuore. Un caloroso augurio di buon Natale! Felice mercoledì.

Lo specchio.

Una donna di nome Pandora lo trovò  in un mercatino di Natale. Lo specchio era in una borsetta rossa. Lo specchio si trovava all’interno  in una tasca. La venditrice si raccomandò con Pandora di non rompere lo specchio, porta  sfortuna. Èn andora si mise a ridere dicendo che non ci credeva. La venditrice aggiunse che se lo specchio si rompeva, l’unico modo  di liberarsi della sfortuna era di riportagli indietro la borsetta. Pandora se ne andò ridendo e per un po’ le cose filarono lisce. Poi durante una festa la borsetta finì schiacciata sotto un mucchio di cappotti e lo specchio si ruppe. L’indomani Pandora si era presa una butta influenza, ma pensava ad un male di stagione. Poi la madre si prese la polmonite, allora Pandora incominciò a detestare la pochette e la nascose in solaio. In estate Pandora seppe che veniva licenziata, poi sua madre ad inizio dicembre ebbe una ricaduta e poteva morire. Pandora andò nel solaio, ritrovo la borsetta nascosta in un vecchio  armadio e la riporto alla venditrice che appariva adesso ai suoi occhi una megera e scappò via. Appena andata via la venditrice prese un nuovo specchio e lo rimise nella borsetta in attesa di una nuova cliente, intanto poi gli sarebbe stata riportata come ogni Natale.

Favria, 23.12.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata, a Natale ai miei avversari regalo il perdono, a chi arrogante la tolleranza, ai miei amici il cuore, a chi ha bisogno il mio aiuto sincero. Ma a tutti regalo rispetto e riconoscenza. Felice giovedì

Caro Gesù Bambino

Caro Gesù Bambino che ne dici, se in questo Natale faccio un bel presepio dentro il mio cuore con un bell’albero e ci attacco, invece dei regali, i nomi di tutti i miei amici? Gli amici lontani e vicini. Gli antichi e i nuovi, quelli che vedo tutti i giorni e quelli che vedo di rado. Quelli che ricordo sempre e quelli che, alle volte, restano dimenticati. Quelli costanti e intermittenti. Quelli delle ore difficili e quelli delle ore allegre. Quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire. Quelli che conosco profondamente e quelli dei quali conosco solo le apparenze. Quelli che mi devono poco e quelli ai quali devo molto. I miei amici semplici ed i miei amici importanti. I nomi di tutti quelli che sono già passati nella mia vita. Un albero con radici molto profonde perché i loro nomi non escano mai dal mio cuore. Un albero dai rami molto grandi, perché nuovi nomi venuti da tutto il mondo si uniscano ai già esistenti. Un albero con un’ombra molto gradevole, la nostra amicizia sia un momento di riposo durante le lotte della vita.

Felice Santo Natale a tutti che mi avete letto

Favria, 24.12.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Natale non è tanto aprire i regali quanto aprire i nostri cuori. Felice venerdì

Oh issa Santiano…

“C’est un fameux trois-mâts fin comme un oiseau/ Hisse et ho, Santiano/ Dix huit nœuds, quatre cent tonneaux…..” Santiano è una canzone marinaresca con due filoni testuali, uno sulla figura del generale messicano Antonio Lòpez de Santa Anna da cui deriva il titolo, l’altro sulla corsa dell’oro in California.  Il brano conosce una vasta diffusione oltre i circuiti folk della tradizione anglofila già a partire dagli anni 60 ed è diventato assai popolare soprattutto in Francia e Germania e più in generale nei paesi del Nord Europa. Varie le riscritture e gli adattamenti in altre lingue,  con  versioni dalla Norvegia, Francia, Galles e Germania. Ecco il testo. “ E’ un famoso tre alberi leggero come un uccello. Oh issa, Santiano 8 nodi, 400 tonnellate. Sono orgoglioso di essere un suo marinaio, tiene bene il timone e tiene bene il vento. Oh issa, Santiano. Se Dio vuole di filato andremo a San Francisco. Vado via e per dei lunghi mesi ti lascio Margot. Oh issa, Santiano. A pensarci mi fa male il cuore mentre doppiamo il faro di Saint-Malo. Dicono che da quelle parti si facciano i soldi a palate. Oh issa, Santiano. A trovare l’oro sul fondo dei torrenti ti riporterò un po’ di lingotti. Un giorno tornerò carico di doni. Oh issa, Santiano. Nel paese andrò a trovare Margot, le metterò l’anello al dito. Tiene bene la rotta, tiene bene le onde. Oh issa, Santiano. Sul mare che s’ingrossa, noi navigheremo fino a San Francisco. E’ un bel tre alberi leggero come un uccello. Oh issa, Santiano 8 nodi, 400 tonnellate. Sono orgoglioso di essere un suo marinaio.

Favria, 25.12.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ricordate che Natale non è solo un giorno, è uno stato d’animo. Buon Santo Natale.

Sua maestà Parmigiano Reggiano, il grana!

Oggi quando parliamo  di Parmigiano Reggiano, parliamo dei luoghi dove si produce questo ottimo formaggio, eccellenza italica, perché parmigiano, significa proveniente dalla provincia di Parma e reggiano da quella di Reggio Emilia. Oggi la zona di produzione include anche  la provincia di Modena, parte della provincia di Bologna e quella di Mantova in Lombardia. Il nome Pamigiano Reggiano è recente, rispetto alla lunghissima storia di questo celebre formaggio, che esiste da quasi mille anni.  Le prime testimonianze della sua produzione e commercializzazione risalgono al 1200, dove in un atto notarile redatto a Genova nel 1254 viene chiamato caseus parmensis, il formaggio di Parma e viva commercializzato non solo nell’Italico Stivale ma nel bacino del mar Mediterraneo, fino alla Sublime Porta ad Istanbul alla corte dei sultani turchi. Questa sua commercializzazione e descrizione già nel 1200, con le caratterisiche attuali, ci porta a pensare che abbia delle origini molto più antiche, come di formaggi citati da autori latini e poi con l’evoluzione e perfezionamento della produzione sono arrivati agli attuali standard, rimasto immutato esattamente come era nove secoli addietro, stesso aspetto, stessa consistenza, fatto nello stesso modo, negli stessi luoghi e con i medesimi rituali.  Pensate che Giovanni Boccaccio lo cita nel Decameron, quando descrive la contrada del Bengodi, una montagna di “parmigiano grattugiato” su cui venivano fatti rotolare “maccheroni e raviuoli”, indicandone così l’originario utilizzo. Nel XV secolo in Emilia la crescita di feudatari ed abbazie contribuì ad un notevole incremento del livello di produttività nella pianura tra Parma e Reggio Emilia, che portò ad un ulteriore sviluppo economico che porto all’aumento delle dimensioni del formaggio sino a a Kg 18. Poi nel XVI secolo si assiste allo sviluppo delle vaccherie, cui era annesso il caseificio per trasformare il latte del proprietario a cui si aggiungeva il latte delle stalle dei mezzadri, che aiutavano il casaro, a turno. Per questo motivo il caseificio veniva definito anche “turnario”, e diventò un vero e proprio centro produttivo, economico nonché sociale. A ciò si deve anche la crescente notorietà di questo formaggio, la cui intensa commercializzazione contribuì a diffondere anche il suo nome e a renderlo riconoscibile, oltre che nella forma e nel sapore, anche nella definizione che lo legava indissolubilmente alla zona emiliana dove veniva prodotto.   In questi anni, la produzione del Parmigiano Reggiano  si affermò  anche nella limitrofa provincia di Modena. In quell’epoca i cuochi parlavano di un formaggio detto il “Parmigiano” che utilizzavano in numerose ricette di primi piatti e di dolci.  In questo periodo inizia la sua esportazione in tutta Europa, Spagna, Francia, Fiandre e Germania. Ulteriore incremento avvenne nel XVII quando il duca di Parma Ranuccio I Farnese volle espandere la sua produzione in tutto il ducato, costruendo nuove e grandi vaccherie e incoraggiando i pascoli locali, cosolidando così  l’immagine che la zona di produzione fosse da riconoscere ufficialmente nella zona di Parma, motivo per cui nel 1612 la famiglia Farnese siglò per la prima volta il formaggio con il nome di Parmigiano, definendo nel documento i luoghi dai quali doveva provenire il formaggio che poteva essere chiamato in alternativa “di Parma”.  Nel 1700 i duchi di Modena e Parma per fronteggiare le continue guerre di quel periodo decisero di modernizzare la campagne e migliorare la produzione parmense, espropriano i terreni affidati ai conventi e ai monasteri, rivendendoli alla nascente borghesia agricola reggiana e modenese, si concentrò la produzione del formaggio Parmigiano Reggiano, che incluse anche , senza ciralo il territorio Modenese e  più avanti la provincia di Mantova e Bologna. Negli anni cinquanta del Novecento con la ripresa economica post conflitto mondiale la legge italiana approvo il marchio di Denominazione di Origine per salvaguardare i prodotti tipici. Nel 1996  il Parmigiano Reggiano  venne  riconosciuto come DOP europea, sigla di Denominazione di Origine Protetta. Come abbiamo visto è una lunga storia anche se in emiliano viene chiamato semplicemente grana, con riferimento alla pasta dura e granulosa che lo contraddistingue. La stessa parola, in dialetto, indica anche il denaro, forse a richiamare la ricchezza ed il pregio di un prodotto che nella cultura popolare è sempre stato associato a qualcosa di prezioso e necessario. Curiosamente, il termine “grana”, nella lingua italiana corrente, indica invece il formaggio “Grana Padano”, altra eccellenza italiana DOP nonché principale concorrente del Parmigiano Reggiano.  Nel mondo purtroppo esistono dei prodotti contraffati che giocano su nomignoli  come  parmesan nel nord Europa e Usa e reggianito nell’America Latina. Ma ricordate solo il Parmigiano Reggiano Dop è quello vero con la sua millenaria storia,  e il Parmigiano Reggiano  completa una buona cena e integra una cattiva. Buon appetito.

Favria, 26.12.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno camminiamo lungo il sentiero della vita sempre con i piedi per terra e l’animo sempre pronto. Felice domenica

Bagonghi!

Bagonghi o nani Bagonghi era usato una volta per indicare le persone che soffrivano di basse altezze, affetti molte volte da nanismo e che lavoravano, per guadagnarsi da vivere, nei circhi, nelle fiere e dei baracconi ambulanti  come clown, saltimbanchi, giocolieri ed equilibristi, che giravano per i paesi. Secondo alcuni questo nomignolo pare che derivi dal nome di una tribù pigmea africana i Ba Kango, nome di una tribù pigmea dell’Africa occidentale. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento risulterebbero aver lavorato nani con questo pseudonimo nei circhi Guillaume, Gatti & Manetti e Barnum. Si ritiene che il primo Bagonghi sia stato Andrea Bernabè, nato a Faenza il 27 gennaio 1850 e morto attorno al 1920, che iniziò la sua carriera nel Circo Zavatta. Successivamente alcuni Bagonghi celebri in Italia sono stati Giuseppe Bignoli, Galliate, 1892 – Galliate, 1939,  Nel linguaggio colloquiale bagonghi, viene ancora usato come appellativo scherzoso, almeno lo spero, da bambino.. Pensate che nel dialetto milanese di un tempo, l’espressione “Bagonghi e sensa murusa” indicava invece propriamente una persona che, a causa della propria bassa statura, fosse rimasta senza fidanzata. Nella cultura dialettale livornese e veneziana ed in alcune zone dell’Emilia Romagna invece l’espressione “Pari Bagonghi” per indicare chi indossava abiti troppo larghi o con maniche eccessivamente lunghe che lo rendevano goffo, proprio con riferimento ai costumi di scena circensi. Epiteto bonario usato una volta nei confronti dei bambini,  che tendevano a rendersi ridicoli giganteggiando su meriti che non avevano o affrontando argomenti sui quali millantavano una finta preparazione suscitando ilarità ai propri interlocutori. Beh, adesso si dovrebbe usare per i novelli virologi tuttologi che infestano come una peste il web. Ciao bagonghi che chiedete la libertà di parola come compensazione per la libertà di pensiero che raramente usate.

Favria, 27.12.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno mi considero sempre apprendista nel mestiere della vita dove non diventerò mai maestro. Felice  lunedì