Chiedetemi se sono felice! – Agàss et bagàss. agassè! – Messa! – L’amore patefatto! – Gioch! – I mulini e la fontana perenne. – Cremisi… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Chiedetemi se sono felice!
Purtroppo la pandemia oltre ai morti lascia anche una scia di povertà per tante

famiglie, l’incertezza nel futuro sia sulla salute che di passare il mese. La gente viaggia per le strade furtiva e quasi reticente a salutarti e dire due parole, come dicevo più di 100mila morti hanno paralizzato economia e lavoro e anche i pensieri per il futuro, ma noi tutti, anche in maniera inconsapevole abbiamo sviluppato un’incredibile resilienza e anche una accresciuta felicità sulla nostra umana e misera vita. Mi darete del visionario con i morti e i lutti che molte famiglie hanno patito. Purtroppo questa pandemia se non ci ha toccato direttamente ha ucciso tante persone care, tante persone che conoscevamo e la situazione economica non è rosea, ed allora come facciamo a dire che siamo felici! Pensiamoci bene, cosa rende la nostra vita soddisfacente e ricca? Certo il benessere economico è ovviamente importante la nostra felicità non cresce al crescere dei soldi che abbiamo o dei beni che possiamo consumare. È la nostra capacità di attivare la nostra espressività e le nostre energie verso un fine che può renderci felici e quindi paradossalmente non l’eliminare dall’orizzonte qualunque problema, ma lo sceglierne uno o alcuni facendosene carico per contribuire con i nostri sforzi ad accrescere il benessere di altri. Il paradosso è che la tragedia della pandemia ha arricchito di senso le nostre vite. In quei terribili giorni ci siamo sentiti tutti parte di una Comunità coesa con un copione ben preciso. Dovevamo combattere assieme la pandemia, rispettare alcune regole per provare a uscirne insieme. E sono arrivate le bandiere sui balconi, gli inni nazionali che suonavano dai palazzi. Poi il lavoro a distanza che ci ha fatto, e mi ha fatto entrare di colpo in una nuova dimensione e che ha annullato per molti i costi di spostamento e ci ha reso più ricchi di tempo e capaci di conciliare vita di lavoro e di relazioni. Infine, anche il senso che uno sopravvive, nonostante tutto, nonostante che i vaccini non arrivino o che provocano reazioni mortali più pericolose della pandemia stessa. Il vedere attorno a noi lutti e dolore ci ha fatto rivalutare quanto sia preziosa e importante la nostra vita, apprezzando il fatto di trovarci tutto sommato in buona salute. Il paradosso della felicità ai tempi della pandemia deve insegnarci qualcosa. Non dovremmo avere bisogno di una tragedia per riscoprire il senso di Comunità, per attribuire un significato forte alla nostra esistenza e capire quanto la vita è preziosa. La dimensione religiosa è di per sé una risposta compiuta alla domanda di senso, ma la fede purtroppo non è un dono di tutti! Ecco adesso rispondo alla domanda, sono felice perché sono qui, in salute e assaporo quanto sono belli i piccoli gesti quotidiani che prima della pandemia non apprezzavo.
Favria, 6.04.2021  Giorgio Cortese

Ogni giorno non lasciamo mai che la paura ci impedisca di vivere sereni 

Ti aspettiamo a Favria   MERCOLEDi’ 7 APRILE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Agàss et bagàss… agassè!

Ho sentito questa curiosa espressione da una persona in un negozio un sabato mattina nel sintetizzare l’operato dei governanti al riguardo dei colori attribuiti nostro amato Belpaese che sembra sempre di più ad un arlecchino, beh siamo anche in tema di Carnevale. Certo non posso ne voglio aggiungere le successive colorite parole. Questa espressione piemontese àgass et bàgass deriva da una espressione latina, addirittura da Cicerone nel De oratore, agas asellum…ut bagas consisti. Ut bagas stabas. Secondo quanto trovato bagas deriva da Baogas, citato da Plutarco, Bagoas un visir o eunuco persiano ritenuto da molti storici come l’amante di Alessandro Magno. La parola agas dedriva da agaso asinaio, diventanto l’attuale ingiuria o meglio una frase offensiva detta apposta una cuntumelia.  Nonostante le sue ragioni sentire delle persone che inveisco per i solo piacere di inveiere porta queste persone a sedere intorno al tavolo della vita dalla parte del torto.  Vederlo così agassè, irritato che sembrava che drighignava i denti, anche questo è il significato del lemma che deriva dal francese agacer, gridare come una gazza o una cornacchia. Mi ricorda la volpe che grida contro l’uva dicendo che è agrest, acerba.

Favria, 7.04.2021  Giorgio Cortese

Se la vita quotidiana ogni giorno fosse prevedibile, cesserebbe di essere vita e sarebbe senza sapore!

Ti aspettiamo oggi  a Favria   MERCOLEDi’ 7 APRILE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Messa!

Se leggiamo o sentiamo la parola messa pensiamo subito alla nostra liturgia cristiana, rito in cui il sacerdote rinnova e commemora il sacrificio di Cristo. La parola deriva dalla frase latina: “Ite, missa es!” con cui il sacerdote conclude il rito, letteralmente: andate, è stata inviata.” Ben pochi sanno il motivo per cui il sacrificio eucaristico viene designato con questo nome. Questa parola compare, forse per la prima volta, in una lettera di sant’Ambrogio alla sorella Marcellina nel IV secolo d.C.  Non è escluso però che l’impiego di questa parola sia più antico e sia stato usato dai cristiani ai tempi delle persecuzioni per occultare ciò che avevano di più caro: l’Eucaristia, il sacrificio di Cristo, il memoriale della passione e morte del Signore. Purtroppo in italiano lingua volgare la frase perde lo slancio che aveva in latino e la frase, secondo alcuni studiosi, dal momento che nei primi secoli cristiani i catecumeni potevano presenziare solo alla prima parte dell’Eucaristia, e cioè potevano partecipare solo alla liturgia della Parola e non al sacrificio, terminata questa parte venivano congedati, e cioè “missi” o “dimissi”. La stessa cosa avveniva anche per i penitenti. A quei tempi la penitenza per i peccati commessi era pubblica. Finita la loro parte, la liturgia penitenziale, venivano anch’essi congedati, e cioè “missi” o “dimissi”. Terminata poi la celebrazione Eucaristica, tutta la comunità era licenziata, congedata. Per questo ripetersi non solo della parola “missi” o “missa”, ma anche dei congedi di varie porzioni della comunità, l’intera celebrazione sarebbe stata chiamata Messa, in latino Missa.  Nello stesso tempo, come ho detto, con questo termine si occultava la celebrazione davanti ai pagani, nei primi tempi del cristianesimo, segnati da persecuzioni e semiclandestinità, dove esisteva l’usanza di mandare il pane consacrato agli assenti forzati. Ma forse dimentichiamo che alla fine della   liturgia, nei primi secoli dell’era cristiana si congedava la Comunità al termine della celebrazione eucaristica, ricordando a tutti che da qual momento iniziava per tutti una missione, missio appunto, di testimoniare con la vita cioè che avevano celebrato. E siccome avevano celebrato l’immolazione del Signore, anche i cristiani dovevano immolarsi gli uni verso gli altri offrendo il sacrificio della loro vita a Dio in unione con il sacrificio di Cristo e pertanto la Messa ne diviene il punto di partenza e il punto di arrivo ma col tempo tale pratica cadde in disuso, i fedeli non compresero più il senso della formula, intendendola come semplice annuncio della conclusione del rito e interpretando missa come nome del rito stesso. Nelle altre lingue europee Messa in spagnolo è Misa, in francese Messe e in inglese Mass, in tedesco Messe vuol dire anche fiera, come la famosa Frankfurter Buchmesse, la fiera del libro di Francoforte. Ma la Buchmesse e le altre Messen tedesche non sono messe bensì fiere? Nel Medioevo, le Messe in onore dei Santi più venerati divenivano vere e proprie feste popolari con sacre rappresentazioni anche fuori dalle chiese stesse, e così il latino ecclesiastico missa, nonché l’alto-tedesco medio misse o messe,  prese, tra Francia settentrionale, Fiandre e Germania, anche il significato di festa come traspare ancora nel tedesco Lichtmess, Candelora, letteralmente  festa della luce o la parola dal medio olandese kerkmesse, poi in tedesco  kermesse che da  Messa della parrocchia è diventata sagra paesana. Ma essendo le festività religiose, naturalmente, anche occasioni per fiere e mercati, dal XIV secolo il tedesco Messe si arricchì anche di questo significato, con un passaggio semantico non certo strano per noi italiani, dato che fiera deriva dal latino feria, giorno festivo, quindi di mercato. Una curiosità la parola messa in italiano corrisponde anche all’azione del mettere, come messa in atto, messa in opera, messa in onda messa in orbita e per le donne messa in piega, a volte per fare una foto o per ponderare un problema dobbiamo fare una messa a fuoco e in teatro e politica assistiamo a volte ad una messa in scena. La parola messa può generare confusione se pensiamo che il lemma tardo latino missus era anche la pietanza, la portata di un pasto, ciò che, appunto, è portato e messo in tavola, e attraverso l’antico francese mes, oggi mets è approdato in Inghilterra, dove però ha finito per indicare un miscuglio di cibi. Mi fermo qui per ritornare al significato principale quello di Messa liturgica,  la missione della comunità cristiana è mandata, in latino missa a testimoniare quanto ha celebrato. Ecco che la  Celebrazione Eucaristica, che è il momento più alto della comunità cristiana, diventa così il lievito della vita per tutti noi cristiani, come già detto  il punto di partenza e il punto di arrivo.

Favria, 8.04.2021 Giorgio Cortese

Ogni giorno la vita quotidiana non è un problema da risolvere, ma una realtà da vivere bene!

L’amore patefatto!

Il dotto amico Automedonte mi ha inviato un simpatico video dove una gallina cova tre…piccoli gattini!  Nel video all’inizio una graziosa chioccia è immersa in un cumulo di paglia mentre sta covando, e non sarebbe nulla di particolare se non fosse che, sotto il suo folto piumaggio, si nascondono tre dei teneri gattini!  Come pulcini, i piccoli micetti rimangono appollaiati al caldo, riparati dalle intemperie grazie a questa gallina che ha deciso di prendersi cura di loro…  o provando ad immaginare il perché del fatto, forse nella fattoria una gatta ha deciso di partorire i suoi micetti nel caldo nido di una chioccia. Quando la gallina è tornata, ha visto i piccoli gattini lì dov’era solita allevare i suoi pulcini. Istintivamente la chioccia ha deciso che avrebbe allevato quei teneri esemplari di un’altra specie come suoi pulcini e li avrebbe difesi da tutti, anche dalla loro mamma gatta…ecco questo è un bel esempio che potremmo chiamare di amore patefatto. La parola patefatto deriva dal latino patefactus, participio passato di patefacere, “essere aperto e fare”, insomma indica ciò che è manifesto, chiaro, evidente, palese come l’amore istintivo che hanno gli animali verso i cuccioli anche di altre specie. In pratica, tutti i mammiferi e gli uccelli ad eccezione dei rettili e di altri pochi animali, accudiscono i loro piccoli.  Le cure materne sono in sostanza il primo modello per ogni forma di accudimento.  L’impulso al prendersi cura, innato in tutti noi proviene da sistemi del cervello dove scattano fenomeni chimici cerebrali fondamentali nel promuovere la cura materna, e per noi esseri umani senza l’amore materno, non potrebbero esistere l’empatia e l’altruismo.   Il potente e meraviglioso impulso in noi mammiferi all’amore verso la prole fornisce una base decisiva per la “sopravvivenza” di tutte le specie di questa bel pianeta. Di conseguenza, la salute di tutti i mammiferi è “legata” in maniera decisiva alla “qualità” e alla “quantità” precoce dell’amore materno.  Il cervello dunque è organizzato geneticamente per prendersi cura della propria sopravvivenza, della prole e degli altri. Alla base di questo processo di cure parentali c’è la morale, ovvero le emozioni morali, il bene e il male, l’altruismo e l’empatia.  I modi di agire e di sentire in senso morale si sono infatti evoluti anche nel mondo animale, in particolare tra i primati, da forme di socialità, a pratiche di socializzazione, e allora mi viene da pensare che  la  moralità non è un’invenzione umana, perchè in tutti gli animali, esistono forme di empatia e altruismo come questa gallina che si affeziona a dei gattini, una specie diversa. Che forza l’innato amore patefatto ogni volta unica e inimitabile come la nostra umana vita!

Favria,  9.04.2021   Giorgio Cortese

Ogni giorno von la nostra piccola candela di speranza possiamo accenderne delle altre ed insieme illuminare la buia notte come una splendida alba

Gioch!

Gioch non è una parola tedesca ma un lemma piemontese, il gioch, si pronuncia giuk è il bastone del pollaio dove si appoggiano le galline per dormine e a volte viene indicato come pollaio. Le galline a metà pomeriggio vanno ad aguochè, ad appolliarsi e al mattino presto al sorgere del sole ed al canto del gallo desgioch, le galline scendono dal gioch quando si svegliano. Questa espressione desgiochè viene anche utilizzata per indicare di una persona che si alza dal letto. Il gioch e l’azione di appollaiarsi sul legno, giochè dei polli ma anche delle persone che si accovacciano oppure che si chiudono in casa per mettersi a letto deriva da due fonti, dal latino jugum, giogo e dall’etimo longobardo juk con il doppio significato di bastone del pollaio  e di gioco. La voce è attestata in tutta l’area galloromanza, in ligure viene detto giuccu, in calabrese juccu, poi nel francese iucher e nel provenzale azhouchiè. Alcuni in maniera ironica vorrebbero fare risalire una comune radice  linguistica  a quanto approdato intorno agli cinquanta del Novecento, in Italia dagli Stati Uniti un apparecchio automatico che, in seguito all’introduzione di una moneta ed alla scelta del titolo, riproduceva un certo brano musicale: il mitico Juke-Box, il giaciglio delle canzoni. La radice della parola è però diversa perché i primi locali locali pubblici ad ospitarlo in America, non furono i bar o le sale da ballo come avvenne successivamente in Italia ma locali malfamati che che avevano la necessità di creare “ambiente” con una certa musica. Originariamente, l’aggeggio si chiamava nickel-in-the-slot ed era diffuso nei bar e nei locali di ritrovo lungo le vie di comunicazione negli States, dove si poteva bere e ballare tutta notte e giocare d’azzardo. Questo tipo di locali, negli anni Trenta e Quaranta, nel sud degli Stati Uniti si chiamavano juke joint, e juking voleva dire: andare in giro a trovare un posto per divertirsi, o anche semplicemente ballare. Le macchine da musica a pagamento, onnipresenti in quei locali cominciarono a essere chiamate Juke-box per antonomasia, piuttosto che nickel-in-the-slot. La parola juke è  arrivata all’americano dal Gullah, lingua parlata dagli afro-americani della Carolina del sud e della Florida. Nella loro lingua juke significa cattivo e da questo dovrebbe essere chiaro che le juke joints erano luoghi malfamati, se non case di malaffare. A sua volta, il termine Gullah è una chiara derivazione delle lingue dell’Africa occidentale, dato che in Wolof, ad esempio, dzug significa vivere malamente! Per finire una curiosità in italiano troviamo il termine giucco che arriva dall’arabo giuhà, per indicare un tipo baldordo, che ha dato origine al personaggio o della novellistica popolare molto diffuso, un tempo nell’Italia centro – meridionale col nome di Giufà. Come si vede dal bastone barbaro- latino che indica il pollaio ci sono varianti che possono sembrare apparentemente simili ma con origine diversa.

Favria, 10.04.2021 Giorgio Cortese

 

Ogni giorno cerchiamo di amare la vita più della sua logica, solo allora ne capiremo il senso

I mulini e la fontana perenne.

I mulini che macinano cose delicate e preziose e la fontana perenne sono un grazioso luogo comune della poesia popolare di varia paesi d’Europa. La fontana ed i mulini vengono promessi per riscatto o come ricompensa a chi riconduce l’amante e lo sposo che si temeva perduto o che che rera fuggiasco in terra straniera. Nella mitologia greca troviamoo la Fontana di Pirene o Fontana inferiore di Pirene era è il nome di una fontana, situata nell’antica Corinto. Pirene mitica figlia del dio fluviale Acheloo, ebbe da Poseidone, Nettuno, due figli, Leche e Cencriade, che diedero il nome ai porti di Corinto.Cencriade fù ucciso accidentalmente da Artemide, allora Pirene versò tante lacrime da essere trasformata nella fonte di Corinto che da essa prese il nome. Si diceva che fosse l’abbeveratoio preferito del cavallo Pegaso, nonché luogo sacro alle Muse ed i poeti viaggiavano lì per bere e ricevere ispirazione. In una antica canzone veneta i mulini macinano farina bianca, gialla e garofani, nella tradizione francese i mulini macinano oro, argento oppure tritano perpr, zucchero e addormentano le ragazze. I mulini catalini macinano xucchero, cannella e farina bianca. I mulini portoghesi macinano garofani, cannella, farina e bengioino. Bengioino o benzoino una parola che deriva dall’arabo luban giawi, incenso di Giava, nome con cui fu indicato dal viaggiatore arabo Ibn Battuta. Dai frutti di questa pianta si ottiene un balsamo resinoso dal  sapore dolciastro e odore gradevole,  oggi usato in medicina, come anticatarrale e, all’esterno, come antisettico e disinfettante e in profumeria. Nella canzoni popolari i mulini sono sette e macinano zucchero, candito,  fior di moscato e chiodi di garofano. Infine nella tradizione ungherese lo steso mulino ha tre ruote dove una macina perle, un’altra baci e la terza spiccioli. Ecco la canzone popolare piemontese “I Mulini”: “Coza j’ève vui, la bela, che no fei che tan piurè?/ N’a piureve pare e mare o quaicùn dei Vos parent?”/ “ Mi non piuro pare o mare né quaicun dei me parent./ Mi n’a piuro del me cofo ch’a l’è pien d’or e d’argent.” Cos’pagrie vui, la bela, se podeisse riturnè?”/Mi pagri ana funtanina ch’a j’è drent al me giardin;/ A  j’è l’eva tan forta, fa virè tre mulin./ un a mol farina bianca, l’aut a mola del peiver fin/”. “Che avete voi, la bella, che non fate che piangere tanto? Piangete padre e madre o qualcuno dei Vostri parenti?” “ Io piango del mio cofano che è pieno d’oro e argento”. “Che pagherete voi, la bella se poteste ritornare?” Pagherei una fontanella che che c’è dietro al mio giardino; c’è acqua tanto forte da fare girare tre mulini. Uno macina farina bianca, l’altro macina pepe fino”

Favria, 11.04.2021  Giorgio Cortese

Nei  più importanti bivi della nostra vita non c’è mai la  segnaletica, ma sola la bussola del nostro buonsenso.

Cremisi….

Oggi sentiamo sempre di più parlare di colore giallo, aranciono e rosso. Pensando a questi colori mi  sono ricordato che una tonalità di rosso luminoso con sottotono blu propria di un pigmento che in tempi antichi era ricavato dalla frantumazione di gusci di cocciniglie, cremisi! Una parola  che deriva dal latino medievale a sua volta mutuata dall’arabo qirmiz che deriva dal persiano  kirm, verme, che storia! Scavando nella parola pare che per gli arabi del tempo qirmiz  significasse una tintura rossa armena perché il colore si  otteneva da un piccolo insetto precisamente una cocciniglia,  la Porphyrophora hamelii, molto diffusa sugli altopiani dell’Armenia. Gli arabi iniziarono ad utilizzare questo piccolo insetto per la tintura usarono la parola che sentivano usare ai persiani,  kirm, cioè verme. Una parola di origini indoeuropee,  kworm che in inglese moderno è divenuta worm, verme. Detto questo oltre al rosso cremisi o carminio esiste il rosso pompeiano, rosso amaranto, granata, bordeaux, borgogna  come il vino, magenta, malva e molte altre.

Favria,  12.04.2021   Giorgio Cortese

Se per la fine della giornata vogliamo l’arcobaleno, dobbiamo sopportare la pioggia.