Cielo adamantino! – Canopia, napia, napion e canapin! – Aspettando l’alba! – Da mesonauta alla gaffe – Galli taurini. – Stringersi nel.coso. – Giaca! – Quinconce!… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Cielo adamantino!
Certe mattine d’inverno il cielo è adamantino, cosi fredda e inscalfibile, proprio come

un diamante, ma nitida. La parola adamantino deriva dal latino adamans diamante. E’ probabilmente incrocio, dal greco, di adamao indomabile e diaphanes, trasparente. Le persone che acquistano un diamante senza rendersi conto che questo gioiello è antichissimo e da miliardi di anni osserva il mondo, e mantiene anche acquistato il distacco cristallino di chi non ha padroni come le persone che hanno una coscienza adamantina, trasparente, cristallina, dura, nitida ed integerrima come la loro morale, sono rare ma credetemi esistono.


Favria,  2,02.2021   Giorgio Cortese
In ogni passo della quotidiana giornata devo sempre armarmi con la forza della speranza!

Per la Santa Candelora, dell’invero siamo fora, ma se piove o tira vento, dell’inverno siamo dentro.

Canopia, napia, napion e canapin!

Canapia, significa la parte alta delle piante in un bosco, che intercettano la maggior parte della luce solare. La parola deriva dall’inglese canopy, a sua volta attraverso l’antico francese conopé è dal latino conopèum, zanzariera. La canopia è ancora rara, una traduzione del lemma inglese e indica la parte alta di un insieme di piante, quella che intercetta la maggior parte della luce solare e che nelle foreste è anche nota come volta, ma potremmo approssimare a una chioma o a un’insieme di chiome. In inglese il termine canopy, indica una tettoia, meglio la tenda del gazebo, rifacendosi all’antico baldacchino, dove l’immagine della tenda sopra il letto rende l’idea di cosa voglio affermare. In italiano esiste, derivato dalla zanzariera dAl latino conopeum, il conopeo, panno che nelle chiese copre il tabernacolo, in cui sono custodite le ostie consacrate.   Come detto la parola inglese canopy deriva dal francese canapé, meglio l’antico francese conopé, termine che descriveva una zanzariera, specie pendente a protezione di un letto, a sua volta era preso in prestito dal latino medievale canapeum, modificazione del latino tino classico conopèum proprio col significato di zanzariera. Come già detto la parola trae origine dal greco konopèion, kónops vuole dire zanzara. Ma il canapé  vuole anche dire divano, dalla stessa parola nasce il piccolo antipasto detto canapé poggiato o spalmato su fettine di pane senza crosta che solitamente vengono prima spalmate di burro ed anche preventivamente grigliate. Talvolta il supporto del canapè può anche venire fritto o ricavato da impasti di polenta o patate scavate: sebbene esistano ricette tradizionali di canapè, infatti, queste sono preparazioni dove la fantasia nell’accostamento è più che benvenuta.  Sopra il supporto si poggiano gli ingredienti scelti, come salse, affettati, carne, formaggio, pesce, caviale o patè,  nonché altri condimenti combinati con fantasia. È solitamente preparato con cura e di aspetto molto decorativo, separato in fette e mangiabile spesso in un solo morso, possono essere salati o dolci e sono presentati su vassoi. Il loro impiego principale è nei buffet. Azzardo l’ipotesi che forse il nome deriva dal perché forse si mangiava seduti sul divano omonimo.  In piemontese troviamo la parola quasi simili ma di origine diversa,  canapin, pelle di montone molto fine con cui si fabbricano i guanti, deriva dal latino canabium, canapa, poi arrivao in piemontese attraverso il francese. Il canape o canapo è la corda che serve a delimitare l’area della “mossa”, ovvero della partenza della gara ippica di un palio come a Siena o ad Asti.  Questa parola deriva dal sanscrito canas che significa canapa, ovvero la fibbra tessile che è utilizzata per realizzare la corda e che è ottenuta dalle piante di cannabis sativa. Concludo con le simpatiche parole piemontesi, napia indica un grosso naso, napion un naso troppo grosso, oppure canapia, gran naso! Dalla canopia della foresta siamo quindi giunti ad antiche zanzariere da letto ed infine ai grossi nasi di certe persone che svettano per l’innata curiosità e non solo!

Favria, 3.02.2021 Giorgio Cortese

Alba e tramonto: gli eventi più belli del giorno. Nascere e morire: la vita che scorre verso l’ignoto.

Aspettando l’alba!

Oggi tutti cerchiamo in questo delicatissimo momento, di vedere il “mezzo bicchiere pieno” per farci coraggio. Ci sono cambiate le giornate, le abitudini, i comportamenti e siamo tutti disorientati, confusi, a volte ancora troppo faciloni, ma dobbiamo, a mio avviso, cercare la parte positiva di questa drammatica esperienza che nessuno di noi si aspettava di vivere. Al di là dei dolori, delle sofferenze, delle umane paure, dei quotidiani rischi nell’incontrare i nostri simili, la mancanza di contatto umano come una stretta di mano, ecco tutte queste incognite che ci stanno accompagnando in questi mesi di “nuova solitudine”, credo che potremmo avere la grande occasione di riscoprire alcune parti della nostra vita che abbiamo ormai trascurato. Questa pandemia mi ha insegnato che la vita ogni giorno non è solo lavoro e egoismo e superficialità, oggi più che mai dobbiamo essere meno degli automi educati dalla pubblicità che insegna solo il personale profitto, come se questo fosse la felicità. Penso che potremmo per una volta essere meno robot, educati alle cose futili e al personale profitto, e più umani dedicati all’altruismo e alla solidarietà. Invece vedo ancora tante persone sempre più fredde e piegate su loro stesse, con una visione della vita miope e chiusa alle sollecitazioni dei meno fortunati.  Questa situazione mi permette di trarre un piccolo insegnamento una piccola opportunità per alzare lo sguardo e uscire dalla logica dei nostri occhi esclusivamente puntati sulle nostre scarpe. Adesso nell’attesa dell’alba devo sforzami di ritrovare il piacere e la gioia di tempi più lunghi, di pensieri più articolati, di pause salutari per scoprire, a mio avviso, quanto sono fortunato, per avere la salute, un tetto ed uno stipendio fisso. Ho la fortuna di essere nato in Canavese, forse molti faranno spallucce, ma per me che qui sono nato è  un  territorio che ha un ecosistema fantastico, unico al mondo e che mi ha sempre permesso una buona  qualità della vita. Ecco nell’attesa dell’alba apprezzo quello che ho e la pandemia mi ricorda come la società in questi anni è diventata troppo superficiale ed individualista. Nel frattempo io con calma e fiducia aspetto l’alba sicuro che solo uniti riusciremo a passare questa lunga notte.

Favria, 4.02.2021   Giorgio Cortese

Non ha colore, il valore d’una vita umana è un universo monocromatico. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 5 FEBBRAIO 2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Ogni giorno la vita resta là ad attendermi, sempre pronta ad essere colta, come un bocciolo che ha conosciuto la pioggia, ma torna a farsi accarezzare dal sole.

Da mesonauta alla gaffe

Nella seconda metà dell’Ottocento, in francese, emerge la parola gaffe, che poi viene recepita in italiano. La sua origine, dibattuta, pare ormai assodata deriva da una parola di origine germanica gaffon, acchiappare, colui che acchiappa, da cui è derivata la parola dal latino volgare gaffare, afferrare e poi nel   tedesco gaffer. In piemontese la parola gafa significava il gendarme, guardia o poliziotto. La parola deriva sempre dal francese popolare gaffe, attraverso l’antico provenzale gaf, per indicare il grosso gancio usato dai pescatori per tirare in barca o a riva i pesci più grandi. Questa parola dalla terminologia ittica, così come la locuzione prendere un granchio ha assunto il significato di commettere un errore che crea imbarazzo come manifestazione vergognosa di goffaggine, inettitudine, distrazione, questa è una gaffe. Secondo altri linguisti, invece, la parola deriverebbe dallo slang inglese to gaff, imbrogliare o addirittura dallo scozzese, dove la parola gaff in forma dialettale indica un linguaggio rude e sgarbato. Facciamo un passo indietro sul significato della parola, abbiamo visto che la gaffe era una pertica uncinata, da li in italiano il verbo transitivo gaffare, ghermire, arraffare, afferrare. Da questa parola deriva a sua volta il lemma gaffetta, piastrina metallica semicircolare e provvista di un’appendice forata utilizzata per fissare al muro cavi, cavetti o tubi nella realizzazione di impianti specialmente elettrici; se di dimensioni grandi, si dice gaffa. Da notare che l’’operazione di fissare con gaffette al muro cavi, cavetti o tubi di piccolo diametro, per la realizzazione di impianti specialmente elettrici si dice gaffettatura. Sempra da una voce di origine germanica alighiero che oltre ad esere un nome di persona, ricordate Noschese, o il cognome del grande Dante, in marina è il gancio di accosto, una gaffa. Il nome Alighieri per curiosità è composto da adal, nobili e gar, lancia, nobile lancia. Al termine aldighiero in marina si alterna come sinonimo mezzomarino, bastone con gancio per aiutare l’ormeggio di piccole imbarcazioni e alla bisogna, era affilato e trasformato in una mezza picca d’abbordaggio, il che spiega forse l’origine di un simile uso. Si usa anche il lemma arpagòne, dal latino harpago, gancio, strumento di ferro, uncinato a un’estremità, con il quale una volta i vascelli si afferravano l’un l’altro negli arrembaggi. Una curiosità il termine mezzomarinaro, chi legava la cima all’ancoraggio della nave in porto o arpionava con la gaffa, nasce dalla traduzione del latino mesonauta a sua volta dal greco tardo, prima di assumere il significato attuale era, al tempo della marina velica, utilizzato per indicare il mozzo, ovvero il ragazzo che apprendeva il mestiere di marinaio assolvendo nello stesso tempo gli incarichi più umili di bordo. Nella Royal Navy il grado di midshipman, la cui traduzione italiana è mezzomarinaio nella marina militare. La parola gaffiere è invece il soprannome dato a Ham Gamgee, padre di Sam nel Signore degli Anelli, nell’originale inglese è Gaffer, termine in principio utilizzato come forma familiare di nonno, appellativo di solito usato per rivolgersi ad una persona più anziana in una piccola comunità, nella nuova traduzione viene chiamato il Veglio.  Scusate se sono stato gaffeur, parola che indica in modo ironico e bonario una persona che incorre spesso in gaffe!

Favria, 5.02.2020  Giorgio Cortese

Essere vivi è un dono ma vivere con coerenza è una scelta. Ti aspettiamo a Favria oggi 

Le bugie delle persone  sono le verità in maschera

Galli taurini.

I taurini era l’antico popolo dei celti che abitavano in Piemonte, provincia di Torino e la parola Taurinisignificherebbe secondo l’etimologia celto-ligure, popolo dei monti, e verrebbe collocato in tutto il territorio montano torinese sino alla piana taurinense.  Non sono da confondere né con il popolo dei Taurisci o Norici, che abitavano nel  Norico, nell’odierna Baviera,  anche se una parte di essi potrebbe discendere dagli stessi Taurini collocati nella zona piemontese, né i sanniti Taurasini in Irpinia. Quello che li accomuna e che il loro nome potrebbe derivare dalla radice indoeuropea, taur,  legata o all’antica voce greca oros, montagna, oppure al sanscrito sthur, massiccio, robusto, ma anche selvatico. In tedesco la parola Tauri originariamente significava alto  passo montano in Austria.  In Italia  il toponimo in Sicilia, Taormina, l’antica Taurmenio deriva sempre dalla voce tauro, monte. Rimanendo ancora negli antichi celti il nome Galli Boi sembra derivare dall’antica radice celtica Bogos, nel significato  di conquistatori, che hanno dato il nome alle regioni di Boemia e Baviera. I Galli Senoni, con la radice del nome che deriva da quella indeuropea Senior, intesa qui nel significato  di popolo degli Anziani, dei Saggi ed infine i Galli i Lingoni,  termine Lingoni in antica lingua celtica sembrerebbe significare, i saltellanti, forse in riferimento a loro danze sacre rituali o belliche. Come si vede i galli con i tori non avevano nessun nesso, o magari era l’animale totemico di alcuni di lro, in seguito il toro è divenuto l’emblena di Torino. Rimanendo tra gli antichi celti, nella nostra lingua, attualmente, sono poco più di sessanta le parole di sicura derivazione celtica, ne ho trovate diverse che qui ho trascritto. Abbonare, dal abonner, deriva dall’antico francese bonne, a sua volta da borne, confine, limite. Abbrivare, dal provenzale abrivar, antico francese abriver, mettersi in moto. Ambasceria, ambasceria, anticamente ambasciaria, dal provenzale ambaissaria, ambasciata. Il complesso delle persone inviate con un particolare incarico da uno stato o da un sovrano a un altro stato, oggi si dice più comunemente missione o rappresentanza diplomatic. Barena, terreno che  terreno che emerge dalla laguna, affine al veneziano antico baro, terreno incolto. Basire. Dal tardo latino di oriogine celtica,  sentirsi venir meno, svenire. Becco sempre dal tardo latino beccus di origine celtica, caratteristica guaina cornea che riveste gli archi mascellari e mandibolari negli uccelli. Betulla, altro lemma di origine celtica,  alberi con corteccia per lo più liscia, sfogliantesi spesso in strisce orizzontali. Benna, anticamente sorta di rustico veicolo da trasporto, detto più comunemente treggia, in uso ancora in alcune zone montane della Toscana. Berretta, dal provenzale berret che deriva dal tardo latino di origine celtica birrum,  sorta di mantello a cappuccio, oggi si trova ancora in vari dialetti in  Italia. Betonica o bettonica, deriva dall’antico popolo celtico dei Vettones o Bettones della Lusitiania, Portogallo, oggi con questo nome si indica una pianta erbacea perenne  con foglie ovali, oblunghe, fiori rosa-violacei, in spighe, frequente nei pascoli e nei boschi d’Europa ed Italia. Anticamente usata contro molte malattie, da qui la frase avere più virtù della betonica, ovvero avere buone qualità o persona molto conosciuta. Musa, medico di Augusto, la riconosceva atta a curare una cinquantina di malattie; ma ora è in disuso, salvo la polvere delle foglie, adoperata talvolta come starnutatorio. Brache,  i Romani chiamarono bracata Gallia quella che poi fu detta Gallia Narbonese perché gli abitanti di essa portavano le brache. Esisteva il modo dire caduto in disuso per indicare una persona molto grassa, grasso bracato. Brago o braco dal latino bracum di origine gallica per indicare della melma o fango sudicio. Briciola,  deriva dal lativo brisiare, rompere da un voce celtica in francese briser,  ciascuno di quei minuzzoli che cadono dal pane spezzato. Brio, dallo spagnolo brio a sua volta dal celtico brigo, forza, essere allegro, vivace, esuberante e gaio. Brolo relativo ad un orto o frutteto cinto da mura o rete, bugno, arnia rustica costituita da un tronco cavo, o da una cassetta di legno o di vimini, o da altro recipiente. Brugo, dal tardo latino brucu, erica, lemma di origine celtica, pianta caratteristica delle brughiere. Carpentiere, dal latino carpentaius, da una voce gallica, in origine, fabbricatore di carri, carradore.  Carro, dal latino carrus o carrum, voce di origine gallica, veicolo composto essenzialmente da un piano destinato a sostenere un carico e da ruote che ne permettono la trazione con sforzo minimo in confronto a quello che sarebbe necessario per trascinare lo stesso carico direttamente sul terreno.  Carrucola, dal latino celtico carruca, carrozza. Dispositivo costituito da un disco girevole intorno a un perno passante per il suo centro, e che porta alla periferia una gola sulla quale scorre una fune o catena di trazione; la carrucola si dice fissa o mobile a seconda che sia fisso o mobile il perno di supporto. Daino  da una voce celtica damma o dama poi passato nell’antico francese daim, daine, ruminante e genere di ruminanti della famiglia cervidi. Gagliardo,  dal gallico provenzale galhart poi in francese gaillard, per indicare la forza, potenza fisica  e vigore. Garrese, deriva dal celtico garra, garretto esiste poi la parola guidalesco  con lo stesso significato che deriva dal longobardo widarrist.  Garretto, deriva dal celtico garra dove aveva lo stesso significato della regione anatomica dell’arto posteriore dei mammiferi domestici e selvatici, o per noi esseri umani la parte posteriore della caviglia che va dal  calcagno al polpaccio.  Ghiera, deriva probabilmente dall’incrocio della voce latina veru, spiedo, dardo, giavellotto col lemma celtico gairo, specie di dardo o freccia col ferro affusolato e con uncini ai lati.  Giavellotto, dal francese javelot, voce di origine gallica, arma da getto, costituita di un’asta alla cui estremità è inserita una punta di metallo aguzza, usata nel mondo antico greco -romano, oltre che come arma da guerra, come attrezzo di lancio per colpire un bersaglio in gare sportive. Landa, dal provenzale landa, a sua volta poi nel francese lande, in irlandese antico land vuole dire spiazzo, è affine ad altre voci germaniche tra cui il tedesco land. Leardo  non il  tipo di mantello  equino che deriva dal francese antico liard, liart  ma una misura lineare, che troviamo in antica racconti, lega, dal tardo latino leuga o leuca, voce di origine celtica, unità di misura di distanza, e soprattutto di percorsi terrestri o marittimi, usata in passato, e spesso ancora oggi, con valori diversi da paese a paese. Montone dal latino di origine gallica multonis,  maschio adulto della pecora detto anche ariete. Paiolo, dalla parola latina celtica pariolum, recipiente di rame, largo e fondo, con manico di ferro mobile e ad arco che permette di appenderlo al gancio della catena nel centro del camino, usato per riscaldare acqua e cuocere vivande. Palafreno, dal tardo latino paraveredus, cavallo di rinforzo, composto da una parola greca, presso, accanto e dalla parola di origine gallica veredus, cavallo di posta. Era il cavallo da sella, non da battaglia, dei cavalieri medievali. Trangugiare, deriva dal gallico geusiae, gola, inghiottire, ingoiare, mangiare con avidità e rapidamente, per lo più senza neppure masticare il cibo o assaporare la bevanda. Veltro  dal francese e provenzale antico veltre a sua volta dal gallico vertragus, nome  con cui già nell’antichità venivano indicati cani da inseguimento e da presa, che univano la velocità alla forza, simili agli attuali levrieri. Vera, fede nunziale. Poi sono entrate in italiano dall’inglese whisky, basket e dal francese cloche, berceau, quai. Infine dal piemontese bealera, dal gallico bedo, fossa, canale; in gallese bedd, bretone bez, ed in ligure beu, beàl o beàr. In piemontese l’ontano detto verna. Infine una curiosità nell’Antica Grecia si svolgevano le sotèrie, feste religiose, spesso accompagnate da agoni ginnici e musicali, istituite per lo più in onore di qualche divinità, salvatrice.  Le più note sono quelle di Delfi, istituite dopo la liberazione della Grecia dall’invasione dei Celti nel 279 a. C..

Favria, 6.02.2021  Giorgio Cortese

Nella vita le partenze mi insegnano cosa vale la pena aspettare. Il vuoto, amplifica l’importanza di quella presenza.

Stringersi nel…coso.

Molte volte mi capitato di pronunciare o di sentire queste strani frasi “passami il coso che è sul coso, per favore” oppure “ho visto il coso che cosava da solo l’altra sera”.  La sostituzione di una parola di cui mi sono scordato suono e termine con il termine generico “coso” è un fenomeno che secondo la mia opinione è associato ad una forma di incapacità di parlare transitoria, e viene scelta la parola “coso” come sostituto efficace per le parole smemorizzate.  Perché “coso” e non “vattelappesca” od altre ancora, forse è solo per criteri di brevità di linguaggio ed allora “coso” fa il sostituto universale diventando: “coso, cosi, cose, cosare, cosato, cosando”. Da una breve ma spiritosa ricerca su internet ho scoperto che tutte le lingue hanno un termine che sostituisce universalmente le altre parole in un momento di difficoltà, il francese si appoggia al termine “truc”, in inglese “thingummy” in tedesco “dingsda”, in spagnolo “eso”. Ma una domanda mi nasce spontanea, se un “cosatore”, termine con cui indico un persona che usa spregiudicatamente il termine “coso,” e sostituisce lentamente sostituire tutte le parole, o quasi, con il termine “coso”, in certi momenti della giornata arriverebbe ad esprimersi adoperando con estrema disinvoltura frasi del tipo: “Il coso che ho cosato l’altra mattina avrei potuto cosarlo in un solo coso, senza cosarmi più di tanto”, oppure: “Una cosa è cosare senza cattiveria, altra cosa è farlo invece per cosaggine”. Ma se poi mi lascio coinvolgere non solo nel capirlo ma anche a parlarlo correntemente, intrattenendo con il medesimo lunghe e piacevoli discussioni mi sono stretto nella parola del “coso.” Buon coso a tutti.

Favria,  7.02.2021    Giorgio Cortese

Ogni giorno incontro delle persone che  fanno il peggior uso del loro tempo e poi sono le prime a lamentarsi della sua brevità.

Giaca!

In piemontese la parola giaca indicava anticamente la casacca di saio del contadino, oggi la giacca.  Per i contadini su usava anche il lemma giacot. La parola giaca molto probabilmente trae origine dal francese Jacque, dove non indica solo il nome proprio Giacomo di origine greca/ebrea ma anche l’appellativo con cui venivano chiamati i contadini in Francia. Pensate che nelle sue “Croniques” il francese Jean Froissart narra la storia della prima jacqueries, rivolta dei contadini, scoppiata in Francia durante la guerra dei Cent’anni. Una rivolta di contadini contro i feudatari proprietari delle terre che li impoveriamo con sempre nuovi balzelli per fare fronte alla guerra e contro gli uomini d’arme che scorrazzavano per le campagne francesi dandosi al saccheggio. Questa fu la più clamorosa di una serie di rivolte sconsiderate e cruente degli eterni umiliati e offesi della terra, coloro che scherzosamente venivano chiamati in Francia Jacques Bonhomme, Giacomo il Bonuomo, sempre piegati sotto il tallone dei potenti, pronti a esplodere nel momento più caotico e inconsulto, con delle rivolte tutte destinate a spegnersi nel sangue e negli orrori così come nel sangue erano prosperate. Jacques, Giacomo, dunque era un nome comunissimo nelle campagne francesi, diffuso del resto ancora oggi in una terra che tiene alle proprie tradizioni e che non si è lasciata americanizzare come invece spesso è successo in Italia. Il nome Jacques fioriva fra i contadini, ma anche in genere tra i fanti, uomini della bassa forza, a servizio dei grandi signori feudali. Questi soldati, ma anche i contadini, solevano portare una sorta di maglia, detta giaco, il cui nome risale all’arabo shakk. In Francia però si attuò una fusione fra la parola originaria e il nome Jacques; la maglia di ferro portata dai fanti e indossata anche dalla gran parte dei partecipanti alla prima rivolta si disse jaque, da cui venne jaquette, la nostra giacca, la cui forma e il cui uso subirono successive trasformazioni nel tempo. Da questa parola, giaca, deriva il lemma angiachesse, infagottarsi o vestirsi sommariamente e  il modo di dire di prendersi  una angiacadata, essere presi a sberle. Da giaca deriva la parola giachetin giubbettino, giachetta, giacchetta o casacche che copre solo il busto. Giacotin , giubbettino, gonnellino da bambini, giach,  corsetto o camiciola femminile o giacca di panno o cuio spessa da lavoro con il suo diminutivo giachet,  giubbetto, molte volte di cuoio o imprermeabile. Ed infine la giachetta specie di gioco affine al tric e trac che si praticava con dadi e pedine su un apposito tavoliere, detto tavola reale, gioco di origine antichissima, diffuso nel mondo antico, in Grecia e a Roma  dopo i fasti medievali e rinascimentali è tuttora molto popolare nel bacino del Mediterraneo orientale.

Favria, 8.02.2020 Giorgio Cortese

Alla fine nella vita quotidiana vince chi “indossa” la propria vita senza piangersi addosso.

Quinconce!

Quinconce che parola strana che ho trovato leggendo un libro. La parola deriva dal latino quincunx, con il significato di composto di cinque e uncia, oncia, cinque e oncia. Nell’antica Roma, quincux equivaleva a cinque dodicesimi dell’unità riferito alla moneta di bronzo coniata solo durante la seconda guerra punica che valeva cinque dodicesimi di asse. Con questa parola veniva anche indicata una frazione di misura di lunghezza, i 5/12 del piede romano. Simbolo con cui era rappresentata presso i Romani la frazione 5/12, simile alla figura del 5 nei dadi. Di qui, anche oggi, ogni disposizione di persone, di  progetti,  disposizione di alberi  e oggetti sfalsati su file parallele. Come già detto se parliamo del cinque rappresentato sui dadi a sei facce, parliamo di una disposizione geometrica a quinconce, quattro punti ai quattro angoli e uno al centro.  Se penso al numero cinque penso subito che le dita di una mano sono cinque, e grazie a esse ho imparato a contare. I sensi umani sono cinque e nell’Antica Grecia Platone aggiunse ai 4 tradizionali e ben visibili elementi naturali (terra, aria, fuoco e acqua) un quinto e più sfuggente elemento, l’etere. Una divisione simile si ritrova in molte tradizioni asiatiche, dove i 5 elementi sono l’acqua, la terra, il fuoco, il legno e il metallo. Per non parlare del ben noto pentagramma, le cui origini risalgono alla cultura sumera, mutuato dai greci come simbolo cosmogonico, a indicare i cinque angoli della terra in cui sono piantati i semi del cosmo, e dal cristianesimo come segno delle cinque ferite di Cristo. E in matematica il 5 non è solo un numero primo, ma anche un numero intoccabile, ovvero non rappresenta la somma dei divisori propri di nessun altro numero. Che bello il cinque e  il quinconce, una forma universale di bellezza e pienezza immediata e senza scomodare la  simbologia delle antiche popolazioni messicane, il  cinque fiori o la croce di Quetzalcóatl ne il centro simbolico del diecisacro pitagorico o la  divina tetraktýs. Per me il cinque è bello perché posso dare cinque al mio amico, appensa si potrà post pandemia, Perché è il numero giusto per organizzare una squadra di calcetto con gli amici. Altrimenti parlerei di calciotto, no?

Favria,  9.02.2021  Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno ieri è passato. Il domani non è ancora arrivato, abbiamo solo per cominciare!